Larini e quel trio indivisibile con Craxi e Silvio Dal conto "Protezione" alla Lista Falciani

Personaggio romanzesco, era il braccio operativo di molte società riconducibili al Psi. Fu lui a confessare ai giudici di Mani Pulite di essere il prestanome dei conti in Svizzera. Oggi vive su un atollo di sua proprietà nella Polinesia francese

Di tutti i protagonisti di Tangentopoli Silvano Larini è stato il più romanzesco di tutti. Perfino nei documenti della lista Falciani c’è un segno della sua diversità, quel milione e 988 mila dollari è nominale e non mascherato da un conto numerato, una scelta dettata forse più dall’indifferenza che dalla trasparenza, si sapeva che Larini non disprezzava l’esibizione. Come per la sua leggendaria vasca da bagno della casa di Cavallò costruita in mezzo alla camera da letto e posizionata in modo tale che dall’esterno si potesse osservare bene il corpo nudo di chi era immerso nell’acqua.

Era fatto così l’uomo che per primo era stato il tramite dei rapporti tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi creando un trio indivisibile, a dir poco impressionante nel vederli tutti insieme. Larini altissimo come il leader, abbronzato anche a novembre, spalle da armadio, il luccichio delle catene d’oro sotto le camicie di finissimo cotone egiziano. In mezzo, il Cavaliere formato ridotto, ancora senza i futuri, provvidenziali tacchi.

Era il tempo del loro immenso potere e della Milano, quella famosa da bere, controllata in pieno dal dominio e dai traffici socialisti. Larini pittore dilettante e architetto, ras del Pim, il Piano intercomunale milanese collettore di appalti e tangenti, amministratore delegato di Lombardia Risorse, era il braccio operativo di riferimento di molte società finanziarie riconducibili al Psi. Se Sergio Cusani era il gelido costruttore di operazioni sofisticate, Larini, secondo le cronache, non batteva ciglio nel dover fare la spola con buste di denaro con l’ufficio di Craxi in piazza Duomo, guadagnandosi l’ambita definizione di “postino di Bettino”.
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Una, due, tre mogli. La casa in centro con la piscina sul tetto, la passione del rum e dei locali notturni dove tirare l’alba, l’infanzia nel Bengala occidentale a Calcutta nell’india pre-Mahatma per gli affari del padre, ricco per l’import-export con l’Estremo Oriente, e poi la politica al Politecnico di Milano segnata dalla popolarità femminile per una pubblica lettera mandata al cardinal Siri che si era scagliato contro le donne in pantaloni «Proprio da un uomo con la gonna…».

Larini rappresenta l’essenza dei micidiali anni Ottanta, E’ la personificazione dell’ubriacatura di potere e denaro facile, bella vita e corruzione, conti all’estero - chissà la provenienza dei soldi della lista Falciani - e finanza off shore, mancanza di senso etico e di remore morali, l’impunibilità come codice di protezione. «Ci pensa Silvano», diceva Bettino. E ci pensò Silvano nel 1993, dopo essersi consegnato al valico di Ventimiglia, a confessare in quei giorni violenti al pool di Mani Pulite di essere il prestanome dei conti svizzeri - la Svizzera già allora - delle tangenti dei vertici socialisti e del famigerato deposito “Protezione”. Dopo le condanne è tornato qualche volta a Milano per esporre i suoi quadri in due mostre ma da molto tempo si è trasferito all’altro capo del mondo, su un “motu”, un atollo di sua proprietà, a sud di Rangiroa, isola incantevole della Polinesia francese. Le visite in Italia sono veloci, forse i passaggi in Svizzera meno.

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