L'incontro a Roma. Poi l'offerta: “Vieni a fare il vicedirettore da me ti pagherò molto di più”. Sembrava fatta. Ma dopo la richiesta di vedere i bilanci della televisione non si è fatto più sentire

Ho conosciuto Pino Maniaci a metà del 2012, all'epoca lavoravo in un'agenzia di stampa a pochi passi da Montecitorio e ci chiese ospitalità per poter fare con collegamento con la trasmissione di Fabio Volo. Una semplice cortesia tra colleghi e poi lui era il giornalista antimafia per antonomasia. Con quei baffoni, la sigaretta sempre fumante, le tasche piene di telefoni cellulari e quelle parolacce sempre in bocca che condivano il personaggio. Ne avevo sempre sentito, solo, parlare bene anche da quelli che io ho sempre considerato dei maestri e non potevo che fidarmi. Così quando poi Pino ha cominciato a chiamarmi sempre più spesso, con beata ingenuità, mi sono sentita lusingata. In fondo uno così bravo e in vista per il suo impegno si era accorto di una giovane cronista parlamentare.

Tutto giocava a favore della sua immagine. Decine di premi, di servizi tv, articoli in favore del suo impegno antimafia. Solo lustri e nessuna ombra. Inoltre, Maniaci godeva della stima del Presidente dell'Ordine dei Giornalisti Enzo Jacopino, che per tutelarlo gli aveva donato la tessera da giornalista pubblicista e anche qualche telecamera per poter aiutare quel giornalista di frontiera con pochi mezzi. Lo abbiamo difeso tutti per anni, stimandolo, proteggendolo con i nostri articoli anche quando una normativa sul riordino delle frequenze stava mettendo a serio rischio la sua Telejato, che negli anni è stata meta per tanti giovani assetati di conoscere e lavorare qualche ora gratis accanto a lui.

A fine 2012, Pino Maniaci tornò a Roma e mi invitò a cena, voleva parlarmi, disse. I ragazzi che ogni anno si recavano a Partinico per lavorare due-tre mesi gratis nella sua emittente stavano diventando tanti e lui, da solo, non ce la faceva a gestirli tutti. Nei suoi piani avrei dovuto lasciare il mio posto in agenzia per fare a Partinico quello che facevo a Roma, insegnare agli stagisti i rudimenti del mestiere e coordinare il lavoro quotidiano della redazione. Mi chiese quanto guadagnavo. “1.100 euro” risposi. Lui si mise a ridere, nella maniera sfrontata delle reazioni di Pino, e poi rilanciò di molto, forse troppo. Voleva convincermi in quel modo che a Roma stavo facendo la fame.

Presi tempo, gli dissi che dopo le feste di Natale gli avrei dato una risposta. A chiunque parlassi di questa offerta mi mostrava un entusiasmo incontenibile. Ma non erano i soldi il punto, ma il fatto che Pino Maniaci, “Lui”, avesse scelto proprio me per quel ruolo di vicedirettore. La stima di cui godeva era tale che questo lavoro sembrava avere tutte le sembianze del classico treno che passa una volta nella vita.

Ovviamente ero contenta, ma qualcosa mi insospettiva. Un presentimento. Lui continuava a telefonare con insistenza, mi chiedeva “che aspetti?”, “tanto vedrai che alla fine vieni”, “ma che fai a Roma”, “Io sono Pino Maniaci, mi conosce tutto il mondo”.

“Ma una tv comunitaria come fa ad avere tutti quei soldi?” era invece la domanda che mi facevo io. Insomma, da quello che raccontava il direttore di Telejato di soldi non ne giravano tanti, i suoi figli erano disoccupati e mi raccontava che molte delle attrezzature in uso alla redazione erano frutto di donazioni.

In quella proposta c'era un'ombra. Finché un giorno, di fronte all'ennesima telefonata, gli dissi che avrei accettato la sua proposta solo dopo aver visto i libri contabili e la bozza del contratto che avrei dovuto sottoscrivere. Da quel giorno non l'ho più sentito e non ha risposto più alle mie telefonate.
Il “mito” del giornalista antimafia aveva mostrato il suo lato peggiore.

Mi dissi che non poteva esserci antimafia dove non c'era rispetto delle regole. Ma oggi che su Pino Maniaci pesano accuse pesanti, deve dare spiegazioni ad una generazione intera, all'intera categoria dei giornalisti e dei lettori e delle doverose scuse a chi per il proprio impegno ha perso la vita e ai familiari delle vittime. L'antimafia è nelle piccole cose. E' fatta di scelte quotidiane. La linea è la legge, si sceglie anche dalle piccole cose da che parte stare.