Le telecamere arrancano. Diventano rappresentazione di un rito. Un grande circo del lutto alla rincorsa del dramma. Mentre sui social network, lì sì, traspare la paura nella sua verità: di testimonianza

Povera televisione. Così antica e paradossalmente inutile nel suo divorare dopo il terremoto volti, parole, pietre e tetti di case fino a un secondo prima affollate di vita e normalità. Eccolo, il motore storico della condivisione popolare, scapicollarsi per strade e paesi a pezzi rivelando la sua doppia e frustrante natura: non in grado, da un lato, di investigare in tempo reale il dramma, e dall’altro lato avvinto alla necessità di rappresentare gli eventi.
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Nulla che possa reggere, nell’immediatezza dei fatti, con il dinamismo imperfetto del Web e delle piazze dei social network, dove il concetto stesso di comunicazione è basato sul principio della testimonianza. Qui sì che tra sgrammaticature formali e sostanziali - anzi: proprio grazie a queste screpolature non all’altezza del compito - traspare il dolore, l’emergenza, la paura in tutta la sua verità; qui certo, ed è un paradosso che non deve più stupire ma aprire riflessioni sul divenire mediatico, che il virtuale esalta la categoria del reale.
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La televisione no. Fatica. Arranca. Rimbalza su se stessa. Potenza tra le potenze, risulta goffa nella radiografia analitica e psicologica dello shock collettivo. Inonda è vero i palinsesti con il flusso delle cronache, degli squarci visivi sul campo, dei dettagli insistiti nel loop dei mille e ancora mille servizi, contaminando interviste e pareri tecnici con il contributo umanamente carico della gente comune, ma alla fine deve arrendersi all’esito imperfetto dello sforzo. Ovvero alla consapevolezza di rappresentare a questo punto un rito, una messa, un’abitudine, una forma scenografica di condivisione allargata, più che il canale eletto per la moderna diffusione di news e emozioni.

Si affastellano, ora dopo ora, gli aggiornamenti in video sul numero delle vittime, si ripetono gioco forza gli aggettivi e commenti, e intanto a colpi di telecomando si avvita il grande circo a lutto. Così: incastrato tra la velocità imbattibile della Rete e la profondità imponente della parola scritta.

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