
Un test significativo perché, per quanto i due campi siano distanti fra loro, la riforma targata Marianna Madia rispecchia l’approccio che l’esecutivo intende adottare anche verso il mondo dell’istruzione. A cominciare dall’assegnazione di maggiori poteri ai dirigenti, assimilati ?a manager e chiamati a giudicare il rendimento dei sottoposti.
Pure negli uffici pubblici la “rivoluzione” si basa infatti sulla valutazione dei dipendenti e l’introduzione di incentivi economici. Provvedimenti in grado ?di assicurare maggiore efficienza, secondo il governo, e che nel caso degli impiegati statali (ma non dei docenti) saranno accompagnati ?da procedure semplificate ?per le sanzioni disciplinari ?e i licenziamenti.
Una novità, quest’ultima, introdotta dopo il forfait di massa dei vigili urbani di Roma la notte di Capodanno, che ha costretto l’esecutivo a intervenire. Con un accorgimento pensato per aggirare la “collusione” che a volte si instaura fra superiori e subordinati in nome del quieto vivere: se non eserciterà l’azione disciplinare prima che scadano i termini per intervenire, a rischiare sanzioni sarà il dirigente stesso.
Ma le convergenze non finiscono qui. Altro punto in comune con la “Buona scuola” è anche il ricorso alla mobilità, pensata per coprire ?i posti vacanti attraverso la ridistribuzione del personale. Obiettivo: esaudire le aspirazioni professionali attraverso la possibilità ?di trovare nuove sedi ?di lavoro, più stimolanti ?o semplicemente meno distanti da casa.
In ogni caso i tempi sono ancora lunghi: approvata ?dal Senato a fine aprile dopo sette mesi di gestazione, ?la riforma della Pubblica amministrazione ancora deve iniziare l’iter alla Camera. ?E, fra via libera definitivo ?alla legge ed emanazione ?dei decreti attuativi, è difficile che le nuove norme entrino ?in vigore prima del prossimo anno.