A vederle da fuori sembravano le stesse famiglie che popolano il Family Day cattolico: genitori che spingevano passeggini carichi di borse e biberon, bambini di ogni età che giocavano e si rincorrevano, allegri e colorati. Ma chi ieri affollava gli spazi del Museo Maxxi di Roma era lì soprattutto per un altro evento: “Famiglia punto zero. Il festival delle famiglie che cambiano”. Un evento organizzato interamente da una mamma, Santa Di Pierro, per riflettere su com’è cambiata la famiglia italiana, ma soprattutto per rompere il monopolio cattolico della famiglia: “La famiglia”, spiega l’organizzatrice e curatrice scientifica, “non è solo di destra né solo cattolica. La famiglia è un valore enorme, ma anche laico, apolitico, universale”. Sembrano pensarla così anche i genitori che popolavano l’Auditorium del museo, per ascoltare i quattro incontri tematici della giornata (Genitori analogici con figli digitali: problemi e prospettive; I nuovi padri: dal padre autorevole al padre materno: quali conseguenze per la coppia?; Multi-genitorialità: una geografia delle famiglie moderne; Donne, madri, lavoro) mentre i loro bambini erano impegnati in laboratori creativi, dalle favole alla filosofia. “Quando ho visto questo evento”, spiega Stefania, giovanissima psichiatra con un bimbo di pochi mesi, “sono rimasta piacevolmente sorpresa e contenta: di famiglia si parla non solo poco, ma soprattutto male, tutte l’attenzione è sulle minoranze mentre vengono ignorate le famiglie normali. Ad esempio sarebbe bello avere spazi per bambini sul posto di lavoro, e anche quando si esce per andare in un museo o in un ristorante, da noi non c’è nulla. E pensare che quest’estate a Cipro, non la Svezia, era pieno”.
La famiglia? Non solo di destra (e cattolica)
“Mancano servizi adeguati sia per le famiglie che per le mamme, c’è un po’ l’idea perversa per cui se fai una famiglia te la gestisci tu, ecco perché momenti di incontro e di riflessione come questi sono utili”, spiegano Giovanna e Stefania, che hanno lasciato due lavori sicuri per aprire l’associazione A misura di mamma, per aiutare le madri a trovare la baby sitter perfetta per le sue esigenze. “Meno male che è nata questa sorta di Family Day laico,”, dice Dario, imprenditore. “Non ne potevo più di vedere la bandiera della famiglia sventolata sempre dai cattolici; ma è anche colpa della sinistra, incapace da sempre sia di proteggere le famiglie normali, dando loro un welfare adeguato, sia di riconoscere il cambiamento e far sì che i diritti si adeguassero alle nuove forme familiari. Le unioni civili sono arrivate - zoppe perché monche della stepchild adoption - solo nel 2016, quando in Europa sono ovunque da anni”.
E infatti se chiedi a questi genitori cosa pensino di unioni civili, adozioni gay e utero e in affitto, le risposte sono abbastanza unanimi: sì alle unioni civili, obbligatorio che lo stato riconosca diritti anche a chi è dello stesso sesso, sì, con qualche cautela, anche alle adozioni gay – “perché dove c’è amore, accudimento, accoglienza ci può essere un bambino”, dice Stefania – perplessità invece sull’utero in affitto (“Meglio favorire le adozioni”, dice Giovanna).
Famiglie sotto pressione
Tra i tanti relatori illustri, c’era l’antropologo Francesco Remotti, autore di libri come Contro l’identità (Laterza) e Contro natura. Una lettera al papa (Laterza). Abbiamo discusso con lui sul perché sia importante parlare di famiglia, anche da un punto di vista laico. “Parlare di famiglia di per sé”, spiega, non è né di destra, né di sinistra, per il semplice fatto che la famiglia, l’organizzazione famigliare, le strutture della famiglia, è un argomento che attiene fin dalle origini alla storia dell’umanità. È sufficiente rendersi conto di come tutte le società pensano e organizzano in vari modi la famiglia per comprendere l’importanza dell’argomento. Nelle diverse forme di famiglia che gli esseri umani hanno costruito si addensano infatti funzioni e attività indispensabili alla sopravvivenza dell’uomo, alla sua vita sociale, nonché alla formazione dei tipi di umanità che di volta in volta essi decidono di elaborare”.
Perché secondo lei la sinistra non ha mai fatto propria, sbagliando, la bandiera della famiglia?
