Il silenzio sui responsabili calò per motivi di opportunità politica. Nelle carte della commissione parlamentare che indagò sui massacri, e messe online dalla Camera il 16 febbraio scorso, la verità sui quindicimila civili italiani massacrati tra il 1943 e il 1945
Giustizia negata ai quindicimila civili italiani massacrati dai nazifascisti durante la seconda guerra mondiale. Giustizia negata per facilitare i rapporti con la neonata Repubblica federale tedesca. Giustizia negata per concludere accordi per commesse militari miliardarie. Giustizia negata con freddezza e determinazione con un disegno protrattosi negli anni.
È questa la verità che trova conferma nei documenti
messi on line dalla Camera dei deputati lo scorso 16 febbraio. Sono i documenti richiesti, tra il 2003 e il 2006, dalla commissione parlamentare che ha indagato sull’occultamento dei fascicoli sulle stragi nazifasciste (
Qui tutti i documenti messi online dalla Camera).
Tredicimila pagine classificate, segrete. Tredicimila pagine redatte da ambasciate, ministeri, procure militari… Memorandum, note verbali, resoconti di riunioni, promemoria… Sfogliandole bisogna tenere sempre ben presente di cosa si sta parlando altrimenti si rischia di perdersi in intricati scenari di politica internazionale. Si sta parlando del massacro di almeno quindicimila civili italiani compiuto tra il 1943 e il 1945 dalle truppe delle forze armate tedesche e dai fascisti.
E si sta parlando dell’atto giuridico abnorme (perché non esisteva e non esiste nulla di simile nel nostro ordinamento) che con un’archiviazione provvisoria chiuse in un armadio 695 fascicoli dove c’erano i nomi dei responsabili delle stragi. Franco Giustolisi, che per primo ne parlò su “l’Espresso”, lo chiamò “Armadio della vergogna” proprio per questo, perché quei fascicoli chiusi dietro quelle ante erano il simbolo della vergogna di un Paese che ha negato giustizia.
Fu per scoprire perché erano stati occultati che venne istituita la Commissione d’indagine parlamentare. Deputati e senatori non arrivarono però a nessuna conclusione condivisa. La relazione di maggioranza non attribuisce a una precisa volontà politica l’affossamento delle inchieste. Quella di minoranza dice esattamente l’opposto.
Se, studiando le carte pubblicate dalla Camera, si tiene ben presente tutto questo ogni tanto si ha un fremito, quasi si sobbalza sulla sedia. La relazione di minoranza aveva indicato in modo molto preciso le ragioni dell’occultamento.
Basandosi su una robusta documentazione, oltre a una generica “ragion di Stato” per mantenere buoni rapporti con la neonata Repubblica federale tedesca, ne aveva individuate altre tre. La richiesta di estradizione dei criminali di guerra italiani che suggerì l’opportunità politica di soprassedere a perseguire i tedeschi. La presenza in posizioni chiave, in quegli anni, di persone (compreso il procuratore generale militare autore dell’occultamento) che avevano avuto “incarichi di rilievo nel corso del ventennio fascista”. E, infine, la questione delle commesse militari. La Germania occidentale andava riarmata e l’Italia aveva bisogno di rilanciare la propria industria.
Aerei e armi. Così, quando si arriva ad aprire la cartella 0107-015, il sobbalzo sulla sedia è garantito. All’interno, su carta intestata del ministero degli Esteri e la stampigliatura “segreto” vi sono 31 pagine di una “traccia di conversazione” in vista, probabilmente, di un vertice italo-tedesco. Le firma l’allora direttore generale per gli Affari economici e presidente della delegazione italiana, Attilio Cattani. Destinatario il presidente della delegazione tedesca Hilger van Scherpenberg. La data il 19 aprile 1956. Alla quarta riga si legge “ho l’onore di confermarle il grande interesse che l’industria italiana partecipi nella più larga misura possibile all’approvvigionamento di materiale bellico da parte delle forze armate germaniche”. È la cosa a cui l’Italia, verosimilmente, tiene di più.
