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Le testimonianze di siriani, eritrei, somali e nigeriani salvati nel Canale di Sicilia sono concordi: alcuni “carichi di esseri umani” sono stati deliberatamente sacrificati in mare, in modo da spingere l’Europa a mobilitare le navi per i soccorsi. E potere così spingere altre barche verso la Sicilia, sempre più fragili, sempre più stipate di uomini, donne, bambini. Se affondano, per i nuovi negrieri non è un problema: il loro guadagno è assicurato, perché il biglietto di sola andata si paga in anticipo. Tra i mille e i duemila dollari a testa. Il che significa fatturati da record: dall’inizio dell’anno sono sbarcati in 41 mila garantendo ai clan dei trafficanti un incasso superiore a 50 milioni di euro.
Ora i pm di Palermo stanno ricostruendo questo flusso di denaro, alimentato dall’esodo verso l’Occidente. A dare agli investigatori la chiave del forziere è un trafficante, arrestato un anno fa dalla polizia durante l’operazione “Glauco 1”: oggi “parla” con i pm. L’inchiesta della procura guidata da Franco Lo Voi punta al capo dell’organizzazione: Ermias, un etiope che da anni vive nei pressi di Tripoli, ma con moglie e figlia “emigrate” in Germania. Ermias è latitante per le autorità italiane. Ma il neo “pentito” dei trafficanti sta aprendo scenari assolutamente inediti sulla rete che sfrutta la disperazione: è il primo personaggio inserito nel vertice del traffico che collabora con i magistrati. È stato lui a spiegare come vengono scelte barche “usa e getta”, che non hanno la capacità di arrivare a Lampedusa.
Più la flotta italiana ed europea si avvicina, più scafi si possono usare, perché vengono fatti partire barconi che riescono appena a galleggiare. All’organizzazione basta che raggiungano il limite delle acque territoriali libiche, poi lanciano l’Sos e tocca alle navi occidentali occuparsi di loro. È accaduto con Mare Nostrum. Quando poi, con l’avvio del dispositivo Frontex, l’area pattugliata si è allontanata, con le stragi i clan sono riusciti a obbligarne l’estensione: un cinico ricatto sulla pelle dei naufraghi. Secondo Amnesty International lo stop di Mare Nostrum non ha fermato gli sbarchi, ma ha moltiplicato i morti.
Questa ricostruzione ha solo confermato i sospetti esistenti da tempo. Totalmente nuove invece le rivelazioni sui movimenti finanziari che ora vengono analizzati dagli specialisti del Servizio Centrale Operativo della polizia. Il “pentito” ha indicato nomi di complici e particolari significativi: la pista per arrivare alla cassaforte in cui, mese dopo mese, vengono versati decine di milioni di dollari.
Chi è il beneficiario di questo tesoro? Chi si nasconde dietro al trafficante Ermias? Lo scrigno è stato individuato a Dubai, dove viene dirottato il principale flusso di denaro. Altri canali economici sono stati individuati in Africa, nella zona subsahariana, dove una parte dei soldi viene investita in alcuni villaggi: un sistema per creare consenso sociale intorno ai trafficanti nelle loro zone tribali d’origine. Per il momento gli inquirenti escludono che questi flussi di denaro possano servire per finanziare gruppi terroristici. Anzi, il neo pentito nega contatti o collegamenti con il fondamentalismo jihadista. In base ai dati raccolti Ermias sembra incassare solo una piccola percentuale mentre il resto viene versato al “suo capo” che è «un libico che soggiorna spesso in Arabia Saudita».
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Ermias offre un pacchetto completo: gestisce le carovane di profughi dal Sudan, dall’Eritrea e dall’Etiopia attraverso l’Africa fino alla Libia. È originario di Addis Abeba ma vive a Tripoli, nel quartiere di Abu sa’, da dove si sposta frequentemente per raggiungere le località costiere di Zuwara, Zawia e Garabulli, dalle quali salpano le imbarcazioni dirette in Sicilia. Fino a poco tempo fa era in contatto con suo fratello Asghedom, domiciliato presso il centro di accoglienza di Mineo vicino a Catania, dove nell’aprile dello scorso anno gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico. Da alcune intercettazioni si comprende che fra i boss degli scafisti ci sono visioni diverse. C’è John, un trafficante che suggerisce a Ermias di «non far partire più in futuro persone contro la loro volontà» e lo invita a convincere un altro organizzatore di viaggi, Teferi, a seguire questa linea. Ma a Ermias il consiglio non sembra interessare: è ritenuto l’organizzatore del viaggio che il 3 ottobre 2013 provocò la morte di 366 migranti davanti a Lampedusa.