Tra letteratura e scienza, riparte la stagione delle rassegne. Che non conoscono crisi, grazie ai finanziatori più assortiti
Avanti, cultura! Con il debutto delle Scienze all’Auditorium di Roma è iniziato il lungo calendario dei festival, una corsa fra almeno 67 eventi - alcuni studi ne censiscono fino a 209 - dedicati a libri e astronauti, economisti e filosofi ma anche cuochi e tradizioni. Nonostante la crisi, gli appuntamenti culturali spopolano: per allungare la stagione turistica, a maggio come in autunno, non c’è ormai sindaco che non desideri affollare la propria città di fan di un grande scrittore o di uno scienziato illuminato. Gli happening intellettuali hanno successo di pubblico. E di sponsor, istituzionali e privati: attraggono investimenti che superano i 24 milioni di euro all’anno, 400mila in media per ogni rassegna secondo le stime di Guido Guerzoni della Bocconi di Milano. Ma i soldi arrivano anche dall’Unione Europea: solo come “fondi strutturali” per lo sviluppo del Mezzogiorno, le regioni del Sud hanno ricevuto in cinque anni da Bruxelles 72 milioni di euro per portare in piazza arti e saperi.
Dalla fine degli anni ‘90 i festival culturali hanno conquistato la scena in tutta Italia, grazie alla loro capacità di avvicinare lettori ed esperti, di coinvolgere autori, ricercatori, studenti, fondazioni ed enti locali. Solo per la letteratura, seguendo l’esempio della manifestazione più antica, quella di Mantova (che ha compiuto 18 anni), ce ne sono oggi almeno 33. BookCity a Milano si è conclusa nel 2014 vantando come l’anno prima “130 mila visitatori” e centinaia di incontri. L’agenda s’infittisce ogni stagione. «L’impatto economico positivo per le città è stato confermato da innumerevoli studi», commenta Pierluigi Sacco, professore ordinario di Economia alla Iulm. Ma se la forza commerciale è certa, lo è meno quella sociale: la voglia di sapere testimoniata da questi appuntamenti non è ancora riuscita a innescare un cambiamento nazionale, almeno stando alle statistiche che ci vedono in coda all’Europa per consumi culturali. Perché?
LIBRI E MAGIE Prima del dibattito, la radiografia. Quanto costano i festival impegnati? I big, come Mantova o Genova per la Scienza, hanno un budget che va dagli 1,5 ai due milioni di euro. Pochi però possono contare su investimenti così consistenti: meno di uno su 10, stando all’ultimo rapporto di Guido Guerzoni, “Effettofestival”. Un quarto degli eventi si mantiene invece con un bilancio fra i 250 e i 500mila euro. Quasi la metà se la cava con meno.
E chi li paga? Principalmente gli enti locali. Praticamente ogni festival ha almeno un comune, una provincia o una regione fra i sostenitori, a cui si affiancano spesso le camere di commercio. Il municipio di Milano, ad esempio, nel 2013 ha finanziato 29 kermesse, per un totale di un milione e 400 mila euro di contributi. Il grosso è andato a rassegne di cinema e teatro, ma ci sono anche eventi come la Milanesiana di Elisabetta Sgarbi (direttore editoriale di Bompiani) a cui sono stati assicurati 80mila euro. “Collisioni”, la manifestazione che unisce letteratura e musica a Barolo, ha ricevuto dal Piemonte 70mila euro. Il Pirellone del leghista Roberto Maroni ha dato il suo supporto alle tradizioni padane: con 5mila euro al Festival celtico dell’Insubria 4mila al Festival internazionale del Folclore.
Invece i dialoghi di Trani, in Puglia, per l’edizione 2013 hanno potuto contare su 46mila euro dall’Unione Europea e altri 32mila da Stato e Regione. Briciole rispetto ai 104 mila euro arrivati da Bruxelles al “festival della Magia” di Crotone attraverso il dipartimento calabrese all’Istruzione. Ed è ancora niente rispetto ai 118 mila euro garantiti dai “Fondi strutturali europei” per l’ultimo Diamante Festival nel Cosentino, dove fra mostre, convegni e concerti si celebra sua maestà il Peperoncino: aggiungendo i contributi nazionali, lo show “piccante” ha ricevuto 348mila euro a stagione, e ne ha raccolti quasi altrettanti dai privati.
