Burhan Mohammad, veronese di origini pakistane, ha sposato una ragazza nel Punjab senza averla mai incontrata. E ora si dice innamoratissimo: «In Italia l'80 per cento dei miei connazionali celebra nozze combinate. Il matrimonio non è solo amore, è anche fede. Nessuno però deve essere costretto» 

Gli amici veronesi che lo conoscono da una vita non ci volevano credere. Quel ragazzo italiano, di origini pakistane, che vive a Verona da quando ancora non sapeva camminare, si è sposato su Whatsapp. A venticinque anni. Ci sono voluti un paio di messaggi e una telefonata per combinare il suo matrimonio. Tra il Veneto e il Punjab pakistano, 7.200 chilometri di distanza. Più le ore di volo che le conversazioni con la futura moglie, Ifrah Noor. La prima volta che l’ha vista era già ufficialmente sposato. Con lei, ovviamente. Eppure guai a parlare di forzature. Burhan Mohammad si dice felicissimo e, soprattutto, innamoratissimo.

Cominciamo dall’inizio, è davvero nato su Whatsapp questo matrimonio?
«Il 10 dicembre scorso mio padre mi ha mandato la foto di una ragazza, chiedendomi se mi piacesse. Ho risposto che era bella e non ne abbiamo più parlato. Ero al lavoro e pensavo non fosse una cosa importante. Non le avevo dato peso».

E invece?
«Tornato a casa quella sera, l’ho trovato praticamente alla porta. Mi ha subito detto che avrei dovuto parlare con il padre della ragazza perché mi voleva conoscere. Assicurandomi che erano una bella famiglia. Ho cercato di prendere tempo almeno fino al giorno seguente, ma lui ci teneva davvero tanto. Quindi l’ho accontentato e ho parlato con quello che sarebbe diventato mio suocero. Un paio di minuti, solo convenevoli e domande generiche a cui ho risposto. Finita la telefonata ha continuato a tessere le lodi dei probabili affini»

Si è lasciato convincere con così poco?
«In realtà ho chiesto di parlare con la ragazza prima di dare la mia risposta definitiva. Insomma una conversazione di cinque o dieci minuti per non andare proprio alla cieca».

Saggia scelta. A questo punto ci riveli anche questa seconda telefonata.
«Le ho chiesto pochissime cose. Insomma che intenzioni avesse, come si vedesse fra dieci anni e come avrebbe voluto crescere i figli».

Bruciare le tappe è nulla in confronto.
«Il 14 dicembre, quindi quattro giorni dopo quel messaggio con la sua foto, eravamo fidanzati ufficialmente. E le nostre famiglie avevano già concordato la data delle nozze: il 17 febbraio».

Come mai tutta questa fretta?
«Perché l’intenzione è buona, è inutile perdere tempo. C’è solo il rischio che si rovini tutto. Il matrimonio è una cosa molto seria e va affrontato come tale. Un musulmano si sposa anche per fede, non solo per la bellezza o per la ricchezza».

In due mesi può succedere di tutto. Non ha mai avuto un ripensamento, nemmeno per un istante?
«In realtà sì e anche più di una volta. Penso sia normale, anche perché ho venticinque anni. Ed ero convinto che non avrei sposato una pakistana. Due anni fa ero andato a chiedere la mano a una marocchina, ma non è finita bene».

Ha mai pensato di sposare un’italiana?
«Ho sempre fatto un ragionamento che includesse anche l’educazione dei figli e diciamo che è più semplice per loro crescere in una famiglia omogenea. Vorrei che crescessero come sono cresciuto io. E le dico che per i pakistani è una questione culturale, non religiosa. Molti pensano sia indispensabile non solo sposare una connazionale ma deve essere anche della propria città e della propria casta. Ma questi sono altri discorsi»

Torniamo al matrimonio.
«Sono partito per il Punjab il 13 febbraio. Arrivato il giorno dopo (il giorno di San Valentino, ndr) e il 15 sono andato a ritirare l’abito tradizionale per i festeggiamenti».
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Scusi se insisto, ma la sposa l’ha vista?
«No. Il 16 sono iniziate le celebrazioni delle nozze. Feste separate, ogni famiglia per conto proprio. Il giorno dopo invece siamo stati tutti ospiti della famiglia della sposa. Ed è lì che è avvenuto l’incontro»

Ce lo racconti.
«Sono stato accolto dai suoi genitori. Dopo i saluti ci hanno servito il tè. E abbiamo ufficialmente stipulato il matrimonio, alla presenza di un imam. Mi hanno chiesto tre volte se la volessi sposare, senza che l’avessi vista ancora. Ho detto che ormai ero lì».

Mi sta dicendo che il suo fatidico “sì, lo voglio” si è trasformato in un “ormai sono qui”?
«L’ho solo pensato, scherzosamente. Ero convinto di quello che facevo e in effetti appena l’ho vista sono svaniti tutti i dubbi».

E’ un modo di dirci che è bella? 
«Bellissima».

Ci può dire altro?
«Ha 22 anni, intelligente e molto colta. Aperta al mondo. Quando le ho raccontato della mia passione per i video su Youtube, mi ha proposto di aprire un canale per raccontare la nostra vita familiare pakistana al mondo. Con la giusta ironia»

E’ andata bene quindi, almeno la festa. Poi la luna di miele?
«Intanto il nostro approccio si è basato, e si basa, prima di tutto sul rispetto. Ricordo che i primi giorni ci davamo del lei. E con il rispetto è arrivato anche l’amore. Abbiamo viaggiato tanto insieme, sono stati momenti straordinari e non vedo l’ora che mi raggiunga in Italia, a fine mese spero».

Possiamo dire che ne è uscito felice, ma magari non è sempre così.
«In realtà è molto più frequente di quanto si creda. Anche in Italia tantissimi pakistani, penso l’ottanta per cento, si sposa con un matrimonio combinato. Seguendo solo le indicazioni delle famiglie».

E se la ragazza non volesse quell’uomo o non volesse proprio sposarsi?
«Nessuno può essere costretto. E’ contro l’islam e non fa altro che danneggiare tutte le famiglie, sia quella dei genitori che quella nuova con il marito. Due mie sorelle si sono sposate prima di me allo stesso modo. Guardavano le foto e davano la loro risposta. Molti sono stati scartati».

Come l’ha spiegato ai suoi amici italiani?
«All’inizio sono rimasti stupiti, ma poi hanno capito. Hanno detto comunque che sono un mòna»