Dopo l'inchiesta dell'Espresso, Antonello Soro vuole verificare come la piattaforma tratti i dati degli utenti. L'azienda: "Il nostro servizio è trasparente, pubblico e legale"

Il Garante della Privacy, Antonello Soro, ha aperto un'istruttoria sul gigante delle petizioni online “Change.org” per verificare come la piattaforma tratti i dati degli utenti. La notizia arriva a pochi giorni dalla pubblicazione dell'inchiesta de l'Espresso sull' “Amazon delle petizioni online”, che vende i contatti email degli utenti che firmano petizioni sponsorizzate e scelgono o comunque lasciano spuntato il box “tienimi aggiornato su questa petizione”.

L'Espresso aveva ottenuto il prezzario che Change.org applica ai clienti che lanciano petizioni sponsorizzate, clienti che, secondo il sito web della stessa azienda sono organizzazioni no profit, come le grandi Ong da Oxfam a Greenpeace, ma sono anche agenzie e marchi politici. La lista dei prezzi va da un euro e cinquanta per ciascun contatto email, se il cliente ne compera meno di 10mila, fino a 85 centesimi per un numero superiore ai 500mila. L'istruttoria del Garante italiano va ad aggiungersi all'inchiesta aperta dal Garante dei dati tedesco su Change.org e che è ancora in corso a Berlino.

Dell'indagine aperta dal Garante, Antonello Soro, si sa pochissimo, se non che l'Autorità vuole vederci chiaro su come effettivamente la piattaforma tratta i dati di milioni di utenti - 150 in tutto il mondo, di cui 5 milioni solo in Italia - considerato che le informazioni che Change.org acquisisce sono estremamente delicate, perché fanno riferimento a opinioni degli utenti su questioni politiche e sociali. L'istruttoria punta anche a chiarire dove sono situate le banche dati della società, il tempo di conservazione, la possibile trasmissione a terzi, e le misure di sicurezza a protezione delle informazioni degli utenti.

Raggiunta da l'Espresso, Change.org precisa tramite Elisa Finocchiaro, country lead per l'Italia, che il servizio offerto dall'azienda è «trasparente, pubblico e legale», che le petizioni sponsorizzate «erano chiaramente riconoscibili» e che «solo dopo il consenso informato dell’utente, l’organizzazione acquisiva la email per successive attività di fundraising volte ad ampliare la propria platea di possibili donatori e volontari». Finocchiaro precisa che, comunque, Change.org aveva annunciato il 30 giugno, e quindi prima dell'inchiesta de l'Espresso (pubblicata il 18 luglio), la disattivazione del servizio di petizioni sponsorizzate. «Le poche campagne sponsorizzate che rimangono», aggiunge, «si esauriranno definitivamente in Italia entro il 15 agosto (ed entro dicembre 2016 per il resto del mondo) e ad ogni modo la campagna sponsorizzata come descritto dall'Espresso nell’articolo uscito il 18 luglio, per l’acquisizione di email, non esiste più in Italia».