Franco Grillini: "L'Italia impari da Fabo, morire con dignità è il primo diritto"
Il leader storico del movimento gay depositò durante il governo Prodi la prima proposta di legge sull'eutanasia. E oggi commenta la morte di dj Fabo in Svizzera: "La politica è rimasta immobile. Orribile che abbia dovuto andarsene così, lontano dai suoi cari"
Franco Grillini parla dalla sua casa di Bologna. Dice che indossa i guanti e un berretto, perché le cure per il tumore di cui è malato da tempo l'hanno fatto dimagrire moltissimo e ha sempre freddo. Le parole gli escono con un po' di affanno, come se stesse correndo o camminando in fretta. E in effetti è quello che sta continuando a fare anche in questi mesi difficili, costretto lontano dalla politica. Correre, camminare in fretta, per portare o riportare nel dibattito pubblico i temi che gli stanno a cuore, quelli delle libertà individuali che lo Stato non deve condizionare. Protagonista del movimento studentesco a Bologna negli anni Settanta, presidente onorario di ArciGay, parlamentare dal 2001 al 2008, Franco Grillini è un antesignano della battaglia per i diritti, da quella per le unioni civili a quella per una legge sull'eutanasia. Come lui stesso racconta in questa conversazione.
Cosa pensa della morte in Svizzera di dj Fabo? Della morte di Fabo mi colpisce e mi addolora che sia stato costretto a morire solo, lontano dai propri cari: se lo avessero accompagnato in Svizzera potevano essere accusati di omicidio volontario. E così quest'uomo che da tempo aveva espresso la sua volonta di non vivere più una vita insopportabile, addirittura appellandosi al presidente della Repubblica, ha dovuto affrontare la fine lontano dalla sua famiglia, dai suoi affetti, dai suoi amici.
Una brutta pagina per l'Italia? La sua morte è un simbolo del livello di crudeltà che può raggiungere l'ideologia dei principi non negoziabili. In Italia c'è chi viene aiutato a morire quando non è in condizioni di malattia terminale, ma tutto avviene di nascosto, in silenzio: si fa ma non si dice. E' la negazione del principio della democrazia liberale, in cui ciascuno dovrebbe essere padrone della propria vita e del proprio corpo. Se non posso decidere del mio corpo, se del mio corpo decidono lo Stato e il Vaticano, allora il concetto stesso di libertà è svuotato del suo valore.
Quando era deputato, durante il governo Prodi, lei mise a punto una proposta di legge su eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico, che raccolse solo 4 firmatari. Quindi conosce bene l'ostruzionismo che subisce chi si occupa di questa materia... La mia proposta era molto articolata e il consulente era una persona di grande cultura liberale, Giulio Arcolessi. Era ricalcata sulla legge belga, che era già in vigore, ma leggermente corretta in modo da rendere ancor più certa la volontà della persona. Quando però la misi a punto e andrai in cerca di firmatari, mi resi conto che l'argomento mi creava intorno il deserto. Riuscii a trovare solo tre firmatari, e uno era il radicale Maurizio Turco. Il Giornale prese una cantonata, perché tranne il primo firmatario, gli altri possono apporre solo il cognome. Così pensarono si trattasse di Livia Turco, che all'epoca era ministro della Salute, e titolarono sul fatto che il ministro Turco voleva uccidere i vecchietti. Quagliarello fece un editoriale sul nichilismo della sinistra e cose così. Io svelai la bufala con un comunicato stampa ripreso dalle agenzie e così il Giornale in qualche modo fece pubblicità alla mia iniziativa.
Come mai, dopo il caso Englaro e quello che ha significato per l'opinione pubblica, ancora non si riesce in Italia a legiferare su questo tema? Il caso di Eluana Englaro è stato estremamente importante. Perché seguire il percorso di quel povero corpo, strumentalizzato dalla destra più becera, è stata una vicenda che ha permesso agli italiani di identificarsi, di pensarsi in quelle condizioni. C'è bisogno che scatti una proiezione identificativa per capire cosa si vive in certe condizioni: oggi, i sondaggi parlano chiaro, la maggior parte degli italiani è favorevole a delle norme che disciplinino la materia, che affrontino il tema della libertà del morire. Ho avuto un tumore di recente e so cosa vuol dire essere sopraffatti dal dolore. Sopravvivere a qualunque condizione è una tortura, e in Italia è lo Stato che la impone a chi è senza speranza e vorrebbe porre fine alla sua sofferenza. Per arrivare a una legge bisogna sempre sfidare un tabù e quello della morte è un tabù molto forte, perchè l'abbiamo rimossa, l'abbiamo ospedalizzata, abbiamo condannato i morenti spesso a una grande solitudine. E inoltre in questo caso c'è l'opposizione del Vaticano. Come è stato nel caso della legge sulle unioni civili. La prima volta che riuscimmo a calendarizzare una proposta di legge, a iniziare la discussione sul tema delle unioni civili in aula, il Vaticano telefonò per avere i nastri registrati. Ma quello che dico è che anche quando è difficile bisogna sempre provarci, anzi bisogna provarci proprio perchè è difficile.
Il diritto all'eutanasia, al testamento biologico, al suicidio assistito in che modo sono legati alle altre libertà per cui si è battuto? Il legame sta nell'essere padroni del proprio corpo e delle proprie scelte di vita. Liberi di seguire la propria inclinazione sessuale, di decidere del proprio futuro, della propria vita privata. Lo Stato deve sovraregolare i diritti, questo è il suo compito e non un altro. E non può imporre a nessuno una vita che diventa una tortura.