Le srl dilettantistiche non possono partecipare alla ripartizione. Ma oltre 300 sono riuscite a ottenere soldi come se fossero onlus. Grazie alla mancanza di coordinamento e comunicazione fra Coni e Agenzia delle entrate

Non ci sono soltanto i centri di assistenza fiscale truffaldini, che cambiano la destinazione dei fondi all'insaputa dei propri assistiti. Nella riserva di caccia in cui si sta sempre più trasformando il 5 per mille, anche le attività di promozione sociale possono essere facilmente aggirate grazie ai buchi nella normativa e all'insufficienza dei controlli.

Il caso è quello delle associazioni dilettantistiche, che dal 2008 sono state ammesse tra i beneficiari del prelievo fiscale destinato al volontariato e alla ricerca. Un universo fatto di oltre 100 mila piccole realtà che hanno come scopo la diffusione dei valori dello sport e che possono trarre linfa vitale da questo strumento. Solo che in più casi i fondi sono stati prosciugati da furbetti interessati unicamente al profitto. Più di 300 negli ultimi anni, secondo le rilevazioni.

Il caso è da manuale: quando una onlus sportiva intende essere ammessa fra i beneficiari del 5 per mille, non deve far altro che andare sul sito dell'Agenzia delle entrate e inviare la domanda telematica. Solo che non c’è alcuna verifica delle informazioni trasmesse: il codice fiscale non viene sottoposto ad alcun controllo informatico incrociato. Può accadere così che fra quanti si iscrivono ci sia anche chi non abbia i requisiti necessari. Come le società sportive, che già godono di numerose agevolazioni: la detassazione delle iscrizioni dei tesserati, l’esonero dall’obbligo di rilasciare scontrino o ricevuta, base imponibile ridotta e via dicendo.

«Va da sé che enti di tale natura non possano accedere al beneficio del 5 per mille, perché hanno una intrinseca natura commerciale sotto il profilo fiscale» spiega Stefano Bertoletti, esperto di no-profit e consulente: «Senza contare che spesso si assiste alla nascita di srl sportive più per gli indubbi vantaggi fiscali che per gli scopi ideali alla base delle agevolazioni e che molte sono senza scopo di lucro solo in linea teorica».

Eppure è esattamente quello che accade. Perché in base a un cervellotico frazionamento delle competenze il Coni, che riceve le autocertificazioni e deve verificare l’attività sportiva svolta dalle associazioni, non ha accesso alla banca dati dell’Agenzia delle entrate. Quindi in realtà non può controllare davvero. Risultato: vengono pubblicati elenchi “spuri” dei beneficiari, le società sportive fanno campagna fra i tesserati per farsi destinare il 5 per mille e alla fine riescono a ottenere quel denaro cui non hanno diritto. Sottraendolo agli altri. Perché una volta che il meccanismo è in moto, non si riesce più a fermarlo: la legge infatti non prevede nemmeno accertamenti prima dell’erogazione di contributi, solo in seguito.

Impossibile sapere con esattezza quanti soldi siano stati “regalati” in questo modo. Di certo, si tratta di cifre consistenti: nel 2014, su 8.192 associazioni sportive iscritte nelle liste dell’Agenzia delle entrate, a seguito di controlli a campione svolti dal Coni ne sono state scoperte 303 con una natura giuridica diversa da quella dichiarata. Adesso, dopo averle escluse, l’intenzione dell’Ufficio per lo sport di Palazzo Chigi è far intervenire la Guardia di finanza per perseguire penalmente i furbetti e provare a recuperare il denaro ricevuto illecitamente.

L’unico vero rimedio contro gli imbrogli sarebbe un database unico contenente le varie e spezzettate informazioni in possesso di Entrate, Comitato olimpico e Camere di commercio. Ma per il momento ancora non si vede.