Ogni chilometro delle nuove linee ferroviarie ha costo che è più del triplo rispetto all’estero. E si teme che i cantieri in apertura scatenino altri appetiti
Dalle Alpi agli Appennini, con tanti fiumi e poche valli. Certo, la geografia d’Italia non aiuta le infrastrutture.Ma l’abbondanza di montagne e gli altri ostacoli naturali non bastano a spiegare il record nazionale: abbiamo le linee ferroviarie ad alta velocità più costose del pianeta. E questo accade anche quando i binari scorrono nella piatta Pianura Padana. Non solo. A rendere ancora più sorprendente questo primato italico, c’è un altro dato: le nuove linee inghiottono sempre più fondi di quelle precedenti. Tanto che per il nascente collegamento rapido tra Brescia e Verona, in un territorio di dolci colline che non pare così ostile ai cantieri, c’è chi arriva a ipotizzare una spesa di 70 milioni di euro al chilometro. Il doppio di quanto si investì per unire Milano e Bologna, quasi il triplo dell’esborso per i treni ultraveloci che in Cina vanno da Shangai a Hangzhou e poco meno del quadruplo di quanto la Spagna ha impiegato per realizzare la Cordoba-Malaga.
L’Alta velocità ha cambiato i costumi degli italiani, permettendo a milioni di passeggeri ogni anno di spostarsi tra Milano e Roma in tre ore. Anche se manca qualunque valutazione del rapporto costi-benefici, visto che per questa dorsale strategica lo Stato ha speso oltre venti miliardi di euro, incluso un finanziamento da 11 miliardi a carico del ministero del Tesoro con mezzo miliardo di interessi l’anno. Su queste basi economiche a dir poco incerte, i piani strategici del governo Renzi diventano molto dubbi. Il premier infatti vuole far partire subito i lavori della Brescia-Verona dai preventivi d’oro e pure quelli della Napoli-Bari. Ma sul piatto ci sono in tutto dieci miliardi di euro, mentre il conto finale - secondo diversi esperti interpellati da “l’Espresso” - potrebbe essere tre volte più salato.
IL PESO DELLE MAZZETTE Il mistero dell’alta velocità ad altissimo costo ha una spiegazione elementare: la corruzione. E non lo dicono i nostri magistrati, ma il Parlamento europeo che ha dedicato un rapporto alla questione solo un anno fa, stimando nel 40 per cento il rincaro dovuto a tangenti e ruberie assortite. Ecco i numeri dello spreco elencati in questo dossier: 47,3 milioni al chilometro per la Roma-Napoli, 74 milioni tra Torino e Novara, 79,5 tra Novara e Milano, oltre 96 per la Bologna-Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della tratta Parigi-Lione, i 9,8 della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della nipponica Tokyo-Osaka. Ci ha poi pensato un’associazione no profit americana, la Reason Foundation, a fare un confronto mondiale delle opere ferroviarie di questo tipo. Che ha ancora una volta riconosciuto il primato assoluto dell’Italia, con una media di 62 milioni di euro al chilometro, contro i 17 milioni spesi nel resto del mondo.
Non è solo una questione di costi, ma anche di vantaggi. Se unire Roma e Milano ha reso il treno competitivo con l’aereo, spesso i benefici su altre linee non paiono così clamorosi. «Ci sono solo due tratte redditizie, la Parigi-Lione e la Tokyo-Osaka, tutte le altre sono in perdita», spiega Renato Pugno, il professore che ha partecipato alla ricerca della Reason Foundation. È una delle critiche che vengono mosse alla nascente Brescia-Padova: la spesa ipotizzata è di dieci miliardi di euro, ma il risparmio finale sulla rotta complessiva Milano-Venezia sarà soltanto di quindici minuti. Marco Ponti, professore di Economia al Politecnico di Milano ed ex consulente per i trasporti della Banca Mondiale, crede che si tratti di una pessima iniziativa: «Provocherà un deficit di un miliardo e duecento milioni, che si aggiunge ai fondi necessari per costruire dal nulla binari e linee elettriche». I primi cantieri apriranno entro l’estate, con un doppio fronte caldo: quello delle spese e quello delle contestazioni. Sul versante della protesta, i più agguerriti sono i produttori di vino doc “Lugana” perché vedrebbero ridotta di duecento ettari la coltivazione del celebre bianco. Critiche dure anche dalle amministrazioni locali e dalle associazioni ambientaliste: non è prevista nessuna fermata né a Brescia, né sulle sponde del Garda, località che insieme valgono 30 milioni di passeggeri l’anno, terzo polo turistico più visitato d’Italia. Invece la Tav farà sosta all’aeroporto di Montichiari, sperduto scalo fantasma in attesa di perenne rilancio come hub per le merci, allungando il tracciato di 32 chilometri.
