«Da oggi in poi comando io...se no vi piscio in bocca». La presunta minaccia l'avrebbe pronunciata il senatore Azzollini per convicere le suore a fare un passo indietro. C'è anche questo nell'indagine sul crack della Divina provvidenza. E nella bufera è finito proprio il senatore del Nuovo centrodestra Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama. Per lui la procura di Trani ha chiesto i domiciliari e ora le carte sono arrivate alla giunta dell'immunità che dovrà esprimersi sulla richiesta.
Dopo la tegola di Mafia capitale sul sottosegretario Ncd Giuseppe Castiglione, per il ministro Alfano, e quindi per Renzi, una nuovo caso rischia di minare un'alleanza che ha resistito ha prove giudiziarie durissime. L'operazione è della guardia di finanza di Bari che ha eseguito dieci arresti, tre in carcere e sette ai domiciliari. Le accuse per gli indagati sono, a vario titolo, associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, induzione indebita e altri reati per il crac delle case di cura Divina Provvidenza, con sede a Bisceglie, a Potenza e Foggia.
Tra i destinatari del provvedimento c'è, appunto, il senatore Azzollini. Ai domiciliari anche due suore che gestivano l'ente ecclesiastico: suor Marcella Cesa e suor Assunta Pulzello. Indagato anche Raffaele Di Gioia, parlamentare del Psi-Gruppo misto, la cui figlia è stata assunta con uno stipendio di 119 mila euro lordi all'anno.
In carcere sono finiti Dario Rizzi, 64 anni, ex direttore generale della Divina Provvidenza; Antonio Battiante, 43 anni, ex direttore generale e amministratore di fatto dal 2010, e Rocco Di Terlizzi, anche lui amministratore di fatto ma dal luglio 2009. Ai domiciliari, insieme con le due religiose, sono andati Angelo Belsito, 68 anni, amministratore di fatto dal luglio 2009; Antonio Damascelli, 67 anni, consulente fiscale; Adriana Vasiljevic, 29 anni, e Augusto Toscani, 69 anni, collaboratori dell'ente ecclesiastico gestito dalla congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza.
Il motto delle Ancelle? “Charitas Christi urget nos”. Qualcuno però, stando all'inchiesta, è andato ben oltre la carità. A disposizione dell'associazione finita sotto inchiesta alcuni conti ben protetti dalle mura dello Ior. Che la procura ha scoperto grazie alla collaborazione rapida del Vaticano. Lo stesso procuratore di Trani ha ringraziato per la cooperazione la banca della Santa Sede, sottolineando il fatto che il nuovo corso di Papa Francesco sta dando i primi frutti.
Ma è il senatore Azzollini che nelle carte dei pm ritorna più volte. Nell'ordinanza di custodia cautelare il gip riporta una frase choc che il politico avrebbe detto alle suore. Non è una frase intercettata, ma riferita da un testimone sentito dai pm: «Da oggi in poi comando io, se no, vi piscio in bocca». La «frase, la cui portata intimidatoria si apprezza in tutta la sua incisività in considerazione del destinatario della stessa (le suore), inaugura la stagione del potere azzolliniano sulla struttura ecclesiastica, una stagione, come più volte detto, caratterizzata dall’innesto all’interno della Congregazione di tre uomini (Belsito, Di Terlizzi e De Bari) deputati ad amministrare l’Ente secondo i dettami del politico, a controllarne quotidianamente gli affari, a pilotare assunzioni e rapporti negoziali, con tanto di trasmissione in anteprima al politico dei principali provvedimenti attinenti la gestione (bilancio, piano di concordato, progetti di esubero del personale, ecc.)».
I magistrati dunque gli contestano assunzioni di personale e di scelte di fornitori «a lui graditi, al fine di ordire la propria egemonia sull’Ente e dunque di assicurarsi un sicuro bacino di consenso politico-personale,». Così un ex consulente dell'Ente descrive il potere azzoliniano: «Il senatore Azzollini ci ha promesso di intervenire, se ci può aiutare, però ha messo come condizione che entra far parte dell’organizzazione un consulente suo, di sua fiducia, un altro commercialista».
Un altro testimone ha dichiarato: «Tutti quelli che affluivano dal dottor Rizzi, Angelo Belsito e dal senatore Azzollini, venivano subito, come dire, accettati, venivano assunti, venivano ossequiati perché erano imposti dal senatore Azzollini».
Da quando il senatore ha messo le mani sul centro alcuni dipendenti hanno iniziato a lamentarsi delle assunzioni fatte a casaccio, nonostante molti altri venissero invece licenziati: «Con l’avvento nella Congregazione del senatore Azzollini e dei suoi uomini la qualità del personale dell’Ente era ulteriormente peggiorata (“una macelleria”” la definisce Dario Rizzi), con ciò implicitamente evidenziando che le successive assunzioni da loro imposte si erano ispirate a criteri meramente clientelari».
Dopo appena sei mesi il "caso Azzollini" torna a rappresentare dunque una nuova, pesantissima grana per Renzi e il suo sempre più scomodo alleato di governo del Nuovo centrodestra. Che dopo Maurizio Lupi e il sottosegretario Giuseppe Castiglione vede di nuovo un suo esponente finire nelle carte di un'inchiesta della magistratura.
A dicembre scorso, infatti, il Pd aveva già salvato il potente senatore alfaniano, presidente della commissione Bilancio, dove passano tutte le decisioni sui provvedimenti dalle ricadute economiche, a cominciare dalla legge di stabilità: era risultato determinante per negare l'uso delle intercettazioni nell'inchiesta che lo vede indagato per la presunta truffa dell'ampliamento del porto di Molfetta, cittadina di cui il parlamentare è stato sindaco fino al 2012.
Una decisione giunta dopo una melina lunga quasi un anno e fatta di continui rinvii: 11 sedute in 7 mesi, due richieste di integrazioni istruttorie chieste al giudice e altrettante audizioni di Azzollini, perfino una disputa sulle date in cui erano iniziati gli ascolti. E alla fine, come ha scoperto l'Espresso, nel corso della seduta decisiva della Giunta delle immunità c'è voluta perfino una riunione d'emergenza dei senatori Pd per convincere gli scettici a uniformarsi alla linea del partito.
Così alla fine, dopo dieci mesi di passione, il Senato ha negato l’uso delle intercettazioni. Peraltro con una motivazione assai discutibile: era chiaro che mettendo sotto controllo i telefoni degli altri indagati i pm avrebbero intercettato anche il parlamentare, ha motivato nella sua relazione il senatore Pd Claudio Moscardelli. Adesso lo spettro dell'arresto di Azzollini torna ad agitare le acque della maggioranza. E se il buongiorno si vede dal mattino, il clima non sembra essere dei migliori.
Prima ancora di leggere le carte, i senatori Ncd si sono riuniti (alla presenza dello stesso Azzollini) e hanno fatto quadrato attorno a lui, esprimendogli "vicinanza umana e solidarietà politica" e riconoscendone "la trasparenza dell'operato e la correttezza istituzionale". Dal Pd, invece, il silenzio più assoluto. E forse qualche imbarazzo.