Pressing della Mogherini per la fase due dell'operazione europea contro i trafficanti. Tra difficoltà diplomatiche, dubbi sui rischi dei raid. E una certezza: se l'intervento non scatterà entro ottobre, rischierà di rimanere inutile

L'Europa non ha rinunciato a fare la guerra agli scafisti. E mentre un'ondata crescente di profughi si accalca alle frontiere, la diplomazia è al lavoro per varare la “fase due” della missione armata di contrasto. Un'operazione che – stando alle parole di Federica Mogherini – potrebbe scattare «nel giro di poche settimane», colpendo i trafficanti in mare, non appena lasciano i confini libici.

La flotta Ue è stata formata il 22 giugno scorso: la comanda un ammiraglio italiano e finora si è dedicata a mettere insieme lo staff internazionale che sulla portaerei Cavour dovrà gestire lo schieramento. Per due mesi ha incrociato al largo delle acque libiche, soccorrendo 1.500 migranti che si trovavano in difficoltà ma soprattutto raccogliendo informazioni sulle organizzazioni dei trafficanti, gli ormeggi e i metodi in azione.

«Sulla base delle attività di intelligence già eseguite, avremmo già potuto intervenire 16 volte contro gli scafisti», ha dichiarato il 3 settembre la Mogherini, responsabile della Politica estera e della Difesa europea, che ha chiesto formalmente di autorizzare la seconda fase. Quella in cui navi, elicotteri e commandos daranno la caccia ai trafficanti in acque internazionali.
Federica Mogherini

A Bruxelles il via libera all'operazione “combat” adesso deve superare ostacoli diplomatici e militari. La Germania, che ha fornito due delle quattro navi militari presenti nel Mediterraneo, è dubbiosa sull'impiego delle armi contro gli scafisti e deve fare i conti su una legislazione molto restrittiva per le azioni militari all'estero.

Francia e Inghilterra invece continuano a studiare linee di azione autonome in Libia, rivolte soprattutto a colpire i campi d'addestramento dello Stato islamico, e hanno dato un contributo simbolico alla flotta comune. Senza dimenticare la posizione delle Nazioni Unite, espressa più volte dal segretario generale Ban Ki-Moon, contrarie all'uso della forza in presenza di profughi.
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Ma questa è una missione voluta soprattutto dall'Italia, per la quale il premier Matteo Renzi si è speso personalmente più volte e che rappresenta l'iniziativa più importante realizzata dalla Mogherini nel suo mandato europeo.

Tutto si deciderà nel giro di poche settimane. Ottobre infatti è sempre stato un mese chiave per i trafficanti, che sfruttano le condizioni favorevoli del mare per intensificare le partenze prima dell'inverno. E se la flotta non diventerà operativa entro questo mese, di fatto sarà relegata a un ruolo simbolico.

Oltre all'approvazione dei governi, bisognerà potenziare la flotta navale che conta soprattutto sulla portaerei Cavour, con i suoi caccia a decollo verticale Harrier e i suoi elicotteri che possono trasferire rapidamente squadre di commandos. Al momento è affiancata solo da una fregata e un rifornitore tedeschi, assieme a un piccolo vascello inglese. Mentre i piani d'azione iniziali prevedono la presenza di almeno cinque navi da guerra e due sottomarini, in grado di sfruttare l'effetto sorpresa, oltre a un robusto supporto di forze speciali, droni e aerei spia.

Sull'efficacia dell'intervento però restano molte perplessità. Solo nella “fase tre”, che al momento appare remota, si interverrà contro le basi a terra dei trafficanti che – contrariamente a quanto avveniva per i pirati somali – in Libia si trovano in zone abbastanza popolate. Mentre da settimane ormai le gang dei nuovi schiavisti non lasciano i loro uomini a bordo dei barconi, affidando il timone a profughi con risultati drammatici sulla sicurezza delle imbarcazioni.

Il controllo delle acque libiche potrebbe permettere di ostacolare il rifornimento di mezzi, intercettando vecchi pescherecci e altre barche durante il trasferimento dalla Tunisia o dall'Egitto: in questo modo i trafficanti potrebbero contare solo sui gommoni, da fare arrivare via terra. Ma la Libia ha 1.770 chilometri di coste: monitorarle tutte, anche con l'uso di satelliti e aerei spia, potrebbe rivelarsi lungo e costoso.

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