COME CORRE IL DENARO
IL PECCATO ORIGINALE Anche in questo caso, le opere sono figlie di progetti nati all’inizio degli anni Novanta, addirittura prima di Mani Pulite. Il peccato originale di tutte le linee è nello schema che fu adottato allora: ogni tratta è affidata a un general contractor, con consorzi di aziende che si spartiscono le commesse senza vere gare d’appalto. Nel 2003, quando il governo Berlusconi approvò la Brescia-Verona, il valore ipotizzato era di 2 miliardi e 50 milioni di euro. Adesso la cifra è lievitata a 3 miliardi e 954 milioni. E non è finita qui. C’è ancora da sommare un miliardo per le compensazioni dei cittadini che si vedranno passare la nuova ferrovia nel giardino di casa, secondo le stime dell’associazione Legambiente. Costo finale? Oltre cinque miliardi di euro. Ossia 70 milioni di euro per ogni chilometro di nuova linea tra le ville palladiane e i vitigni pregiati. Un preventivo che Rfi, Rete ferroviaria italiana, la società delle Ferrovie dello Stato, non conferma: «Le compensazioni non saranno superiori al due per cento del costo complessivo dell’opera e la nuova linea consentirà di utilizzare le rotaie già in uso per lo sviluppo dei traffici merci e gli spostamenti regionali».
Gli sponsor per questa linea lombardo-veneta al dicastero delle Infrastrutture non mancavano. A partire dall’ex ministro Maurizio Lupi che a dicembre difendeva la scelta: «Ci sono un miliardo e 980 milioni di euro per l’alta velocità da Brescia a Padova. Tutti e disponibili, ma adesso la cosa importante è spenderli». Ma sono proprio le rivelazioni dell’istruttoria che ha portato alle dimissioni di Lupi a fare luce sull’ingranaggio dei rincari. Che - stando alle indagini - faceva capo a Ercole Incalza. Già nel 2001, per velocizzare le grandi opere volute da Silvio Berlusconi, Incalza scrive la legge obiettivo. E da allora ecco che insieme all’imprenditore Stefano Perotti viene creata una macchina da guerra: il potente funzionario condiziona i lavori pubblici di autostrade, porti e alta velocità per 25 miliardi di euro, e l’amico incassa un corrispettivo stimato dai magistrati in almeno 250 milioni. Grazie alla solida relazione con Incalza, la società di Perotti, la Ingegneria Spm, si assicura sempre una fetta significativa dei fondi. Ma così lievitano anche i costi globali. «Perotti non faceva nulla, non si vedeva mai. Prendeva solo i soldi. La direzione dei lavori per il nodo alta velocità di Firenze era uno stipendificio», si sfoga un imprenditore intercettato dai pm di Firenze: «Con le varianti hanno aumentato del 40 per cento il valore dell’opera... Il 40 per cento sono tutte opere accessorie». La stessa identica stima di corruzione dell’Unione europea.
