La sua assenza non è timidezza: è strategia. E continuerà almeno fino alle elezioni politiche

A parte il web dove spopola - ma è il lievito madre del movimento - Virginia Raggi è oggetto di una sorta di devozione anche a Parigi. Grazie al suo no alla candidatura di Roma alle Olimpiadi la città francese è riuscita a accaparrarsi i giochi 2024 e all’ Eliseo e all’Hotel de Ville continuano a fare festa. Quando qualche audace ha osato toccare l’argomento, la deliziosa sindaca della Capitale ha optato per il suo rodato algoritmo. Sorriso malandrino, due parole, mica una di più, poi darsi a gambe levate e chiudersi il prima possibile nell’ufficio al Comune, la sua fortezza Campidoglio. Peccato non ci sia anche un ponte levatoio e le pentole per la pece.

Dov’è la sindaca? E chi lo sa? Parlare con la sindaca? E chi lo fa? Se, com’è successo, Angela Merkel capita in Campidoglio per una cena, Raggi spunta da dietro una colonna e resta immobile mentre la cancelliera capisce e le porge la mano prima di vederla evaporare inorridita di dover fare gli onori di casa a una nemica dei 5S e chissà cosa potrebbero dirle Grillo, Casaleggio e Di Maio.

A fine settembre nella tenuta di Castelporziano le tocca presenziare al festeggiamento conclusivo delle iniziative per disabili e anziani. Va incontro a Sergio Mattarella, sorriso, stretta di mano «Scusatemi, ho molto da fare, lascio una mia rappresentante» e scappa. Il Capo dello Stato che secondo lei è un po’ nullafacente rimane.
Alla fine il sottrarsi è diventato plateale. Ci vogliono tre telefonate e mail cadute nel vuoto e un ultimatum pubblico del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda per riuscire a snidarla. Non che lui volesse offrirle un tè coi pasticcini. La importunava per contribuire al rilancio della città allo stremo con una sommetta da 2,6 miliardi.
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La sindaca un po’ annoiata si è fatta vedere senza entrare nel vivo. «Ne parli con i miei tecnici» ha liquidato la faccenda e si può immaginare l’espressione di Calenda. Senza contare lo scalpore in Comune: quale sindaco rinuncerebbe mai a indicare l’indirizzo delle priorità della sua città? si commentava nei corridoi. Poi è venuto fuori che aveva dato la stessa risposta al ministro dei Trasporti Graziano Delrio che sollecitava un incontro per la problematica metro C (ha raccontato “Il Foglio”). «Chiami il mio assessore» l’ha rimesso a posto. Più efficace di Maria Antonietta. Di questi tempi meglio i tecnici che le brioches.

Con la Regione non dialoga, con l’opposizione non parla, i contatti con le associazioni sono a dir poco radi.«Stiamo lavorando » è il suo mantra-scudo e poi gambe in spalla mentre i romani aspettano un segno almeno. In aula in Comune si vede una volta su dieci. Se è presente applaude gli interventi dei suoi-nessun sindaco l’aveva mai fatto prima- e ignora i consiglieri del Pd, otto contro i 29 grillini. La capogruppo Pd Michela Di Biase, un tipo battagliero, molto attivo sul territorio, record di voti, racconta di essere intervenuta più volte per mettersi a disposizione pronta a dare una mano perché «quel che conta è il bene di Roma. Lei dev‘essere il sindaco di tutti e infatti vogliamo portare anche il nostro contributo di proposte al tavolo di Calenda». Agli appelli Raggi non risponde e posiziona lo sguardo in modalità martirio. Secondo le anime pie del Comune lei non aveva colto la feconda valenza politica e elettorale dell’offerta del ministero. Pare che a portarla a più miti considerazioni sia stato suo padre Lorenzo distinto signore con l’hobby dei balli dell’Ottocento in costume e suo ascoltato consigliere.

Se in questo momento Roma appare lasciata a se stessa come mai prima sarà, sicuramente, perché la sindaca sta lavorando a chissà quale rivoluzione grandiosa e, prima o poi, qualcosa si vedrà. Intanto quando si azzarda a mettere il naso fuori dal Campidoglio (teme buche, topi, cumuli di rifiuti?) interpreta il ruolo come poche. Spesso i suoi interventi brevi ma intensi danno la carica ai romani, una volta arrischia un «Buon lavoro» un’altra si spinge a una «Buona giornata».

Per non parlare delle proposte culturali «Volete andare al teatro dell’Opera?» (in un flash mob ha distribuito una manciata di biglietti omaggio).

Teorica dell’atto di presenza, non c’è volta che non impressioni gli uditori. Di fronte al fior fiore dell’intellighenzia alla commemorazione di Valentino Parlato che l’aveva anche votata è stata notevole «Dopo di me parlerà tanta gente, io dico solo grazie». Fine, stop, la folla ha un po’ rumoreggiato. Alla cerimonia del 25 aprile ha scelto la bella frase di Piero Calamandrei sulla Costituzione, peccato averla cercata sul cellulare e letta dal display.

Non che abbia ereditato un’impresa facile, una città dai problemi mostruosi figli di una mala gestio sedimentata, c’è di che darsi alla macchia. Nonostante un anno e mezzo segnato da polemiche, nomine sconcertanti, inchieste giudiziarie, intercettazioni imbarazzanti, Raggi è specie protetta almeno fino alle elezioni politiche. Ma ora il neo candidato premier Luigi Di Maio preferisce il rapporto a distanza demandandolo ai fedelissimi deputati Riccardo Fraccaro, ambasciatore nel mondo dell’economia romana e Alfonso Bonafede avvocato con il compito della tutela e della presentabilità legale della sindaca. I due sono stati soprannominati dal fuoco amico buontempone “le tate” di Virginia. La tata Bonafede ha il compito più hard, più che di difesa, occuparsi degli autogol. Le fortezze servono anche a questo.