Crimine
Il tribunale condanna Massimo Carminati e dà ragione all'Espresso
Il giudice definisce "giornalismo d'inchiesta" il lavoro della nostra testata sui quattro Re di Roma, che svelava prima della magistratura l'esistenza di Mafia Capitale. E il Cecato dovrà pagare anche le spese di giudizio
Il giudice del tribunale civile di Roma ha condannato Massimo Carminati alle spese di giudizio perché ha rigettato l'istanza con la quale citava per danni, perché si era sentito diffamato, l'Espresso e il giornalista Lirio Abbate, autore dell'inchiesta “I quattro re di Roma”, pubblicata nel dicembre 2012.
Secondo il giudice, che ha depositato oggi la sentenza, «l'articolo a firma del giornalista Lirio Abbate è correttamente inquadrabile nell'ambito del giornalismo d'inchiesta». Il 12 dicembre 2012 l'Espresso pubblicava in copertina la foto di Massimo Carminati indicandolo come uno dei re di Roma. E raccontando, nelle pagine interne, su cosa si basava il suo potere. Svelando due anni prima dell'arresto di Carminati, attualmente imputato perché accusato di essere il capo di Mafia Capitale, l'esistenza del suo clan e delle sue ramificazioni.
Adesso la ricostruzione giornalistica di Abbate ha avuto il sigillo da parte del tribunale, che definisce il lavoro “inchiesta giornalistica”. «Il fine del giornalismo d'inchiesta non è contrastare o perseguire specifici comportamenti, sia pure illeciti, ma promuovere una presa di coscienza nell'opinione pubblica di questo o quel particolare fenomeno avente un intrinseco disvalore morale e sociale. In altri termini, il giornalismo d'inchiesta individua temi di interesse pubblico, li analizza anche criticamente e li sottopone all'opinione pubblica» si legge nella motivazione della sentenza.
Lirio Abbate e l'ex direttore del settimanale, Bruno Manfellotto, citati in giudizio, erano difesi dagli avvocati Virginia Ripa di Meana e Vanessa Giovannetti. Per il giudice del tribunale di Roma nell'inchiesta, documentata e riscontrata dall'autore, «si esclude una connotazione diffamatoria in merito al contenuto dell'articolo».
Nella sentenza in cui viene data ragione a l'Espresso di aver svolto bene il proprio lavoro giornalistico, si legge: «L'attività investigativa svolta da Abbate non rientra propriamente nell'alveo del giornalismo tradizionale d'informazione, ma appunto si basa su quanto dallo stesso in via diretta da fonti riservate e su riscontri incrociati dallo stesso effettuati in ordine alla persona del Carminati, alle sue peculiari relazioni passate e, soprattutto, presenti, ed ai suoi noti trascorsi giudiziari al fine di valutare l'attendibilità del resoconto fornitogli dalle predette fonti riservate». Per il giudice «risulta, dunque, rispettato il parametro delle notizie riferite in quanto comunque adeguatamente riscontrate, ancorché desunte da fonti confidenziali».