Michele Serra ha lanciato l'idea sull'Espresso, una specie di piccolo gioco di società per tracciare, ovviamente senza pretesa alcuna di oggettività statistica o “scientifica”, un conciso affresco collettivo della percezione che noi italiani abbiamo del nostro percorso: ovvero del nostro presente in relazione al passato e in relazione al futuro. E qui sotto ne spiega il regolamento. Ora tocca a voi
di Michele Serra
Stiamo meglio o stiamo peggio, noi italiani di oggi, rispetto ai nostri padri? Pochi argomenti come questo - declinabile in mille maniere: economica, sociale, politica, statistica, culturale, psicologica eccetera - sono in grado di scatenare discussioni appassionate. Nei miei circa dieci anni di rubrica della posta sul Venerdì di Repubblica, posso testimoniare che ogni lettera sul “come eravamo”, e come siamo oggi, ne provoca immancabilmente almeno altre dieci, più o meno polemiche, tutte comunque molto sentite. Direi che nessun argomento (era meglio prima o è meglio adesso?) suscita un dibattito altrettanto acceso: segno, forse, che siamo davvero a un passaggio d’epoca.
LE SCELTE DI NATALIA ASPESI, MICHELE SERRA, ROBERTO SAVIANO E STEFANO BARTEZZAGHI
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Grosso modo, è un dibattito che si svolge tra due punti di vista - con infinite gradazioni intermedie - così riassumibili. I “meglisti” sostengono, statistiche alla mano, che nella media la vita è decisamente più agevole. Si vive più a lungo, si comunica meglio, si viaggia di più, ci si è abituati a condizioni di libertà personale (basti pensare all’identità sessuale) nettamente più solide e rispettate. I “peggisti” oppongono soprattutto, pesante come un macigno, la costante lesione al concetto stesso di futuro che la Grande Crisi delle strutture socio-economiche occidentali (lavoro, welfare, pensioni, occupazione giovanile ecc.) sta producendo, inesorabile, anno dopo anno. È il concetto di “progresso” in sé, a ben vedere, a essere in discussione, e non solamente in Italia; insieme a tutti i suoi paradigmi, al tempo stesso traballanti e dunque nuovamente preziosi.
Diciamo che entrambi i punti di vista hanno frecce nel loro arco. E che incidono molto, nel giudizio sul presente, le diverse sensibilità individuali, la posizione che si occupa nella scala sociale, l’età (moltissimo), la gerarchia dei valori che ognuno di noi si è costruito. Non esiste, voglio, dire, una concezione dello “stare bene” e dello “stare male” uguale per tutti. Apparenti dettagli possono pesare molto per qualcuno, e conclamate piaghe sociali incidere relativamente per qualcun altro. Non è possibile, insomma, nemmeno per il più autorevole degli istituti di sondaggio, rispondere in modo definitivo e incontrovertibile alla domanda «stiamo meglio o peggio?». Esiste, però, il piacere di discuterne e forse l’urgenza di farlo, confrontandosi con l’opinione degli altri, relativizzando la propria, scoprendo che ciò che a noi pare “migliore” per qualcun altro non lo è. E alla stessa maniera il “peggiore”.
Per questo abbiamo pensato di proporre ai lettori dell’Espresso (e dintorni) una specie di piccolo gioco di società, che speriamo diventi grande strada facendo. L’idea è di tracciare, ovviamente senza pretesa alcuna di oggettività statistica o “scientifica”, un conciso affresco collettivo della percezione che noi italiani abbiamo del nostro percorso: ovvero del nostro presente in relazione al passato e in relazione al futuro.
Come tutti i giochi, c’è un piccolo regolamento. Ognuno deve indicare (senza pensarci troppo, altrimenti non se ne viene a capo) tre cose che secondo lui sono migliorate nel corso degli ultimi trent’anni nel nostro Paese; e tre cose che sono invece peggiorate. I trent’anni ci sono sembrati un lasso di tempo abbastanza attendibile. Definiscono un passaggio di generazione e anche d’epoca (considerando, per esempio, che negli anni Ottanta non esistevano i cellulari e il web). Il paragone con l’Italia del dopoguerra, quella costituente, quella ri-nascitura, ci sembrava al tempo stesso troppo remota (era l’Italia dei nonni e non dei padri) e soprattutto troppo sbilanciata, dal punto di vista del benessere economico e dell’evoluzione sociale, in favore dell’oggi. Meglio dunque assumere come pietra di paragone l’Italia degli anni Ottanta, della prima Repubblica, dei grandi partiti politici (Dc, Pci, Psi), l’Italia non ancora post-ideologica e post-industriale. Profondamente differente da quella attuale; ma abbastanza vicina alla nostra prassi, e alla nostra memoria, da consentirci di fare i debiti paragoni, traendone le relative conclusioni. Il gioco, come potete capire, è semplice ma al tempo stesso difficile. Ho faticato molto (e faticherete anche voi) a stilare la mia classifica, e sono sicuro che quando la rileggerò sul giornale mi sembrerà sbagliata, o troppo “leggera” o troppo pensosa, da correggere, da ripensare. Ma ormai le mie “tre cose” migliorate e peggiorate sono quelle che leggerete, insieme a quelle di Natalia Aspesi, Stefano Bartezzaghi, Roberto Saviano .
E alle vostre, che serviranno piano piano, giorno dopo giorno, per accumulo, a “dare un voto” al nostro presente, cercando di disegnarne i pregi e i difetti, le speranze intatte e le delusioni, le empatie e le idiosincrasie.
Non fatevi influenzare troppo da noi primi quattro giurati, il nostro voto vale esattamente quanto il vostro. Uno vale uno. Potete, ovviamente, votare tutt’altre cose, o sovvertire la nostra opinione, o prescinderne del tutto. Come già sicuramente sapete, ricordatevi solo una cosa: che niente, al mondo, è serio come il gioco. Buon divertimento, e grazie.