Uno studio analizza i dati dei malati che cercano l'eutanasia nel cantone svizzero. Dall'Italia arrivi decuplicati: «È per via del caso Englaro», scrivono i ricercatori. Mentre in altri paesi il boom di richieste ha permesso di cambiare le leggi

Seicento persone all'anno. Di cui quasi 200 arrivate apposta in Svizzera dall'estero. Con un obiettivo: morire. Solo nel cantone di Zurigo, i decessi per suicidio assistito registrati dall'Istituto di Medicina legale sono stati 950 fra il 2008 e il 2012; 611 riguardavano persone residenti oltre confine. Sono i numeri dei "migranti per l'eutanasia" raccolti da due dottoresse dell'Istituto e da altri due ricercatori svizzeri in uno studio pubblicato sul Journal of Medical Ethics dedicato alle implicazioni legali e mediche della corsa alla dolce morte nel cantone della loro città. È un primo step di un'analisi più ampia che riguarderà tutta la Svizzera, spiegano, ma i primi risultati sono già rilevanti. A partire dal boom di persone arrivate apposta a Zurigo per morire, e che riguarda soprattutto gli stranieri, passati dagli 86 del 2009 ai 172 del 2012. Le richieste riguardano tutta l'Europa, e non solo: ci sono aspiranti all'oblio venuti apposta da Marocco, Australia, India, Sud Africa.
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L'obiettivo degli autori è rilevare se questa corsa, garantita in Svizzera da una zona grigia fra legalità e tolleranza (mancano linee guida ufficiali più volte richieste dalle autorità europee), ha portato dei cambiamenti nei paesi d'origine dei “suicide tourists”. «Come esperti di medicina legale», raccontano gli autori: «Siamo chiamati praticamente ogni giorno a esaminare casi di turisti suicidi: è per questo che abbiamo deciso di affrontare il problema in uno studio scientifico».

In cima all'elenco dei paesi di provenienza c'è la Germania, con 268 malati suicidatisi in città in cinque anni; poi la Gran Bretagna, 126; la Francia, 66. E quarta l'Italia, «Da cui il numero di arrivi per l'eutanasia è aumentato di dieci volte nel corso dello studio», scrivono gli autori: «Possiamo solo speculare sulle ragioni di questo boom: una possibilità è che la morte di Eluana Englaro nel 2009 e il dibattito che ne è seguito sulle misure per il fine vita abbiano reso chiaro a molti italiani che la liberalizzazione del suicidio assistito non arriverà verosimilmente nel loro paese, almeno non nel futuro prossimo». Così, i decessi registrati di nostri connazionali per ingestione di sodio pentobarbital, il metodo più comune per raggiungere la fine, sono passati dai 2 del 2008 ai 22 del 2012. 

In Germania non esiste una legislazione a riguardo, spiegano i ricercatori, ma ai medici è proibito, secondo il codice professionale di condotta, di aiutare qualcuno a suicidarsi. Nel 2012 un disegno di legge del ministro della Giustizia provò ad estendere il divieto anche alle associazioni, vietando ogni annuncio commerciale o informativo sul tema, ma un sondaggio internazionale, nello stesso autunno, mostrò che il 76 per cento della popolazione sarebbe stato contrario alla proposta. E il disegno di legge è rimasto bloccato. In Inghilterra l'evoluzione è stata opposta: se secondo il “Suicide Act” del 1961 il suicidio assistito sarebbe punibile fino a 14 anni di prigione, la norma attuale, nata dal dibattito seguito alla richiesta di una malata di sclerosi multipla, Debbie Purdy, nel 2010, è più aperta e permette a chi aiuta un malato a morire sia indenne da indagini quando la decisione del suicida è chiara, volontaria, scritta e informata. Anche in Francia è in discussione una legge sulla liberalizzazione del fine vita: secondo un sondaggio che ha coinvolto nel 2013 12 paesi europei, in tutti gli stati la maggior parte delle persone intervistate si diceva a favore di leggi sul suicidio assistito.

Nello studio sono poi presentati altri dati relativi all'eutanasia a Zurigo. L'età dei pazienti: 69, la mediana, con pazienti che vanno dai 23 ai 97 anni. Il genere: donne, al 58,5 per cento. E le malattie per cui decidono di farla finita: se il cancro in fase terminale risultava la prima causa (47 per cento) ai primi anni 2000, oggi conta solo per il 37 per cento dei 611 casi di turisti della morte seguiti dal 2008 al 2012: la diagnosi principale oggi riguarda i disturbi neurologici (290 casi).

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