I giovani di oggi né ribelli né debosciati: sono la copia conforme dei loro genitori

L'inchiesta dell'Espresso fornisce un'immagine diversa della classe 2000 che presto sarà chiamata al voto. Lontana da quella dei fratelli maggiori trentenni e con le stesse ansie e paure di padri e madri

Qualche giorno fa, invitato per un convegno all’università Cattolica di Milano, sono stato attirato da un manifesto nel cortile dell’ateneo, accanto all’ingresso nell’aula magna. Conteneva un proclama di Corneliu Zelea Codreanu, il fondatore dei legionari rumeni negli anni Trenta del Novecento: «Noi uccideremo un mondo in noi stessi. E lo faremo per costruire un altro, più alto, in grado di raggiungere il Cielo».

Era firmato dal Cuib d’Avanguardia, formazione di studenti che accoglie le matricole classe ‘99 con un richiamo ai trisavoli di un secolo prima, caduti per la patria nella Grande Guerra. Sul muro accanto c’erano i manifesti della Comunità antagonista padana-studenti indipendentisti, che esaltano «i crociati in Siria», l’assedio di Antiochia del 1097 che portò, si legge, «ad una delle massime vittorie dei paladini di Cristo sulle milizie infedeli».

Un misto di nazionalismo, esoterismo e richiami a movimenti fascisti di novant’anni fa. Sono i nuovi tazebao studenteschi, nel cuore dell’università fondata da padre Agostino Gemelli che fu culla del cattolicesimo sociale e progressista, fucina di classe dirigente, da Fanfani a Prodi, ma anche scintilla del Sessantotto milanese, partito dall’occupazione della Cattolica ad opera di uno studente umbro destinato a farsi conoscere, Mario Capanna.

Sono passati cinquant’anni dopo, mezzo secolo da quei formidabili anni, lo stesso spazio che separava la fine della prima guerra mondiale dall’anno della contestazione. In tutto l’Occidente sta per cominciare l’ennesima auto-celebrazione dell’epica sessantottina: gli ex contestatori, oggi saliti in cattedra, dopo aver attraversato la rivolta degli anni Settanta, il riflusso degli Ottanta, il potere (anche senza immaginazione) dei Novanta, fino al ripiegamento nel perbenismo borghese dei nostri tempi che agli occhi dei ragazzi di oggi li fa apparire esattamente come gli ex garibaldini o gli ex partigiani di fronte alle generazioni successive.

L'indagine
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Intanto, la Generazione Zero, quella nata nell’anno di inizio secolo e millennio, il 2000, si avvicina alle elezioni, il primo voto della vita. E nessuno ricorda più che anche il diritto di elettorato passivo e la maggiore età furono, nel 1975, una conquista dei movimenti giovanili di quegli anni. «È indubbio che l’estensione del voto ai diciottenni, votata ieri dalla Camera, sia anche conseguenza della lotta iniziata con la contestazione nel 1968-1969 nelle Università e nelle Medie superiori e poi con l’imposizione della loro presenza sempre più viva in svariate organizzazioni», commentò in prima pagina l’8 marzo 1975 “La Stampa” che riportava anche un discorso del presidente del Consiglio in carica, Aldo Moro: «La politica dovrà riuscire a parlare con i ragazzi di 18 anni, rispettando il patrimonio di verità e di speranza che questa età creativa porta con sé».

In quei giorni, sui giornali, c’era la notizia che la produzione industriale era precipitata a meno 14 per cento rispetto all’anno precedente. Una crisi drammatica, eppure i ragazzi non sembravano avvertirla. I debuttanti al primo voto alle amministrative del 1975 furono tre milioni e scelsero per il cambiamento. L’effetto fu il più imponente spostamento a sinistra dell’elettorato nella storia repubblicana, con il Pci di Enrico Berlinguer al massimo storico dei voti e alla guida di tutte le principali città italiane. Ma anche, alle elezioni politiche di un anno dopo, l’ingresso in Parlamento del Partito radicale e delle formazioni di estrema sinistra nate dal ‘68.

Ora siamo alla vigilia di un nuovo voto. Nell’anniversario dei moti sessantotteschi, vanno a votare i nati nel Duemila. L’Espresso ha raccolto i desideri, le ambizioni, le paure, le inquietudini e le preferenze elettorali dei diciottenni di oggi, in un’inchiesta nelle scuole di grandi, piccole e medie città, con le domande proposte da noi ma gestito dagli studenti stessi con lo strumento della rete. Con qualche risultato sorprendente. Ritorna la famiglia come principale fonte di informazione e di influenza sui ragazzi. I primi punti di un’ideale agenda politica sono la crescita economica e la lotta alla corruzione, un mix di sviluppismo e di legalitarismo, non esattamente chiedere l’impossibile. I diritti civili o l’uguaglianza delle opportunità arrivano molto dopo, come lo ius soli e la chiusura delle frontiere, i nuovi opposti estremismi. C’è lo scarso entusiasmo sulle preferenze elettorali. E la tentazione, fortissima, di disertare le urne, di non andare a votare, neppure per la prima volta.
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È un ‘68 alla rovescia. E per una volta i diciottenni che si raccontano in questa intervista collettiva non appaiono né come ribelli desiderosi di uccidere i padri e di rottamare la generazione precedente, e neppure come apatici, svogliati, sdraiati, indecifrabili per i loro genitori cresciuti dell’età dell’impegno. Ma sono anche molto diversi dai loro fratelli appena più grandi, i 20-30enni, i millennials da ostentare come trofei di caccia sui palchi delle convention pre-elettorali, merce pregiata nel prossimo torneo del voto.

