L'ex vice di Bertolaso, Bernardo De Bernardinis, condannato per L'Aquila, nel Comitato operativo del dopo-terremoto. Nel caos delle prime ore si è rivelato fondamentale l'intervento dal cielo degli elicotteri dei pompieri
Le notizie da Amatrice sono due. Una bella. E una brutta. Quella bella è nel modello di soccorso messo in campo: una sinergia di forze, a cominciare dai primi vigili del fuoco mandati sul posto con otto elicotteri. Ed è grazie al loro coordinamento dal cielo se è stato possibile il miracolo laico del salvataggio di duecentoquindici persone sepolte dalle macerie. In attesa della commemorazione di Stato martedì, è infatti il momento del bilancio: separare ciò che ha funzionato da quanto ancora non funziona. E proprio su questo abbiamo raccolto la brutta notizia. Anzi, pessima: il ritorno nel Comitato nazionale operativo della Protezione civile di un pregiudicato mandato a processo per il disastro dell'Aquila. È l'ex vicecapo del dipartimento, Bernardo De Bernardinis, tuttora presidente di Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, organo del ministero dell'Ambiente: carica ricoperta da De Bernardinis nonostante la condanna a due anni per omicidio colposo e lesioni resa definitiva nel 2015 dalla Corte di Cassazione. Il dopo-terremoto, con le solite facce, è già cominciato.
Stamattina alle 7, il pregiudicato De Bernardinis è seduto come se niente fosse ai banchi della sala operativa della Protezione civile (vedi foto). È lì per gestire con il capo, Fabrizio Curcio, e altri funzionari i costosi interventi che da oggi in avanti il disastro di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto richiederanno. Rivederlo al lavoro, per i sopravvissuti al terremoto, è un po' come salire su una nave e ritrovarsi al timone il comandante Schettino. Non abbiamo sentito Curcio protestare con il ministro all'Ambiente Gian Luca Galletti che gliel'ha mandato, lamentarsi, prendere provvedimenti contro la sinistra presenza di De Bernardinis. E forse non potrebbe essere diversamente. Il presidente di Ispra e il capo della Protezione civile sono due figure cresciute da Guido Bertolaso e da chi stava sopra di lui: promossi e lanciati da quella burrascosa gestione delle emergenze nazionali.
In un'epoca di crisi, il pregiudicato De Bernardinis mette insieme due stipendi statali. Quello di pensionato Inps, come ex professore universitario con svariati incarichi pubblici da dirigente di prima fascia: 115 mila 269 euro l'anno, secondo la dichiarazione dei redditi 2015. E quello di presidente di Ispra: 130 mila euro lordi. Per un totale annuo, tolte le trattenute, di 204 mila 189 euro. Il professor De Bernardinis è un uomo attento alle spese. Nato a Genova, come domicilio fiscale dichiara Pula, il paradiso turistico in provincia di Cagliari. Una residenza che gli permette di godere tra l'altro, ogni volta che va in vacanza, degli sconti di viaggio riservati ai cittadini sardi. E chissà che levataccia ha fatto oggi il professore per essere presente di mattina presto al Comitato operativo della Protezione civile in via Vitorchiano a Roma.
Bernardo De Bernardinis nel 2009 era il vicecapo nazionale, accanto a Bertolaso. E nelle tre fasi di processo i giudici hanno riconosciuto la sua corresponsabilità colposa nella morte di gran parte delle 309 persone e nel ferimento di oltre milleseicento, sorprese in casa dal terremoto del 6 aprile di quell'anno a L'Aquila e in provincia. Il 31 marzo 2009, pochi giorni prima della strage, in una intervista a una tv locale De Bernardinis, arrivato a L'Aquila nella veste ufficiale di vicecapo della Protezione civile, aveva invitato gli abruzzesi preoccupati a bersi un bicchiere di buon vino rosso. La zona stava tremando da quattro mesi con scosse via via sempre più forti. Ma per lui c'era da stare tranquilli: «Si tratta di uno sciame sismico che si è caratterizzato soprattutto per avere un'alta frequenza ma una scarsa ampiezza. Questo vuol dire che come persone lo avvertiamo con alta intensità, però il danno sulle strutture è minore proprio perché lì c'è un'ampiezza ridotta». Poi la battuta dell'intervistatore: «Intanto ci facciamo un buon bicchiere di vino di Ofena». E De Bernardinis: «Assolutamente, assolutamente, un Montepulciano di quelli assolutamente doc». Meno di sei giorni dopo, alle 3.32 di notte, la catastrofe.
