Sentenza

Zaia, la Corte boccia l'indipendenza veneta

di Paolo Biondani   25 giugno 2015

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I giudici costituzionali annullano il referendum regionale varato dalla giunta leghista per ottenere la secessione. Stop anche allo statuto speciale. Ammesse solo consultazioni minori, senza violare l'unità dello Stato italiano né i principi di solidarietà fiscale con le regioni meno ricche

La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum per l'indipendenza del Veneto, previsto da una legge regionale varata dal governatore leghista Luca Zaia, ma contestata dal governo Renzi per violazione del principio fondamentale di unità dello Stato italiano. I “giudici delle leggi” hanno dichiarato incostituzionale anche gran parte della normativa regionale che prevedeva un secondo referendum per  trasformare il Veneto in una regione a statuto speciale e trattenere nel suo territorio oltre l'ottanta per cento delle tasse. La Corte Costituzionale ha ammesso solo la possibilità di indire referendum consultivi minori, per concedere più poteri all'amministrazione veneta, ma nei limiti dell'autonomia già riconosciuta dalla Costituzione e nel rispetto degli obblighi di solidarietà fiscale con le regioni meno ricche.

Gli avvocati della giunta Zaia avevano cercato di difendere la costituzionalità del referendum sull'indipendenza sostenendo che si sarebbe trattato di un semplice “sondaggio” della popolazione veneta, con un costo previsto di 14 milioni di euro, da coprire con ipotetiche donazioni private.  

La sentenza, depositata oggi, è firmata dal presidente Alessandro Criscuolo e dal giudice relatore Marta Cartabia. Il passaggio centrale della motivazione è molto netto: «Il referendum consultivo (sull'indipendenza del Veneto) lnon solo riguarda scelte fondamentali di livello costituzionale, come tali precluse ai referendum regionali secondo la giurisprudenza costituzionale, ma suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all'articolo  5 della Costituzione. L’unità della Repubblica è uno di quegli elementi così essenziali dell’ordinamento costituzionale da essere sottratti persino al potere di revisione costituzionale (sentenza n. 1146 del 1988)».

«Indubbiamente, come riconosciuto anche da questa Corte, l’ordinamento repubblicano è fondato altresì su principi che includono il pluralismo sociale e istituzionale e l’autonomia territoriale, oltre che l’apertura all’integrazione sovranazionale e all’ordinamento internazionale; ma detti principi debbono svilupparsi nella cornice dell’unica Repubblica: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali» (articolo 5 della Costituzione.)».

«Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, pluralismo e autonomia non consentono alle Regioni di qualificarsi in termini di sovranità, né permettono che i loro organi di governo siano assimilati a quelli dotati di rappresentanza nazionale (sentenze n. 365 del 2007, n. 306 e n. 106 del 2002). A maggior ragione, gli stessi principi non possono essere estremizzati fino alla frammentazione dell’ordinamento e non possono essere invocati a giustificazione di iniziative volte a interpellare gli elettori, sia pure a scopo meramente consultivo, su prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano. Una iniziativa referendaria che, come quella in esame, contraddica l’unità della Repubblica non potrebbe mai tradursi in un legittimo esercizio del potere da parte delle istituzioni regionali e si pone perciò extra ordinem».