I dati dicono che il numero degli occupati è in crescita. E le imprese apprezzano ?la riforma. Ma molto dipende dagli incentivi, che scadono a fine anno. E per rendere stabile il segno più si deve puntare su formazione e investimenti

Maurizio Landini non ha dubbi: per lui il Jobs Act è «una legge sbagliata, che dev’essere contrastata e cancellata». Sergio Marchionne, invece, lo apprezza tantissimo: grazie alla riforma del mercato del lavoro avviata a inizio anno dal governo, ha detto, l’Italia «ha smesso di essere una realtà anomala».

Un giorno sì e un giorno no, il dibattito politico italiano si infiamma su una delle più discusse riforme del premier Matteo Renzi, il cosiddetto Jobs Act. Nove mesi di vita non sono infatti bastati per consolidare il consenso e placare le polemiche sulla rivoluzione voluta dal governo per cambiare il mondo del lavoro. Sindacati, imprenditori e economisti stanno elaborando dati e valutazioni sugli effetti della riforma, e per i partiti le sfumature di ogni colore sono tutte buone per esaltarne i pregi o attaccarne i difetti.
Dati
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Una delle ragioni di tanta agitazione è semplice: il numero delle persone che hanno un lavoro sta crescendo in misura molto progressiva, senza la fiammata che forse si augurava Renzi. C’è però una seconda ragione, meno analizzata della precedente ma in prospettiva più importante: al di là degli effetti immediati sull’occupazione, infatti, il Jobs Act sta cambiando il lavoro in maniera profonda, con conseguenze sui contratti, la cassa integrazione, le ristrutturazioni aziendali e il ricollocamento, che diventeranno sempre più cruciali con il passare del tempo.
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Lo certificano, ognuno a modo suo, i giudizi di persone con opinioni molto lontane fra loro, come gli stessi Landini e Marchionne. Il leader del sindacato metalmeccanico Fiom ha rilanciato l’idea di un referendum abrogativo del Jobs Act, che considera una specie di Belzebù per aver dato alle imprese la possibilità di licenziare in modo più semplice. Un punto che il numero uno di Fiat-Chrysler vede in maniera opposta. «Il fatto che ci sia un sistema di regole per gestire anche una potenziale contrazione del mercato aiuta moltissimo», ha ammesso Marchionne, che ha appena assunto con il nuovo contratto a tempo indeterminato e tutele crescenti 1.600 giovani, in gran parte (1.478) nello stabilimento di Melfi, ribaltando però la prospettiva con cui guardare al Jobs Act: se è più facile licenziare, è altrettanto vero che si assume più facilmente quando le cose vanno bene.


IL MOMENTO PEGGIORE: UN ANNO E MEZZO FA

I numeri, dunque. Dal punto di vista dell’occupazione il momento più nero della recessione è stato toccato a inizio 2014. Nel buio trimestre invernale gennaio-marzo, guardando i dati grezzi dell’Istat, non depurati dagli effetti stagionali, il numero degli occupati in Italia era crollato a 22 milioni di persone. Poi è iniziata la ripresa. Nel successivo mese di dicembre 2014 le persone con un lavoro erano risalite a 22,3 milioni, per la precisione 349 mila in più rispetto a nove mesi prima (sempre dati non destagionalizzati).

Nel primo trimestre 2015 c’è stato un nuovo contraccolpo della crisi, probabilmente perché le aziende aspettavano l’entrata in vigore del Jobs Act e di valutare lo sconto sui contributi garantito dalla legge di stabilità per le assunzioni fatte nel 2015. Poi, tra aprile e giugno, la ripresa è tornata a farsi sentire, e gli occupati sono tornati a quota 22,4 milioni, un livello che non si vedeva da fine 2012. L’istituto di statistica ha già annunciato che il recupero è proseguito anche in luglio ma per le cifre definitive occorre attendere. Altri dati dicono che i lavoratori dipendenti aumentano, gli autonomi calano: un segno, assieme all’aumento dei dipendenti over 50, che le imprese stanno inserendo in organico collaboratori già testati, per beneficiare degli incentivi.