NON PER TUTTI C’È CRISI A parte la sponda europea, solida soprattutto al Mezzogiorno, è difficile contare sul settore pubblico in tempi di spending review. Al festival della Letteratura di viaggio di Roma il Campidoglio ha dimezzato l’anno scorso le sovvenzioni: da 80 a 48mila euro. «Noi abbiamo subìto tagli del 35 per cento», racconta Vittorio Bo, creatore del primo e più importante Festival della Scienza, quello di Genova. La Provincia era fra i fondatori del progetto: ancora nel 2009 aveva garantito 100mila euro. «Un contributo importante, ora azzerato», spiega Bo: «Manteniamo per fortuna il sostegno degli altri, fra cui il ministero dell’Istruzione. E le riduzioni in generale sono state proporzionali a quelle decise dai privati».
Quali privati? Le più presenti, anche se si trovano a metà tra pubblico e profit, sono le fondazioni bancarie. L’ente filantropico della Cassa di risparmio di Torino, ad esempio, ha finanziato nel 2013 ben 72 festival per 975mila euro. Gli aiuti sono andati a iniziative consolidate come Scrittorincittà, organizzata dall’assessorato alla Cultura di Cuneo, ma anche a un “Festival nazionale Luigi Pirandello” (stessi fondi: 20mila euro) allestito da un’agenzia di comunicazione torinese, del cui evento nella vicina Coazze resta in Rete giusto una pagina Facebook con 134 “mi piace”. E ancora: gli incontri sulla Scienza a Genova sono stati possibili anche grazie ai 360mila euro della fondazione di Compagnia di San Paolo. Mentre dal ramo solidale del Banco di Sardegna sono arrivati 40mila euro al noto festival di Gavoi e altrettanti a “Leggendo Metropolitano” di Cagliari.
LATTE E ENERGIA Accanto alle fondazioni, è aumentata in questi anni la presenza delle multiutility e delle società di servizi locali, che vogliono così radicare la loro influenza sul territorio. Hera, il colosso che controlla rifiuti, acqua ed energia in Emilia Romagna e in parte del Nord Est, ha speso nel 2013 quasi tre milioni di euro in sponsorizzazioni, un milione e 100 solo per la cultura. A Bologna, dove ha la sede principale, ha sostenuto di recente un festival poetico, uno di fumetti, diversi di cinema e alcuni musicali.
L’emiliana Iren ha messo in bilancio 4 milioni e 700mila euro per sostenere iniziative benefiche, sportive e letterarie. Per il suo Nord-Ovest, A2A ha investito un milione e 750mila euro. La romana Acea poco meno di tre milioni. Ci sono poi grandi aziende come Eni, 21 milioni e 438 mila euro spesi destinati alla cultura nel 2013 – anche se con l’arrivo di Claudio Descalzi la generosità è in corso di revisione –, Finmeccanica, Coop (che ha partecipato al festival della Tv di Dogliani, a quello di Mantova e all’“Ilaria Alpi” di Riccione), Vodafone e Telecom.
Infine, ci sono i partner locali. Dalle banche agli aeroporti, sino a pastifici, bar, trattorie, hotel, artigiani, autoricambi, caseifici, arredatori e vivai. Il Festival di Mantova riceve dai privati il 75 per cento del budget (dipendendo solo per l’11 dalle istituzioni mentre il resto viene dai biglietti), e ha 150 sponsor, che vanno da Hera a Persol passando per studi di commercialisti o “il raviolificio sotto casa”: «Alcune grosse aziende si sono allontanate perché mettiamo tutti gli sponsor sullo stesso piano», racconta Marzia Corraini: «Ogni incontro ha il suo pannello con i loghi dei promotori, a prescindere dalla dimensione della società. Certo: c’è chi è presente per più giorni. Ma per noi tutti i partner, grandi e piccoli, sono uguali: è in questo la nostra libertà. E la nostra forza sul territorio».
I contributi possono essere sia economici che “strumentali”: dagli sconti per i partecipanti alla pubblicità per gli eventi. Il “Centro Latte Rapallo” ad esempio ha messo a disposizione «le etichette di oltre 100 mila bottiglie di “Latte Fresco Tigullio Alta Qualità”, distribuite in tutta la provincia di Genova» per pubblicizzare il festival di Comunicazione di Camogli. Comunicazione riuscita: ad ascoltare Umberto Eco e gli altri ospiti sembra siano arrivate 20 mila persone.
