Certo, la libertà di scelta. Una delle principali conquiste della modernità è proprio quella: ognuno di noi (in teoria, la prassi tra fascismi, comunismi, nazionalismi, etnicismi e altre ideologie di stampo romantico era diversa) ha la facoltà di decidere quale identità vuole assumere e che cosa vuol fare e diventare nella vita.
Ai tempi della biopolitica, la libertà di scelta diventa inevitabilmente l’autodeterminazione: sono io che decido che cosa fare del mio corpo, a quale genere appartengo e ho la facoltà di trascendere e cambiare la mia identità. E fin qui, siamo di fronte a istanze di emancipazione, di liberazione dell’umanità da quelle che fin dall’epoca dell’illuminismo e della fede incrollabile nel progresso sono considerate le “costrizioni” della natura, della tradizione, delle fedi e religioni rivelate.
Ma a pensarci bene, nell’era della postmodernità e di una società in via di disgregazione, parcellizzazione, atomizzazione, solitudine che cosa significa autodeterminarsi? E per entrare nel merito della questione: che cosa sono la libertà di scelta e l’autodeterminazione, appunto, quando si parla della resistenza all’obbligo della vaccinazione dei bambini?
Cominciamo dall’inizio. Con una premessa: i no-vax sono un movimento vasto, transnazionale e che abita in quasi tutti i Paesi del nostro Occidente; è solo il crescente disinteresse dei media e dei politici italiani nelle vicende del mondo a farlo apparire e trattare come un fenomeno “da Belpaese”, interessati come sono (i politici e i media) solo alle affiliazioni partitiche.
Ecco, l’autodeterminazione in questa seconda decade del terzo millennio, in Europa, si sta trasformando sempre di più in uno slogan semplice e in apparenza attraente: “padroni a casa nostra”. E giustamente, sempre in apparenza: se siamo in grado di essere padroni della nostra vita e se chiediamo perfino il diritto di decidere come porre fine alla nostra esistenza, non ci sarebbe alcun motivo per non poter decidere liberamente se vogliamo o meno vaccinare i nostri figli e le nostre figlie. Il discorso, fatto così, sembra corrispondere a una logica senza scampo.
Al secondo sguardo, tuttavia, si scopre che c’è una differenza tra autodeterminazione e autodeterminazione. E la differenza sta in due ambiti. Il primo, è quello, appunto, del legame sociale. Senza perifrasi: la retorica dei no-vax, o meglio il loro linguaggio, è la radicale affermazione della postmodernità, anzi dell’incrollabile fede (per modo di dire) nei valori della postmodernità, perché i no-vax portano alle estreme conseguenze la convinzione e la prassi della cessazione dei legami sociali, della solitudine irrimediabile, dell’impossibilità e del rifiuto di immaginarsi pratiche e sentimenti come solidarietà e mutuo soccorso. I no-vax sono i profeti e le avanguardie di quel movimento neanche più sotterraneo che porta all’abolizione della società stessa, intesa come un sistema di relazioni tra persone e gruppi di esseri umani.
In parole semplici e primitive: se una persona decide di cambiare sesso o di mettere in discussione la sua appartenenza a un genere, la cosa riguarda solo questa persona; idem per le donne che decidono se interrompere la gravidanza (a meno che non si consideri l’embrione un essere umano); o uomini e donne che arrivano alla conclusione che la loro vita non è degna di essere vissuta e quindi preferiscono porre fine a essa.
Non vaccinare i propri figli invece significa non solo mettere loro in pericolo, ma contestare la norma elementare per cui il mio comportamento non debba nuocere agli altri. O, se vogliamo, viene meno il principio liberale e di buon senso (Isaiah Berlin docet) per cui lo spazio della mia libertà finisce là dove comincia il rapporto con l’altro. I no-vax sono da questo punto di vista l’espressione di un individualismo senza limiti: vincano il più forte e il più sano.