Su queste cifre, nei mesi passati, si è scatenata la battaglia. Tra calcoli sbagliati del ministero del Lavoro, tweet euforici di Renzi, momenti di godimento da parte dei suoi avversari di fronte a qualsiasi dato non brillante, lo scontro è stato serrato. Sta di fatto che l’Inps ha iniziato a diffondere il numero dei nuovi contratti a tempo indeterminato che vengono comunicati all’istituto di previdenza: nel primo semestre 2015 ne ha contati 470 mila in più rispetto a un anno prima. Facendo la tara alle diverse fonti informative, Bruno Anastasia, economista dell’osservatorio Veneto Lavoro, arriva alla conclusione che nella prima metà dell’anno siano stati «creati 370 mila posti di lavoro stabili», il 40 per cento in più rispetto a quanto era avvenuto nel 2014. Difficile dire, per ora, quanto abbiano influito sul risultato le caratteristiche del nuovo contratto a tutele crescenti e quanto l’ingente taglio di contributi per il primo triennio di lavoro. Anastasia pensa che, in questa fase, abbia pesato più la decontribuzione ma gran parte degli economisti e degli addetti ai lavori ritiene che, alla lunga, gli effetti duraturi del Jobs Act si faranno sentire. Anche se, per far uscire l’Italia dal tunnel della disoccupazione in cui si è infilata, peseranno in maniera determinante altri fattori.

Lavoro
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BENEDETTO INCENTIVO

Ambra Redaelli è alla guida della Rollwasch, un’azienda monzese che produce macchine utensili, ha 60 dipendenti e nel 2015 ne ha assunti 3 grazie alle detrazioni: «Il primo gennaio ho stabilizzato una persona che, altrimenti, non avrei potuto tenere. Ho fatto lo stesso con uno stagista. Adesso sto pensando a un terzo contratto. È più conveniente di un’assunzione a termine. Ma senza sgravi dubito che continuerei ad assumere», dice l’imprenditrice, che non ha dimenticato quanto sia stato difficile guidare l’azienda quando la crisi non lasciava scampo: «È una questione di fiducia e finché quella non c’è, nessuno rischia».

Le agevolazioni sono piaciute anche alle multinazionali. A Sant’Agata Bolognese il gruppo Volkswagen-Audi ha dato il via all’assunzione di 500 tute blu che costruiranno il nuovo Suv della Lamborghini, mitico marchio di supercar acquisito qualche anno fa dai tedeschi. Verrà prima esaurito il bacino di lavoratori a termine, poi saranno creati nuovi posti di lavoro, con contratti a tutele crescenti ma anche con l’applicazione dell’articolo 18, che in caso di licenziamento rende più facile ottenere il reintegro. I contributi ridotti ok, ma il Jobs Act ha contato? Chissà.

In Lamborghini fanno sapere che l’entrata in vigore della riforma sul lavoro è avvenuta in un momento in cui l’Azienda aveva già un piano di crescita pianificato: «L’intenzione è applicare in modo responsabile le opportunità che il quadro normativo offre. Le persone che lavorano in Lamborghini sono considerate la chiave del successo», dicono. Un nome che conoscono tutti è quello di McDonald’s, la catena dei panini. In Italia quest’anno ha assunto 500 persone, due terzi a tempo indeterminato, il resto con l’apprendistato. Una novità, perché la seconda opzione è da sempre la preferita dal gruppo: «Quando apriamo un ristorante partiamo con un organico sottostimato, circa 25 persone. Ma con la flessibilità del Jobs Act, che ci permette di interrompere il rapporto di lavoro nei primi tre anni, per ogni negozio sono state assunte almeno 30 persone», spiega Stefano Dedola, responsabile delle risorse umane. «L’apprendistato e il contratto a tutele crescenti offrono gli stessi incentivi, ma il secondo è più flessibile e l’abbiamo preferito. Però, se l’anno prossimo non ci sarà la decontribuzione, è probabile che torneremo all’apprendistato», dice Dedola, che solleva la questione più calda, e cioè se il governo Renzi troverà le risorse per confermare anche nel 2016 lo sconto per chi assume. Le ultime indiscrezioni dicono di no, anche se sono allo studio agevolazioni per il Sud, che sta soffrendo da pazzi.


NON SPEGNETE IL FUOCO

Durerà la ripresa dell’occupazione anche a dicembre, quando al momento è fissata la fine degli incentivi? E riuscirà il Jobs Act a rendere più stabile il lavoro? Stefano Colli-Lanzi amministratore delegato di Gi Group, una società di servizi per il lavoro, dalla ricerca di personale al lavoro interinale, fa il paragone con chi accende il barbecue: «Gli incentivi sono come la carta, danno fiamma ma bruciano in fretta; il contratto a tutele crescenti è come la carbonella, che riscalda a lungo», spiega. A suo giudizio il Jobs Act è destinato a disboscare la giungla di contratti a progetto e finte partite Iva. «Aver reso il contratto a tempo indeterminato più flessibile e più semplice lo rimetterà al centro delle scelte delle imprese», sostiene Colli-Lanzi, che vede un futuro basato sempre più su due pilastri: il contratto fisso e il lavoro interinale, che servirà per le richieste più flessibili.