I terremoti non sono, per ora, prevedibili. Ma nessuna delle dichiarazioni del professore, laureato in ingegneria idraulica a Genova e collaboratore dell'Università di Potenza, come hanno riscontrato i giudici fino in Cassazione, aveva una base scientifica corrispondente al ruolo, all'incarico e all'alta retribuzione statale percepita. Tanto meno l'invito a bere vino. Sembra una barzelletta, ma purtroppo è la cruda realtà. In fondo De Bernardinis seguiva pedissequamente le direttive del capo: «È più un'operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti, diranno: è una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano cento scosse di 4 scala Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa che fa male, hai capito?», diceva qualche ora prima Guido Bertolaso al telefono con l'assessore alla Protezione civile per la Regione Abruzzo. Bertolaso in quei giorni aveva un'altra grana più gratificante da seguire: gli appalti per il G8 all'isola della Maddalena. I grandi esperti, che avevano partecipato alla famosa riunione della Commissione grandi rischi annunciata nella telefonata, sono stati condannati in primo grado ma poi assolti nello stesso processo che ha inflitto due anni a De Bernardinis.
Senza scomodare la scienza, sarebbe bastato il buon senso. E allestire tendopoli prima del disastro, come i sindaci abruzzesi avevano già fatto durante un lungo sciame sismico negli anni Sessanta, senza la consulenza enologica del professore genovese. De Bernardinis nonostante la condanna resta comunque presidente di Ispra, con l'avvallo del ministro dell'Ambiente. Il perché andrebbe chiesto più che a Galletti, all'amico-fratello che meglio conta nel governo: il viceministro dell'Interno Filippo Bubbico (Pd) con cui negli anni De Bernardinis ha condiviso decine di convegni in Basilicata. Uno scandalo che in questi giorni di emergenza costringe i tanti addetti per bene, professionalmente preparati, ufficiali delle Forze armate, funzionari di polizia, tecnici dei vigili del fuoco, a sedersi nella sala operativa della Protezione civile accanto a un pregiudicato.
La storia bella da raccontare parte invece dai primi minuti dopo la scossa di mercoledì 24 agosto. Dalle sale operative regionali e provinciali dei pompieri guardano su googlemap e capiscono subito che con quella viabilità di montagna i soccorsi finirebbero incolonnati sulla statale Salaria. Ed è proprio ciò che succederà nelle ore successive. Così nella tragica mattina, non appena fa chiaro, partono in volo otto elicotteri con le prime squadre di intervento dei vigili del fuoco. Gli stessi elicotteri tornano indietro con i feriti incontrati in paese o estratti dalle macerie. Le ambulanze al momento sono inutilizzabili. La loro corsa è infatti bloccata dai camion dei vari distaccamenti della Protezione civile che, mancando un buon coordinamento nazionale, cominciano ad arrivare senza sapere dove fermarsi. Nel caos il ponte aereo diventa fondamentale. Ora, lungo la strada che dalla montagna di Campotosto scende ad Amatrice, l'aeronautica militare dirige un eliporto con tanto di torre di controllo portatile, luci di segnalazione e addetti alle operazioni di pista.
Ai vigili del fuoco si sono poi aggiunti i carabinieri e i poliziotti dei reparti mobili mandati casa per casa, negli edifici pericolanti, a cercare sopravvissuti. E gli speleologi con il compito di infilarsi nei cunicoli. Il silenzio è tornato ad essere uno strumento fondamentale nella ricerca delle persone sepolte. Come in Friuli, come in Irpinia. A L'Aquila qualche in-esperto aveva piazzato i rumorosi generatori per le fotoelettriche proprio sopra le macerie, rendendo più difficile sentire l'eventuale richiamo di chi lì sotto era vivo.
Ancora oggi stanno lavorando mille vigili del fuoco e cinquecento mezzi delle direzioni regionali di Lazio, Piemonte, Lombardia, Veneto. Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Friuli, Campania, Basilicata e Calabria. Con unità cinofile, specialisti in ricerche speleologiche, tecnici per le verifiche statiche. E sette elicotteri: quattro AB412, un A109 e due AB206 dei reparti di volo dei vigili del fuoco di Pescara, Bologna, Venezia e Roma. Più due droni per i rilievi dall'alto. Accanto alla parte specialistica è ancora pienamente operativo il supporto logistico delle varie squadre volontarie della Protezione civile regionale e comunale. Un modello di cui andare orgogliosi. E da difendere dalle grinfie di quanti a L'Aquila hanno colpevolmente fallito.