I diciottenni, i ragazzi della Generazione Zero, sembrano semmai una copia conforme dei loro padri e madri. Condividono frustrazioni e debolezze, chiusure e rivendicazioni. Vivono immersi in quella che l’ultimo rapporto Censis ha definito «l’età del rancore»: «un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale». «Di fatto», prosegue il Censis, «l’ascensore sociale bloccato è un componente costitutiva della psicologia dei millennials, permeata dalla convinzione che le opportunità di crescere socialmente sono davvero poche: l’87,3 per cento di loro pensa che sia molto difficile muoversi verso l’alto nella scala sociale e il 69,3 per cento che al contrario sia molto facile scendere verso il basso».

Nessuna possibilità di salire e molte probabilità di scendere, è l’angoscia della società italiana, che i millennials, e ancor più i diciottenni, portano nella loro giovane biografia. I nati nel 2000 sono stati concepiti nel 1999, nell’anno dell’eclissi totale di sole, tutti con un pezzo di vetro affumicato davanti agli occhi l’11 agosto di quell’anno, a cercare la sfera oscurata, nella vigilia del Duemila segnata dal panico per il millennium bug che si temeva avrebbe bloccato tutti i sistemi informatici del globo. Non successe nulla di catastrofico, il bug doveva arrivare nei mesi e negli anni successivi: il G8 di Genova del 2001 con la macelleria messicana della scuola Diaz, l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle, lo Tsunami nel Pacifico durante le vacanze di Natale del 2004, il terremoto dell’Aquila nel 2009, gli attentati di Madrid, Londra, Parigi, Barcellona come un rosario di lutti infiniti, le guerre in Afghanistan e in Iraq. La crisi finanziaria e la lunga crisi economica. La Generazione Zero ha vissuto l’arrivo dell’euro e la fine del sogno europeo con la Brexit. L’elezione alla Casa bianca di Barack Obama e quella di Donald Trump. La vittoria dell’Italia ai mondiali di Germania del 2006 e l’eliminazione dalla fase finale per la prima volta dopo sessant’anni. Le primavere arabe e l’Isis. Le dimissioni di un papa e l’elezione di un pontefice venuto dalla fine del mondo. Il delitto senza colpevoli di Giulio Regeni al Cairo.

Sulla scena politica italiana si sono alternati Silvio Berlusconi e Romano Prodi, poi i tecnici di Mario Monti, e infine i nuovi Beppe Grillo e Matteo Renzi. Leadership che si presentavano come eterne o innovative sono arrivate in modo rapido alla consumazione di se stesse. Alcuni di loro si preparano ad affrontarsi nella campagna elettorale che sta per cominciare, su temi molto lontani. La commissione parlamentare sulle banche si è trasformata, com’era prevedibile fin dall’inizio, in una resa dei conti su Banca Etruria tra il Pd di Renzi e di Maria Elena Boschi e un pezzo di establishment, rappresentato da via Nazionale e da Banca d’Italia. In piazza i sindacati e la nuova sinistra tornano a sfilare contro l’innalzamento dell’età pensionabile, che per un ragazzo di diciotto anni quanto la riforma fiscale del centrodestra: nulla.

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In un deserto di rappresentanza che parte dalla scuola, come scrive Massimo Cacciari, il primo incontro dei ragazzi con le istituzioni, il pubblico, lo Stato, il luogo della partecipazione che negli ultimi anni si è capovolto nel suo opposto: una landa ostile, una terra di nessuno, un panorama di macerie e di rovine, come la regione (la Sicilia) raccontata da Niccolò Ammaniti in “Anna” del 2015. Nel romanzo gli adulti scompaiono e sopravvivono solo i bambini, destinati a finire quando saranno diventati grandi.

Più che denunciare la disaffezione degli Zero, c’è da rallegrarsi che in questa situazione resista ancora una riserva di spirito civico. Non tutti i ragazzi si sono già arruolati, in una ricerca di senso, tra le bandiere abbrumate e le scuole di neo-fascismo che occupano il vuoto lasciato dalla politica dei grandi. E il cosiddetto mondo adulto deve abbandonare ogni paternalismo, quello di chi li vuole sempre a casa e quello di chi li vuole sempre in piazza, perché la favola non parla della generazione Zero, ma degli adulti, del Paese e di cosa siamo diventati. E c’è da rispettare «il patrimonio di verità e di speranza che questa età creativa porta con sé», come diceva quel politico antico, sensibile

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