Premio Saverio Tutino

L'orrore della Grande Guerra raccontato dalla trincea. La testimonianza che diventa denuncia

di Nicola Maranesi   22 settembre 2015

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Il diario del sottotenente aretino Giuseppe Salvemini ha vinto la trentunesima edizione della competizione letteraria organizzata dall'Archivio di Pieve Santo Stefano. Un evento che rientra tra quelli realizzati per i cento anni dallo scoppio del primo conflitto mondiale, in collaborazione con il Gruppo Espresso

Il diario della Prima guerra mondiale del sottotenente aretino Giuseppe Salvemini ha vinto la Trentunesima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, il concorso annuale organizzato dall’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano e riservato alle scritture autobiografiche inedite degli italiani. E attraverso le pagine scritte da questo giovane soldato anche l’Archivio, come l'Espresso ha fatto da tempo, si schiera a favore di un atto di clemenza per i soldati italiani condannati a morte per motivi disciplinari, e fucilati, durante la Prima guerra mondiale. Perché sarebbe impossibile, per chiunque, non fare propria la denuncia che affiora da uno dei passaggi più sconvolgenti di questa testimonianza di guerra.

Io stesso – scrive Salvemini in un momento di pausa delle ostilità - ho assistito alla fucilazione di molti soldati! Non posso raccontare lo strazio che ho provato nell’udire i loro rantoli! Nulla in paragone sono i gemiti dei feriti, i lamenti, le grida e le imprecazioni dei combattenti! Nulla la scena terribile del campo di battaglia! Lo spettacolo della fucilazione è qualcosa di opprimente e di soffocante. A noi stessi par di soffocare dal dolore e di morire allo sparo dei fucili! I miseri condannati, legati mani e piedi, vengono gettati come sacchi di stracci, in un greppo o scarpata del monte e nessuno si cura se si sono rotti qualche braccio o qualche gamba! Tanto è gente che deve morire! Essi rantolano terribilmente! Il loro rantolo non ha nulla di umano! Sembra il rantolo di bestie strozzate! Altri hanno la faccia di dementi e vanno ripetendo, come presi da fissazioni: ”Mamma, o mamma, o mamma…” oppure: ”figli miei, figli miei”. Altri ripetono di continuo nel rantolo il nome di Dio! I loro occhi sono fuori le pupille e il loro sguardo è spaurito e stravolto! Tutto il loro corpo trema, come preso da convulsioni! A toccarli e a chiamarli non sentono! Dove vengono buttati, lì rimangono, anche se la posizione è scomoda. Sono corpi incolumi e sembrano già morti.

Intanto sei o sette carabinieri, a tre o quattro metri di distanza, s’allineano e fanno sentire lo scattare delle loro armi! In questo momento alcuni, quelli più in sé, gettano grida disperate e invocano Iddio; altri rinforzano i loro rantolo! Una scarica improvvisa pone fine al loro martirio! Il piombo, pare che l’inchiodi nel terreno! Dopo poco però, si vede ancora qualche braccio o qualche gamba muoversi, ed il corpo loro tremare come un individuo che abbia il ticco nervoso! Un’altra scarica li inchioda ancora al terreno! Bensì per ucciderli bene, danno sempre 3 o quattro scariche! I cadaveri vengono lasciati lì! Sono bucherellati come crivelli! Dopo un paio di giorni puzzano, insieme agli altri! La metà di loro, io credo siano innocenti! O almeno ignari e inconsci di quello che hanno commesso! Questa è la terribile giustizia del fronte! Al Comando di Divisione, ovunque giriamo lo sguardo, vediamo mucchietti di cadaveri allineati. Sono tutti stati fucilati!


Queste parole riaffiorano oggi dall’oblio anche grazie all’attività dell’Archivio dei diari e alla collaborazione nata due anni fa con l’Espresso per commemorare il Centenario dallo scoppio della Grande Guerra. Il progetto online “La Grande Guerra - I diari raccontano” e la collana di libri “Cronache dal fronte” hanno acceso fari di interesse sulla memorialistica del ’15-18, favorendo la riscoperta delle testimonianze inedite da parte delle famiglie proprietarie e stimolando la trasmissione delle documentazioni verso i centri di raccolta.
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Il diario di Salvemini sarà conferito dalla famiglia al fondo inedito “L’Espresso – I diari raccontano” istituito presso la fondazione di Pieve Santo Stefano, e alcuni tra i frammenti di scrittura più significativi saranno presto consultabili su “La Grande Guerra – I diari raccontano” insieme alle decine di altri diari, memorie ed epistolari che sono stati esaminati, trascritti e resi fruibili a centinaia di migliaia di utenti internet.

La testimonianza di questo giovane soldato, che verrà in seguito pubblicata integralmente da Terre di Mezzo nella collana I diari di Pieve, che ci appare emblematicamente divisa in due parti, come scritte da autori diversi. Della prima è protagonista un ragazzo spensierato, il Salvemini che parte per la guerra lasciando la guerra sullo sfondo di una vita che è concentrata sull’amicizia, sull’amore, sulle passioni scatenate dall’incontro con le ragazze che conquista durante il periodo di addestramento e persino al fronte, a pochi chilometri dalla prima linea, nei momenti di pausa dai combattimenti.

Sarà la Decima battaglia dell’Isonzo del maggio 1917 e saranno gli orrori ai quali assiste Salvemini a reprimere questa spensieratezza, segnando l’inizio della seconda parte di un diario che finisce per traboccare dolore e violenza. Continuamente cadevano vicino e sopra noi membra spezzate, frammenti di corpo, materia calda e sanguinolente e ci macchiava gli abiti, il volto e ci terrorizzava dallo spavento. Il medico […] continuava a tagliare ed a gettare davanti a se, in un mucchio, braccia, gambe, mani, pezzi di carne e ritagli di pelle sanguinanti. Poi i due aiutanti indoravano con la tintura di iodio la parte amputata e la impacchettavano di cotone, fasciandola strettamente con la garza. Quindi prendevano il misero e, come una balla di stracci, lo gettavano nel mucchio dei feriti fasciati! […]. Da sotto a quei corpi umani colava il sangue, come cola l’acqua da un mucchio di stracci bagnati!

Ricoverato in ospedale a causa di un’intossicazione da gas asfissianti, Giuseppe subisce anche l’affronto di non veder riconosciuto il proprio sacrificio dai comandi militari e dalla struttura ospedaliera, che insiste per fargli firmare un documento di dismissione dall’ospedale che sminuisce la gravità delle sue condizioni di salute. Ottenuto il congedo, un anno dopo il ritorno a casa, a soli 21 anni Giuseppe muore proprio per i postumi di quella intossicazione.