Il commento dello psichiatra Corrado De Rosa: "Spesso chi ne soffre pensa che sia meglio nascondere la malattia perché gli svantaggi che possono derivare dall’outing sono superiori ai benefici"

Si dice spesso che i comportamenti umani incomprensibili non sono necessariamente frutto di follia, e che psichiatrizzare tutto è una semplificazione mediatica. Il caso Lubitz racconta l'opposto: il copilota soffriva di un disturbo psichiatrico e per questo aveva preso medicine. Si è parlato di depressione, poi di burnout, poi di un disturbo d'ansia generalizzato.

La corsa alla diagnosi, però, rischia di aggiungere guasti ai già innumerevoli guasti che la catastrofe ha causato (le conseguenze psicologiche tra i familiari delle vittime, per esempio, saranno devastanti). È probabile che sul disegno folle del copilota abbia inciso una personalità gravemente disturbata, in cui coesistevano narcisismo, grandiosità e delirio.

Burnout, ansia e depressione, infatti, non bastano a spiegare un gesto in cui alla base manca il contatto con la realtà; far passare il messaggio opposto – ovvero che una sindrome psichiatrica comune possa spiegare una strage di tale portata - aumenterebbe inutilmente il pregiudizio, già alto, nei confronti di chi è affetto da un disturbo mentale, preoccuperà ancor più pazienti e familiari e invoglierà una pratica già molto diffusa: la dissimulazione di malattia.

Il disturbo psichiatrico è ancora oggi percepito come una colpa, una macchia indelebile da cui non si potrà mai guarire. E spesso chi ne soffre pensa che sia meglio nascondere la malattia perché gli svantaggi che possono derivare dall’outing sono superiori ai benefici: una guardia giurata che deve rinnovare il porto d'armi non dirà che soffre d’ansia, altrimenti rischierà il posto di lavoro; una paziente con un disturbo da attacchi di panico che deve rinnovare la patente tacerà i suoi sintomi se il suo ufficio è a trenta chilometri da casa, perché le commissioni mediche si agitano appena sentono parlare di psicofarmaci. Il caso Lubitz è un caso estremo, fatto sta che anche lui ha stracciato i suoi certificati e ha finto di essere sano.

Se hai un disturbo mentale grave difficilmente potrai svolgere professioni che implicano una grande responsabilità verso terzi. Ma allo stesso tempo è fondamentale promuovere più di quanto non si faccia una corretta informazione sulla malattia mentale: chiarire che da depressione, ansia o burnout si può guarire, sensibilizzare la popolazione sul fatto non dovrai sempre essere considerato inidoneo alle funzioni che ti sono precluse per via di una malattia. Perché più stigma c'è, più ci saranno effetti collaterali come il disastro della Germanwings, che nessuna ridefinizione di cockpit potrà prevenire.

Da qui l'altra domanda che in questi giorni si fa alla psichiatria: il comportamento di Lubitz si poteva prevedere e, quindi, evitare? Certamente qualche segnale di disagio lo avrà dato, e in queste ore si rincorrono frasi sibilline e strane profezie uscite dalla bocca del copilota. Solo che nessuno ha saputo leggere i segnali perché spesso il collante su cui si fondano i rapporti umani è la superficialità e la fretta. Nessuno, quindi, ha saputo ascoltare Lubitz.

Pensare che tutti i comportamenti, anche quelli frutto di follia, siano prevedibili è utopistico. La mente non è un elettrodomestico e ogni malattia, anche non psichiatrica, può complicarsi in modo inaspettato. Lubitz, poi, si era sottoposto ai test psicodiagnostici. I test, comunque, non sono radiografie, sono efficaci per convalidare ipotesi, ma - così come altri esami - hanno i loro falsi negativi e basta cercare online per trovare istruzioni su come falsificarli o su come rispondere correttamente alle domande.

Quanto alla speranza che ogni disturbo si possa curare, siamo nel campo dell'onnipotenza delle cure: un’aspettativa magica e irreale. Non perché la psichiatra sia una scienza un po' troppo filosofica per essere medica e troppo medica per essere filosofica. Ma perché, come per altre branche della medicina, non ha una cura efficace per ogni malattia. E se il suo disturbo fosse stato diagnosticato correttamente, Lubitz sarebbe stato avviato a cure congrue come aveva fatto in passato, ma non è detto che queste lo avrebbero guarito. Anche se è probabile che non avrebbe messo piede su quell'aereo il giorno del disastro.

Se il copilota ha dissimulato così tanto il suo problema da farlo passare per un disturbo lieve, siamo sicuri che i medici che lo hanno visitato avrebbero dovuto segnalare il caso alla Lufthansa? Col senno di poi diremo che certamente andava fatto. Ma forse qualcuno avrebbe gridato allo scandalo per violazione della privacy. Sarebbe, estremizzando, come dire che bisogna avvisare la Fiat di un suo operaio che soffre di attacchi di panico perché potrebbe manomettere tutti i freni delle macchine in produzione. Questo porterebbe a qualcosa che sa di controllo sociale, il che esula dai compiti dello psichiatra. Piuttosto è sacrosanta la pretesa che un’azienda come la Lufthansa monitori con attenzione i suoi piloti e che questi controlli, compresi quelli sull'assunzione di droghe, siano più approfonditi.

Andreas Lubitz non è Mohamed Atta, il terrorista dell'11 settembre, e nemmeno Anders Brevik, il norvegese che per fermare i danni del partito laburista e purificare la razza cristiana, fece il massacro in Norvegia nel 2011. Ma proprio per questo il suo gesto ci turba di più ed è destinato a lasciare una taccia più forte nella nostra mente. Perché mentre nei primi due attentati le motivazioni, quand'anche folli, erano in qualche misura riconoscibili, forse non sapremo mai cosa abbia spinto davvero il pilota della Germanwings a portare nel suo progetto di morte altre 149 persone.

Corrado De Rosa, psichiatra, autore di "La Mente Nera", "Mafia da legare" e  "I medici della camorra"