L'ultimo rapporto del ministero del Lavoro sulla Cina che vive, produce e vota nel nostro Paese mostra una serie di fenomeni contraddittori. La comunità cinese è all'ultimo posto per numero di nuove cittadinanze, ha alti flussi di uscita, pochissimi matrimoni misti e un basso indice di bancarizzazione. Ma qualcosa sta cambiando e le seconde generazioni puntano sull'istruzione

In questi giorni di elezioni a Milano si è parlato molto della comunità cinese e della sua copiosa partecipazione al voto cittadino, che sarebbe per molti, fra cui lo stesso candidato del centrosinistra Sala, il simbolo di un'integrazione che sta riuscendo. Ma elezioni a parte, possiamo parlare di vera e propria integrazione della comunità cinese nel nostro paese? Una risposta netta non c'è. Guardando i dati dell'ultimo Rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sembra che l'integrazione della comunità cinese proceda oggi a due velocità: una comunità di immigrati ancora piuttosto chiusa se consideriamo gli indicatori statistici e con tassi di emigrazione sempre più alti, e una seconda generazione che viene in Italia a studiare e che sembra puntare dritta all'integrazione proprio attraverso la scuola. 
Analisi
Gli immigrati snobbano l'Italia: mai così pochi dal 2007
22/12/2015

Da un lato la comunità cinese è all'ultimo posto per numero di cittadinanze richieste: poco più di 2000 a fronte di 332 mila soggiornanti, a cui si aggiunge un tasso di bancarizzazione decisamente più basso rispetto alla media dei paesi non comunitari. Molto minore anche la percentuale di matrimoni misti fra cinesi e italiani. Dall'altro lato però le giovani generazioni di cinesi mostrano un'inclusione maggiore: una tendenza allo studio in crescita e decisamente più alta rispetto ai giovani di altri paesi non comunitari. Frequentano in proporzione di più i licei rispetto alle scuole professionali, ma soprattutto sempre più giovani cinesi frequentano le università italiane: il 34% in più solo negli ultimi 5 anni. 

SONO SEMPRE DI PIU' I CINESI CHE SE NE VANNO

Nel 2013 sono stati 1943 i cinesi che hanno spostato la propria residenza all'estero, il 235% in più rispetto al 2007, quando ad andarsene erano state 580 persone, una tendenza molto più marcata rispetto al totale delle emigrazioni sia di cittadini italiani che stranieri. In ogni caso il numero di soggiornanti complessivo continua ad aumentare, tanto che la comunità cinese è la terza in Italia per dimensioni dopo quelle albanese e marocchina con 332 mila persone, che rappresentano l'8,5% dei cittadini non comunitari in Italia. Sono in diminuzione però i nuovi permessi di soggiorno, 3000 in meno solo dal 2013 al 2014 per un totale di 17 mila nell'ultimo anno, e fra questi la fetta più grossa è rappresentata non da chi viene qui per lavorare, ma per chi cerca il ricongiungimento familiare.



La maggior parte (57%) dei soggiornanti in Italia nel 2014 aveva un permesso di soggiorno a scadenza, una tendenza opposta rispetto alla media degli altri paesi non comunitari, dove il 57% delle persone detiene un permesso di soggiorno di lungo periodo.



ALL'ULTIMO POSTO PER RICHIESTA DI CITTADINANZA

In 4 anni, dal 2010 al 2014 la cittadinanza italiana è stata concessa a 2535 cinesi, un dato che colloca la comunità all'ultimo posto fra i 16 paesi esaminati dal report, sebbene numericamente sia la terza comunità per dimensioni in Italia, e non sono contati qui i nuovi cittadini italiani per diritto di nascita. Le nuove cittadinanze italiane date a cinesi rappresentano infatti solo lo 0,8% del totale delle cittadinanze a persone non comunitarie. Per fare un paragone, nello stesso periodo hanno ottenuto la cittadinanza quasi 60 mila persone provenienti dal Marocco e quasi 50 mila albanesi.