“A mio modo di vedere la risposta potrebbe essere rintracciata nella seguente motivazione: la famiglia non è motore e non è oggetto di cambiamento; la famiglia – per il pensiero di sinistra tradizionale – viene per così dire a rimorchio rispetto ai grandi cambiamenti, riforme o rivoluzioni, che invece si verificano nella società. Certo, occorre migliorare le condizioni della famiglia e della donna, ma i grandi cambiamenti strutturali sono ormai alle spalle, acquisiti una volta per tutte. Credo anch’io che si è trattato di un grave errore, una sorta di handicap teorico, che ha reso il pensiero della sinistra europea claudicante, se non addirittura inerte, in rapporto alla problematica della famiglia, lasciando così l’argomento famiglia ad altri: in Italia, in particolare, alla Chiesa cattolica”.
Ma in Italia, il paese dove abbonda la retorica della vita, la famiglia è tutelata?
“Credo che sia abbastanza facile dimostrare – dati economici alla mano – come nel nostro paese le famiglie vengano sottoposte a una pressione notevole, specialmente per quanto riguarda l’allevamento dei bambini e, più in generale, la cura dei più deboli, come i malati e i più anziani. È come se lo stato volesse approfittare del fatto che la famiglia è il luogo sociale in cui più normalmente si manifesta la solidarietà inter-personale, in cui più facilmente si dispiegano gli atteggiamenti del ‘dono’ e della ‘condivisione’ dei beni. Si ritiene così che fuori dalla famiglia prevalgano invece, e non possano non prevalere, la concorrenza, lo scambio utilitaristico, il conflitto. È indubbio che la famiglia abbia bisogno di essere maggiormente tutelata, specialmente se si tiene conto del fatto che la famiglia tipica della nostra società – la famiglia nucleare e monogamica – è di per sé molto fragile. È però sufficiente che lo stato aumenti i servizi per l’allevamento dei bambini, per la cura degli anziani, dei malati e dei disabili, oppure non è forse il caso di pensare a forme di tutela più sociali, lavorando sui rapporti tra le famiglie, incentivando cioè le relazioni inter-famigliari? Tra famiglie da una parte e stato dall’altro si dovrebbe pensare – io ritengo – a ‘più’ società, a un incremento del tessuto sociale inter-famigliare, all’organizzazione di zone di società che recuperi e faccia propria l’idea della condivisione e dello scambio non utilitario”.
Come sono cambiate le famiglie? Lo stato è stato in grado di comprendere e seguire i cambiamenti?
“Lo stato si comporta come se le famiglie non fossero soggetti di cambiamento: la famiglia è la famiglia; come mai dovrebbe modificarsi? Del resto, si potrebbe riflettere sul fatto che alla base del nostro stato, vale a dire la Costituzione della Repubblica Italiana, è stato posto il principio che la famiglia è una ‘società naturale’ (articolo 29), non un prodotto storico, e quindi, come tale, immodificabile. Partendo da questi presupposti, condivisi per sovrappiù con la Chiesa cattolica, la quale da parte sua aggiunge a tutto ciò un fondamento teologico (l’ordine di Dio), lo stato è certamente assai poco portato e ancor meno attrezzato per comprendere e seguire i cambiamenti della famiglia. Eppure esistono nella società pressioni che operano sulla struttura stessa della famiglia: pressioni che provengono dall’acquisizione di nuovi diritti, dalle opportunità fornite dalle bio-tecnologie, dall’esperienza e dalla conoscenza di modelli differenti di famiglia quali emergono nei contesti inter-societari”.
Che misure le sembrano più urgenti per proteggere la famiglia, le famiglie di oggi?
“Potrei sbagliarmi, ma a me pare che la misura più urgente consista, da parte dello stato, in un deciso e programmatico gesto di acquisizione di conoscenza in relazione alle famiglie, ai diversi tipi di famiglie, con le loro potenzialità sociali e con le loro diverse funzioni e significati. A tale scopo ritengo urgente che si abbandoni l’idea che vi sia una famiglia naturale o che la famiglia nucleare e monogamica sia il vertice supremo e indiscutibile di un processo storico ormai compiuto. Al contrario, occorre acquisire – anche a livello istituzionale (come ad esempio si fa, o si dovrebbe fare, per l’economia) – un vasto e approfondito sapere sulle possibilità di organizzazione famigliare, così da evitare che i mutamenti avvengano per così dire alla cieca e che i dibattiti si riducano – come è stato facile constatare di questi tempi – a scambi di insulti e di prese di posizione ideologiche. L’argomento famiglia è troppo importante perché ci si riduca, nelle sedi più istituzionali, a livelli di argomentazione tanto squallidi e ottusi”.