E a proposito del più sano; c’è un secondo aspetto della questione. Il movimento transnazionale no-vax è anche (e forse prima di tutto) l’espressione di un sentimento e di un pensiero arcaico e che ci riporta alle origini (incontaminate, si fa per dire) della narrazione e del pensiero umano, ai tempi in cui di fronte alla forza della natura, allo stupore e terrore per la morte, il dolore, la malattia, gli uomini e le donne hanno inventato un concetto terribile, ma allo stesso tempo consolatorio: il destino, il fato, l’immutabile compiersi di qualcosa che doveva succedere al di là della volontà del protagonista.
Ci sono tracce di simile pensiero nella Bibbia ebraica (re Saul era predestinato alla follia e alla perdita del regno); nei miti e nella letteratura greca si parla spesso di Ananke, una dea che con acribia fa e disfa i destini degli umani; e via citando fino ai drammi di Shakespeare. Per dirla in una maniera brutale e facendo un esempio: i no-vax come se avessero letto solo quelle pagine dell’Iliade dove Omero parla degli dei, senza mai interessarsi delle gesta di un Ettore, Paride o Agamennone. Gli uomini in quella narrazione non contano; le loro scelte non sono importanti, perché nessuno di noi è in grado di cambiare il proprio destino. E anche perché (nella versione postmoderna e filoecologica), siamo parte della natura e ribellarsi alle leggi della natura è (in termini greci) hybris , una ribellione contro gli dei e contro il fato. In versione biblica hybris è la storia della Torre di Babele. Dio onnipotente distrugge quell’impresa degli umani che pensano di potere toccare il cielo.
E ancora; non a caso, i movimenti che cercavano di migliorare la condizione umana, spesso si richiamavano a Prometeo: colui che ruba il fuoco agli dei per offrilo agli umani, perché possano davvero determinare la loro vita, trasformando il mondo. I no-vax sono nemici di Prometeo e di chiunque a Prometeo si richiama. O meglio: i no-vax sono in qualche modo l’opposto di tutto quello che la filosofia occidentale ha prodotto dai tempi (almeno) di Cartesio e fino all’esistenzialismo. Spieghiamoci: lo sforzo dei filosofi era quello di comprendere, definire, determinare, rendere in movimento il posto e il ruolo degli umani nel mondo. Penso quindi sono, ma non penso per contemplare; penso invece per cambiare; e ancora e fino agli esistenzialisti, appunto, che affermano quanto tutti noi siamo quello che scegliamo di essere. Ma la nostra libertà di scelta avviene in un contesto sociale, in una situazione in cui c’è sempre come riferimento e relazione l’Altro (anche se l’Altro può essere l’inferno o il nulla, come intuiva Sartre, ma è un discorso a parte).
Infine, nell’anti-vax c’è un elemento del romanticismo. In un bel libro di Michael Loewy e Robert Sayre, “Rivolta e malinconia”, appena pubblicato da Neri Pozza, si parla del romanticismo appunto come di una delle forme di rivolta contro il capitalismo, colpevole di distruggere il corso naturale delle cose e delle vite umane; e anche di trasformare il tutto in merce. Tra le antinomie del Romanticismo, dicono gli autori c’è però il suo legame indissolubile con l’Illuminismo (per intenderci, niente Napoleone e niente Beethoven o Chopin senza Voltaire); e anche il fatto che sempre il Romanticismo prevede ed esalta il gesto del singolo individuo, non solo come una scelta del modo di morire, ma come un’azione concreta per trasformare il mondo. Ecco, perfino da romantici si è illuministi ed eredi ideali di Prometeo.
E invece, sembra che in tutta Europa stiamo tornando alla fede nel destino, alla venerazione di Ananke. Che, ripetiamo, nelle sue ultime conseguenze significa: rassegniamoci, rinunciamo ad agire. In nome della libertà di scelta (che è quello che ci rende umani), si finisce per non scegliere niente.
Attualità
12 settembre, 2017Non vaccinare i propri figli significa non solo metterli in pericolo, ma contestare la norma elementare per cui il comportamento individuale non debba nuocere ad altri. Così rifiutare i vaccini diventa l'espressione di un individualismo senza limiti, l'estremo rifiuto della società di massa
Egoismo e complotto, le due facce dei No-Vax
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