POCHI MATRIMONI MISTI
Se sono in pochi ad ottenere la cittadinanza italiana, ancora meno sono quelli che la ottengono tramite matrimonio. Solo 4 matrimoni su 10 che hanno coinvolto cinesi nel 2013 sono stati misti, esattamente la metà rispetto alla media delle altre comunità.



UN TASSO DI OCCUPAZIONE PIU' ALTO DELLA MEDIA ITALIANA

Il lavoro è uno dei primi indicatori di integrazione e oggi la comunità cinese in Italia lavora molto e guadagna anche un po' di più rispetto alla media degli immigrati. È inoltre ben lungi dal rispettare l'ormai desueto adagio di vivere unicamente di attività in proprio: oggi la metà dei cinesi infatti lavora alle dipendenze, mentre l'altra metà possiede un'attività in proprio, prevalentemente nel settore dei servizi.
Paradossalmente oggi il tasso occupazionale della comunità cinese è molto più alto di quello degli italiani: il 67% dei cinesi è occupato rispetto al 56% medio dei paesi non comunitari e al 55,4% degli italiani. Questo – va detto - anche in ragione del fatto che l'età media della comunità cinese è molto più bassa rispetto alla comunità italiana.
La maggior parte dei contratti che coinvolgono i cinesi sono poi a tempo indeterminato, un'altra grossa differenza rispetto agli altri paesi non comunitari, dove la media non supera il 40%. Ma soprattutto nel corso del 2014 il numero di nuovi contratti a cinesi è aumentato in quasi tutti i settori per un totale di 7365 nuovi contratti attivati; per non parlare delle nuove imprese, aumentate del 4%. Un trend tutto particolare rispetto alla media degli altri paesi non comunitari.



POCHISSIMI CONTI CORRENTI

Il lavoro non manca, ma il tasso di bancarizzazione della comunità cinese però è ancora oggi bassissimo. Oggi solo il 61,8% degli adulti cinesi possiede un conto corrente (dato 2013) a fronte di un tasso medio fra la popolazione immigrata del 74,3%, e il 17% possiede una carta dotata di IBAN.

ISCRITTI ALL'UNIVERSITA': +34 PER CENTO NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI

Un ultimo indicatore per valutare l'integrazione di una comunità è il suo tasso di inserimento nei programmi di istruzione del paese di residenza, e su questo aspetto le seconde generazioni stanno rimescolando le carte: i cinesi puntano sull'istruzione. Sono sempre di più i bambini cinesi iscritti nelle scuole italiane (+6,4% nel corso degli ultimi due anni, in particolare +9,8% alla primaria), ma soprattutto sono sempre di più i ragazzi che scelgono di proseguire gli studi scegliendo licei o istituti tecnici. Qui la differenza rispetto agli altri paesi non comunitari è evidente: il 26,6% degli adolescenti cinesi è iscritta in un liceo a fonte di una media complessiva del 22% e il 42,5% ha scelto istituti tecnici, mentre nelle altre comunità la maggior parte dei giovani sceglie l'istruzione professionale.
In netto aumento anche gli studenti universitari cinesi che oggi sono 7176, cioè il 34% in più rispetto all'anno accademico 2010-11, per un totale di 1168 laureati. Insomma, un laureato non comunitario su 6 è cinese.



Oggi più di 8 occupati su 10 hanno un titolo di studio equiparato alla scuola secondaria di primo grado o più basso, mentre poco meno del 15% dei lavoratori ha un diploma di scuola superiore o una laurea. Quello a cui stiamo assistendo sarà dunque un cambiamento importante, che potrà rivoluzionare notevolmente l'ecosistema della comunità cinese nel prossimi anni.

Il rapporto completo sulle comunità di origine cinese in Italia su l'Espresso in edicola da venerdì 19 febbraio