TUNNEL IN ARGENTO «Rispetto ai preventivi, le opere subiscono un extra costo del 100 per cento. Perché questa è una costosissima forma di corruzione, di scambio di favori. Tanto paga lo Stato», sostiene il professor Ponti. E in effetti, le tangenti provocano solo parte degli aumenti: nel conto finale pesano anche le installazioni inutili, decise solo per assecondare il potente di turno, e le ambiguità dei fini. Nella Milano-Torino, ad esempio, è stato assecondato il desiderio delle associazioni ambientaliste per consentire il transito anche di vagoni merci. Una condizione che ha imposto di disegnare in modo diverso curve e dislivelli, con l’aumento di un terzo dei costi rispetto al solo trasporto passeggeri. Così il progetto, accanto alla sigla Av, può fregiarsi anche dell’acronimo Ac (Alta capacità) anche se di treni merci capaci di viaggiare a 300 all’ora non ce ne sono «e se ci fossero sfascerebbero i binari», aggiunge Ponti. Mentre nella tratta più trafficata d’Italia, quella tra Firenze e Bologna, è stata la Regione Toscana a metterci lo zampino. «Con uno sforzo di fantasia incredibile ha chiesto e ottenuto che le gallerie tra i due capoluoghi consentissero anche il traffico di treni merci super voluminosi dilatando moltissimo i costi», spiega Ponti. E ancora i comuni di Bologna e Firenze che hanno preteso entrambi due stazioni sotterranee. «Abbiamo buttato oltre due miliardi. Con quella cifra si potrebbero realizzare tunnel in argento foderati con pelle di leopardo», ironizza il docente.
IL BOOMERANG DEL SUD Adesso la sfida è a Sud, con la prova della Napoli-Bari: 110 minuti per andare dal Tirreno all’Adriatico. È il più grande investimento previsto per il Mezzorgiorno, «sempre che non si trasformi in un boomerang, come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, se non si rispettano tempi e costi giusti. Il pericolo c’è e va scongiurato», ammette Ennio Cascetta, professore di Pianificazione dei sistemi di trasporto ed ex assessore della giunta campana Bassolino.
La tratta, in gestazione da dieci anni, è partita con il piede sbagliato e lo scorso anno è stata commissariata, affidando tutto a Michele Mario Elia, numero uno delle Ferrovie dello Stato. «Non è un vero e proprio conflitto d’interessi, ma in questo caso Elia assume il ruolo di controllore, costruttore e promotore del progetto. Servirebbero maggiori garanzie contro il rischio corruttibilità e la possibile infiltrazione criminale», ha dichiarato senza giri di parole Raffaele Cantone, il capo dell’Anticorruzione. Nel 2012 il progetto costava quattro miliardi e la previsione non è quella di realizzare una linea dell’alta velocità, ma di riqualificare quella esistente. Senza aver ancora cominciato i lavori, i costi sono già decollati a 7,1 miliardi perché si è deciso di allungare la tratta fino a Taranto senza alcuna analisi dell’utilità dell’opera e del traffico, stando ai calcoli realizzati dal dipartimento di economia del Politecnico di Milano. «Passare dal preliminare al definitivo non è un problema puramente tecnico», aggiunge Cascetta. «È lì che si annidano le insidie, le irragionevoli richieste dei territori attraversati che fanno lievitare i costi e rallentare i cantieri».
I problemi politici non mancano. I grillini hanno preso di mira la “variante di Grottaminarda”, sostenendo che il passaggio in Irpinia dei cantieri farà sprecare oltre due miliardi e mezzo, senza nessun vantaggio per la collettività. E bisogna poi decidere la destinazione del residuato di un’altra stagione di spese allegre: che fare della stazione di Afragola, che si trova alle porte di Napoli ed è stata disegnata dall’archistar Zaha Hadid? Diventerà uno snodo verso Bari o resterà un’opera fantasma?
I lavori della struttura sorta nel paese natale di Antonio Bassolino sono iniziati nel 2003: oggi siamo al terzo appalto - che da solo vale 61 milioni di euro - e non si vede ancora la fine. Ma questa sembra una caratteristica di troppe grandi opere, come sottolinea con un senso di rassegnazione il docente della Bicocca di Milano, Ugo Arrigo, esperto di analisi sui trasporti: «I progetti del Sud Italia sono ancora più oscuri e privi di progettualità. Del resto l’ultimo problema delle Ferrovie dello Stato è realizzare opere utili. Si limitano a fare quello che la politica chiede. Insomma, un tempo i faraoni costruivano le piramidi in mezzo al deserto, adesso i politici fanno le ferrovie».