Mafia Capitale e Casamonica: in autunno arriva la carica dei 101

Nella relazione del prefetto individuati politici e burocrati romani “utili e funzionali” alle trame criminali di Buzzi e Carminati. Così nei prossimi mesi altri segreti di un vasto sottobosco criminale verranno alla luce

A Roma i Casamonica li hanno sempre chiamati zingari. E nel significato dispregiativo del termine. Ma nonostante i romani conoscano i loro traffici illegali, che durano da decenni, abbiano paura della violenza e potenza del clan, tutto ciò ancora non basta per additarli come criminali o ancor più come mafiosi.

Eppure i loro metodi, le loro azioni, rientrano perfettamente in quelli tipici delle organizzazioni criminali. Proprio per questo motivo tre anni fa “l’Espresso” li ha inseriti fra “i 4 Re di Roma” con Carminati, Senese e Fasciani. Perché i Casamonica sono un clan organizzato che incute terrore, traffica con la droga, ricicla denaro, commercia auto rubate, soffoca commercianti e imprenditori con i prestiti ad usura. Insomma inquinano l’economia legale di una vasta zona a Sud della Capitale, dove molti vivono in un clima di paura e di sottomissione.

Il semplice aleggiare di quel cognome, scriveva in una informativa più di quindici anni fa l’allora colonnello Tomasone, capo centro Dia a Roma «evoca apprensione e senso di insicurezza, poiché associato ad una diffusa attività criminale sul territorio». Così hanno accumulato un patrimonio illegale che arriva a superare i cento milioni di euro. I tanti arresti subiti in questi anni non sembrano aver scalfito il potere dei Casamonica. E questo ha radicato nella società civile e negli stessi membri del clan una malcelata idea di impunità. 
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Negli ultimi nove mesi si è parlato molto di Mafia Capitale, di Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e del clan Fasciani. Può anche essere che, potenti e arroganti come sono, i Casamonica si siano sentiti esclusi dalla “visibilità” mediatica creata dall’indagine della procura di Roma. E che il funerale del “padrino” Vittorio Casamonica, patriarca di questo clan, sia servito agli zingari per far tornare a parlare di sé. Non è certo una sfida allo Stato quella che hanno voluto lanciare con il funerale da “re di Roma”. Si è trattato, semmai, di un messaggio diretto al loro interno e in particolare alle loro vittime e agli abitanti della zona  sud di Roma.

Hanno voluto sottolineare che, nonostante Carminati, il clan è forte e presente. Come dice il prefetto Gabrielli, è estremamente grave ciò che è accaduto, a cominciare dalla sottovalutazione dei fatti. Tutto questo non è ammissibile a Roma nell’anno del Giubileo e con la minaccia terroristica in agguato. 

Perché si è scivolati in questo errore di valutazione? Perché a Roma negli ultimi vent’anni la parola d’ordine è stata quella di evitare di parlare della presenza di criminalità organizzata, o peggio di mafia. E dunque sono mancate anche le indagini. Vent’anni di rimozione “culturale” pesano. E la mentalità collettiva non cambia all’improvviso solo perché a Roma è arrivato un procuratore, Giuseppe Pignatone, che dice, e dimostra, come nella Capitale la mafia esista e sia uno dei problemi più gravi della città. Occorre far crescere una cultura che non abbia paura di riconoscere e chiamare col suo nome il metodo mafioso. Bisognerebbe fare appello a tutte le persone di buon senso, visto che i protagonisti della vita culturale romana non si sono accorti del male che colpiva la città, e ancora adesso non discutono del problema. Mentre si fa sentire l’azione mediatico-culturale di chi tenta di smontare l’impalcatura giudiziaria, sminuendo la portata dei fatti. Anche se non è operazione facile.

Certo, per gli uomini di cultura “progressisti” sarà dura puntare il dito su personaggi come Salvatore Buzzi o Luca Odevaine, che per una certa sinistra rappresentavano un punto di riferimento nel sociale. Sarà difficile digerire le storie che l’inchiesta rivelerà ancora nei prossimi mesi. Un’indagine su una mafia che intreccia politica e malaffare. Vicende di imprenditori e faccendieri, dove il rosso e il nero si confondono davanti al colore dei soldi. L’inchiesta è stata chiusa in tempi record, a nove mesi dagli arresti. La procura  ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per 59 imputati, fra questi Carminati, ritenuto il capo di Mafia Capitale. Un dato importante se si tiene conto delle tradizioni della giustizia romana, abituata a fare della lentezza la sua cifra principale.

Quella che ci aspetta è dunque una stagione autunnale piena di sorprese. Il funerale dei Casamonica con la musica del “Padrino” è stato solo l’apertura, anzi l’aperitivo, dello scenario che possiamo intravedere. A novembre ci sarà il dibattimento del maxi processo, ma ancor prima sarà nota l’imponente relazione scritta dalla commissione d’accesso presieduta dal prefetto Marilisa Magno. Forse la sorpresa principale sarà il “focus” su 101 nomi della politica e della burocrazia romana. Sono le persone che secondo la commissione formano il “capitale sociale” dell’associazione criminale. Una “carica dei 101” dove i protagonisti, anche se molti non sono ancora indagati, risultano essere stati «utili e funzionali» alle trame di Buzzi e Carminati. 
Non resta che sperare nel buonsenso dei romani.

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