PUBBLICI E RISULTATI Perché ai privati interessa tanto investire sulle riflessioni in pubblico del filosofo Remo Bodei o del romanziere Andrea de Carlo? Perché sono seguite da un sacco di gente. Anche se stabilire con certezza quanta, è impossibile. I festival più trasparenti comunicano solo le presenze: ovvero non i visitatori, ma il numero complessivo di partecipanti, che conta due volte chi segue due convegni. Ed eccoli: 66mila biglietti venduti a Mantova; 130mila spettatori per gli eventi gratuiti di BookCity, 90mila ascoltatori al Festival di Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo (220mila considerando anche gli incontri non filosofici), 45mila al raduno della Mente di Sarzana, 14mila a LetterAltura sul Lago Maggiore, 13mila a Bergamoscienza, e così via.
C’è però anche chi si limita, nei comunicati, a indicare “migliaia di spettatori” (Popsophia, Tolentino), oppure segnala soltanto il numero di click online o ancora dichiara laconicamente “sale piene”. Quello che è certo è che il pubblico non ha conosciuto crisi. «Devo ammettere: avevamo un po’ di paura l’anno scorso, considerate le difficoltà economiche delle famiglie», racconta Marzia Corraini, fra i fondatori del FestivaLetteratura di Mantova: «Ma ancora una volta ci siamo stupiti: i visitatori sono aumentati».
E non è solo dal numero di sedie riempiti che si può valutare il successo. Ci sono eventi piccoli come “Dedica” di Pordenone, che raggiunge solo le cinquemila presenze ma riesce ogni anno ad approfondire un autore nuovo, producendo contenuti di spessore. E poi c’è il contesto. Quello che una rassegna dà al suo territorio. Lo spiega bene lo scrittore e presidente dell’Associazione “L’Isola delle storie”Marcello Fois in una ricerca su “L’Italia creativa” di Annalisa Cicerchia: «L’ultima edizione del Festival di Gavoi», racconta, «è stata visitata da 30mila spettatori, in un paese di tremila abitanti. Arrivano grandi scrittori che non ricevono alcun tipo di cachet. La manifestazione costa 220 mila euro e in questi anni il Pil del Comune è cresciuto del 24 per cento. Ciò significa che si sono aperti alberghi dove non esistevano, si è riavviato un camping che da 25 anni era chiuso. Il turismo si è espanso per tutto l’anno, compreso l’inverno. In Barbagia». Che i conti tornino, per i commercianti locali, lo ha dimostrato anche il Festival per l’Economia di Trento (chi se non loro?), che nel 2008 ha affidato ai propri partecipanti una card con cui segnalare le spese in pernottamenti, ristoranti, negozi e musei: scontrini da 154mila euro al giorno.
IL FUTURO? «Tocca chiederci oggi: cosa resta di tutto questo fermento?», si domanda l’economista Pierluigi Sacco: «I grandi eventi danno grandi ritorni - sul breve periodo - per grandi investimenti. Ma dobbiamo confrontarci sul loro scopo: riescono a cambiare la politica dei luoghi in cui avvengono? Ad avere un impatto sull’istruzione? Sui consumi? Sulle abitudini della popolazione?». Secondo Sacco, la risposta è: più o meno no. Nel senso che hanno dimostrato di servire poco nella loro forma-standard, che vuole un grande scrittore, o un noto intellettuale davanti a un pubblico passivo e felice.
L’unico modo perché della cultura “resti attaccata”, sostiene il docente, è puntare sull’interazione. Sullo scambio. Come avviene, insiste, nei laboratori per studenti del Festival di Genova, che permettono ai bambini di “mettere le mani” nella scienza. Secondo lui, il dialogo da attivare fra gli adulti e gli autori dovrebbe essere diverso: un confronto, più che una conferenza. «È vero, il nostro pubblico è composto per più della metà da scuole», risponde Vittorio Bo, «ma non dobbiamo snobbare gli incontri frontali, anzi: c’è un pubblico adulto che ha bisogno di sedersi e ascoltare persone intelligenti. Il dialogo forse non si sente. Ma perché è interiore e profondo».