Dobbiamo imparare dalle ferite ancora aperte dell'Aquila e dell'Emilia, e dalla storia del Belice e dell'Irpinia. Per impedire alle organizzazioni criminali e a imprenditori-sciacalli di brindare sul dolore del 24 agosto. Perché la ricostruzione non sia un business. Ma un valore
La ricostruzione post terremoto è il punto da cui adesso si deve ripartire. Potranno speculazioni e criminalità restare fuori da questa tragedia? Si riuscirà a non fare business sulla morte e il dolore? Dovrà pur servire a qualcosa l’esperienza amministrativa e giudiziaria fatta su un territorio altamente sismico. E queste nuove vittime non dovranno servire a sostenere vecchi business e nuovi appetiti per le mafie e i mafiosi. Questa tragedia che ha colpito l’Italia centrale dovrà necessariamente attingere all’esperienza fatta dopo il sisma dell’Aquila e dell’Emilia. Ferite ancora aperte, anche
per il dolore inflitto da imprenditori-sciacalli e organizzazioni criminali che su queste tragedie non hanno visto la morte come sofferenza, ma un motivo, spesso illegale per arricchirsi.
La storia italiana di ogni ricostruzione ci ha consegnato non solo sofferenza e dolore, ma soprattutto malaffare. A cominciare dal Belice, passando per l’Irpinia, fino ad arrivare in Abruzzo e in Emilia Romagna. Le mafie si sono lanciate sui ruderi dei paesi distrutti come se i cocci caduti dalle abitazioni in cui sono morti donne e bambini, studenti e pensionati, fossero pepite d’oro da raccoglie. A tutti i costi e con tutti i mezzi irregolari.
I protocolli di legalità pensati e firmati in questi decenni si sprecano. Qualcuno ha funzionato, altri sono stati raggirati. Ad ogni modo, sul dopo terremoto si è sempre trovato un prestanome di mafiosi, un’impresa irregolare che ha messo le mani sugli appalti. È stata ancora una volta fotografata un’Italia illegale che si contrappone alla grande solidarietà che questo Paese è capace di offrire a chi ne ha bisogno.
L’esperienza quindi ci dice che
il grande business della ricostruzione non viene mai ignorato dalla criminalità organizzata, e per questo motivo occorre attuare tutti gli strumenti necessari per evitare l’inquinamento mafioso. Perché sulle emergenze è più facile che le organizzazioni trovino spazi e modi per infiltrarsi e lucrare. E guadagnare sulla morte.
Negli ultimi vent’anni è stata combattuta la mafia, ma meno efficacemente la corruzione. E mafia e corruzione sono sempre più intrecciate. Lo ha dimostrato l’inchiesta “mafia Capitale” che ha messo in luce un modello tipicamente mafioso; un modello, come ripete il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, «che già aveva funzionato per gli appalti post terremoto in Campania» e che vede un intreccio tra mafia, politica e imprenditoria.
La caratteristica della criminalità mafiosa è la mimeticità nell’area grigia: ovvero esponenti delle istituzioni, dell’imprenditoria, delle professioni.
Non basta intervenire con la repressione ma bisogna prevenire: l’educazione ai valori della Costituzione è fondamentale per recuperare il rispetto della legge. Soprattutto dopo una nuova tragedia come questa del terremoto.