Quel che è certo è che il Jobs Act non è un Bengodi, e non cura da solo le difficoltà in cui l’industria italiana si dibatte da anni. Giuseppe Carbone, direttore dell’Acqua Ferrarelle, ha pesato il faldone delle carte necessarie per ottenere il via libera della nuova fabbrica calabrese che permetterà di riciclare plastica per le bottiglie: «Sono 250 chili», racconta, pur dicendo che «gli enti pubblici si sono dimostrati competenti e disponibili». Ferrarelle assumerà nel 2016 quaranta persone: «Pazienza se gli incentivi non ci saranno. Quello che ci interessa è avere collaboratori da selezionare e valutare nei primi tre anni senza doverli sposare per sempre», dice Carbone. Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, spiega che nell’ultimo anno le imprese del settore farmaceutico hanno assunto circa 5 mila persone, di cui 2 mila under 30. Il Jobs Act piace, l’export tira ma ora torna un vecchio problema, il timore di tagli alla spesa farmaceutica: «E per la programmazione degli investimenti la stabilità nel tempo delle condizioni economiche conta più della riforma del lavoro», dice.

Alla Elesa di Monza, che produce componenti per l’industria dei macchinari, non tutti i 20 collaboratori assunti con il Jobs Act sarebbero stati presi in fretta com’è avvenuto, nonostante dal 2011 l’azienda sia cresciuta a ritmo costante: «La nuova normativa ci ha messo al passo con i Paesi più avanzati», dice l’amministratore delegato Carlo Bertani, per il quale la decontribuzione ha pesato meno, proprio perché occasionale: «Servono provvedimenti strutturali su fiscalità, investimenti, nuove tecnologie. Dobbiamo convincerci che il manifatturiero è il settore che può creare più posti di lavoro, attraendo investimenti», dice Bertani. Che professa sul campo quello che gli economisti vedono a livello generale.

Francesco Daveri, professore di Politica economica a Parma, teme che la scommessa di una ripresa capace di trainare da sola l’occupazione già nel 2016 sia prematura: «Sarebbe l’ora di dare una sforbiciata al cuneo fiscale, riducendo il peso di tasse e contributi sul costo del lavoro», dice, osservando che per riuscirvi sono necessarie scelte coraggiose sulla spending review. Mentre Pietro Garibaldi, che insegna Economia politica a Torino, mette nel mirino il duro compito che attende il governo per affrontare questioni determinanti, ad esempio modernizzando le strutture per reinserire chi perde il posto: «Oggi c’è un mercato del lavoro più ordinato, con regole più chiare e un sistema di ammortizzatori sociali più equo. Il punto dolente sono le politiche per la ricerca di lavoro, in mano a uffici di collocamento che non funzionano», dice.

Un aspetto su cui Paesi come Germania e Gran Bretagna concentrano gli sforzi e che conterà di più, ora che è cambiata la cassa integrazione. La rivoluzione irrita i sindacati perché toglie potere di contrattazione e dovrebbe prevenire abusi, riportando «la cassa alla funzione originaria di garantire la continuità di un’azienda in un momento di crisi», dice Maurizio Del Conte, professore della Bocconi che ha collaborato alla stesura del testo.

Anche se, forse, il cambio di regime spingerà le aziende decotte a chiudere in tempi più rapidi. E non manca già un caso politico, come l’estensione della cassa alle aziende colpite da interdittive anti-mafia: una misura di cui, come ha scritto la “Gazzetta di Reggio”, ha subito beneficiato Cpl Concordia, la grande coop rossa esclusa dagli appalti dopo i legami emersi con la criminalità organizzata.

ANCHE IL JOBS ACT HA I SUOI FURBETTI

E poi, come sempre quando ci sono incentivi di mezzo, ci sono i furbetti del Jobs Act. Dai sindacati fioccano le segnalazioni di abusi: «Il caso è diffuso: si licenzia un dipendente, che viene assunto da un’agenzia interinale, la quale fa un accordo con l’azienda per spartirsi il bonus statale», dice Michele Bulgarelli della Fiom di Bologna. Il sindacato che ha sollevato il caso del colosso delle bistecche Cremonini. Mille addetti alla macellazione hanno perso il posto perché è fallita la cooperativa che se ne occupava, la Gescar. Sono stati riassunti per 6 mesi da un’agenzia interinale. Finito il periodo che cosa succederà? «Temiamo che a quel punto possano essere riassunti da un’altra cooperativa, che così incasserà le agevolazioni», sostiene Marco Bermani della Flai-Cgil. L’azienda, al contrario, dice di essersi ritrovata coinvolta suo malgrado in questa vicenda e assicura che non c’era alcuna premeditazione.