È la prima cosa di cui Cattani parla. Di quali forniture si tratti è spiegato poco più avanti. Si parla di 100-125 caccia “ognitempo” per i quali “è estremamente probabile una ordinazione alla Fiat la quale produce lo F 86 K su licenza e con l’assistenza della North American Aviation Corporation”. Si parla di 75 aerei Piaggio 149. E poi armi, munizioni, materiale elettronico. L’accordo verrà stipulato dopo due anni, nel 1958, e porterà all’Italia commesse per 118 miliardi di lire. Di quello stesso periodo è il carteggio tra il ministro degli Esteri Gaetano Martino e il ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani. I due ministri concordano sul non chiedere l’estradizione di 30 militari tedeschi accusati dell’eccidio di Cefalonia, del massacro della divisione Acqui. Dirà Taviani poco prima di morire in un’intervista a Giustolisi pubblicata da “l’Espresso”: «Il mio consenso contribuì a creare quella che lei definisce la sepoltura della giustizia».
La decisione politica è dunque presa e nel 1960 il procuratore generale militare Enrico Santacroce “archivia provvisoriamente” i famosi 695 fascicoli. Probabilmente Santacroce e i politici che gli avevano indicato la strada dell’archiviazione ritenevamo di aver per sempre chiuso il capitolo dei processi ai nazisti. Ma tra la fine del 1964 e l’inizio del 1965 accade qualcosa che rende ancora più grave l’occultamento, ne costituisce quasi un’aggravante. La guerra è finita da vent’anni e in Germania il codice penale prevede che dopo vent’anni i reati vengano prescritti. La data sarebbe il 9 maggio, il giorno della capitolazione tedesca. Le forze politiche sono divise, il dibattito è duro, in Germania e in tutto il mondo. In Italia protestano le associazioni. E i Comuni, tanti Comuni grandi e piccoli che fanno arrivare a Roma le delibere che chiedono di fare di tutto per evitare la prescrizione.
In questo clima (il Bundestag deciderà poi di spostare la data al 1969, a vent’anni dopo la nascita della Repubblica) arriva in Italia una richiesta del governo tedesco. Dice il promemoria dell’ambasciata di Germania agli atti della commissione e datato 21 dicembre 1964 che il governo federale invita i Paesi che hanno subito l’occupazione tedesca a voler “sollecitamente trasmettere tutto il materiale in loro possesso concernente i delitti nazionalsocialisti perché sia a disposizione delle autorità giudiziarie entro il 1° marzo 1965”.
Il ministero della Difesa scrive più volte al procuratore generale militare Santacroce che risponde il 16 febbraio. Una risposta terribile se si pensa a tutto quello che lui stesso aveva chiuso nell’Armadio della vergogna. Dice Santacroce che “questa procura è in grado di affermare che vi sono casi, peraltro non numerosi, di crimini tuttora impuniti, per i quali vi è sufficiente documentazione”. “Peraltro non numerosi”.
In queste tre parole c’è l’ulteriore occultamento o, se si preferisce, la reiterazione dell’occultamento. Si ammette che c’è del materiale, ma, afferma Santacroce, è poca roba. Così il 9 marzo, nell’elenco che gli Esteri mandano all’ambasciata tedesca, ci sono solo venti procedimenti segnalati dalla procura generale militare. Venti fascicoli scelti tra quelli chiusi nell’Armadio che riguardano, in tutto, meno di quattrocento omicidi. Tutti gli altri, gli omicidi di quindicimila donne, bambini, anziani, non ci sono. Non c’è Sant’Anna di Stazzema, non c’è Monchio, non c’è Fivizzano… Non ci sono le carte che, quarant’anni dopo, consentiranno di mandare a processo i criminali nazisti e di comminare cinquantasette ergastoli.
Un’operazione sofisticata, dunque, quella condotta nel 1965. Ritardi, omissioni, occultamenti sono così gravi e diffusi da non poter essere addebitati all’iniziativa di singole persone. E questo dimostra una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che la decisione di non dare giustizia alle vittime delle stragi nazifasciste è stata una scelta politica condivisa a tutti i livelli.