Attualità
8 luglio, 2025Per questa nuova Autorità nazionale, la ministra Locatelli ha fatto le cose in grande: tanti compiti e tanti risorse. Ma per ora i risultati sono soltanto costi. E pure le nomine non sono state tanto "indipendenti"
La ministra leghista Alessandra Locatelli è talmente lungimirante che sui disabili è un continuo rinviare, procrastinare, sperimentare. Ecco, la parola più adeguata al ministero per le disabilità – plurale inclusivo, e allora, quando vogliono, sanno includere – è sperimentare. La mastodontica Riforma (maiuscola) del settore, quella che dovrebbe «digitalizzare» e «semplificare» le pratiche, i certificati, i progetti di vita, è immersa in una lunga fase di sperimentazione di provincia in provincia, di anno in anno, l’arrivo è fissato al 2027. La legge sui caregiver, coloro che si prendono cura di un disabile spesso in solitudine e in indigenza, è in una lunga fase di sperimentazione sì, ma introspettiva perché la ministra ha avocato a sé l’atteso intervento normativo, il disegno di legge chissà dov’è, chissà com’è.
In ultimo o per primo, dipende, la ministra Locatelli ha varato l’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità (2022), poi i presidenti di Camera e Senato ne hanno nominato il collegio, un triumvirato con un presidente (2024), infine il collegio si è insediato (2025) pur in assenza di sedie, in senso materiale, non figurato; dunque esaurita questa fase di rodaggio, pardon di sperimentazione, l’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità svolgerà le sue mansioni a pieno regime a partire dal 2026. È plausibile che la ministra Locatelli non voglia sottoporsi a giudizi affrettati oppure, meglio a dirsi, non voglia essere sottoposta a giudizio alcuno, ma miri a un onesto “sv”, un senza voto come con le pagelle dei calciatori. Questa strategia, però, non è accettabile. Anche perché, dopo oltre due anni e mezzo di governo con una schiacciante maggioranza parlamentare, il non fare nulla o il fare poco equivale al fare male.
A differenza della Riforma immersa nella sua lunga fase di sperimentazione e della convulsa scrittura del testo sui caregiver, il Garante – lo chiamiamo così come nei documenti ufficiali appare – è qualcosa di reale, non troppo, ma esiste, si muove, spende. È l’atto più prossimo al primo atto completo della ministra Locatelli e, seppur sia passato nella quasi totale indifferenza politica e mediatica, merita l’attenzione de L’Espresso in questa seconda puntata sul ministero per le disabilità. (E non ci fermiamo qui).
Il Garante scaturisce da una legge delega del governo di Mario Draghi per la «revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità». In quella legislatura e con quel governo, il Garante era un attore di rilievo, non un protagonista. Non è una supposizione, ma l’analisi del paragrafo dedicato al tema, contenuto in una legge ben più ampia (22 dicembre 2021). Queste erano le prescrizioni: «Istituire il Garante quale organo di natura indipendente e collegiale, competente per la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità; definire le competenze, i poteri, i requisiti e la struttura organizzativa». Il decreto legislativo del governo Meloni con la ministra Locatelli ha sfruttato appieno il margine “creativo” lasciato dal governo Draghi. Il Garante è effettivamente un organo di natura «collegiale» poiché la ministra ha individuato tre posizioni, un presidente con poteri di gestione e due componenti aggiunti con deleghe (non ancora assegnate). Ignazio La Russa come presidente del Senato e Lorenzo Fontana come presidente della Camera, un fondatore di Fratelli d’Italia e un esponente della Lega di Matteo Salvini, in loro piena autonomia, alla vigilia di Natale hanno indicato il collegio. Come accade per le Autorità di questo tipo. Per altre, a volte, si è scelta la candidatura più o meno spontanea con una selezione più o meno per titoli. In questa circostanza, la seconda e la terza carica dello Stato hanno preferito procedere in solitaria.
Appurata la «collegialità», i presidenti (e il governo) hanno rispettato anche il requisito della «natura indipendente» del Garante? Il presidente Maurizio Borgo è un avvocato dello Stato, perciò l’indipendenza è consustanziale al suo rango, in passato, da consigliere giuridico, da segretario generale, da capo di gabinetto, ha lavorato per governi di centrodestra e di centrosinistra, tecnici con tutti dentro, la Regione Calabria col centrodestra di Jole Santelli e la Regione Campania con il centrosinistra di Vincenzo De Luca, ma per assumere la presidenza del Garante Borgo si è dimesso da capo di gabinetto della ministra Locatelli. La stessa strada ha percorso il dottor Francesco Vaia, il rettilineo che dal governo conduce all’indipendenza. Vaia è un volto noto perché durante la pandemia era al vertice dell’istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, ma per spostarsi al Garante, a 71 anni da compiere a novembre, ha interrotto l’avventura di direttore generale per la prevenzione del ministero della Salute. Il terzo membro è l’ingegnere romano Antonio Pelagatti, malato distrofico che da anni lotta per i diritti dei disabili e sprona la politica. È stato fra i consulenti del ministero del Lavoro.
Questo è il collegio. Non una concessione alle opposizioni (neanche loro ne facevano). Non qualcuno di ostile e neanche estraneo al governo Meloni. Non una donna. Non proprio un manifesto di «indipendenza». Almeno nella forma, vedremo nei fatti.
Il governo Draghi attribuiva al Garante cinque funzioni proprio per attuare la convenzione delle Nazioni Unite che ne richiedeva la creazione: raccogliere le segnalazioni, vigilare sui diritti, svolgere verifiche, formulare raccomandazioni, promuovere una cultura del rispetto. Il governo Meloni le ha triplicate, le funzioni, allargando le competenze del Garante e allungando la sua influenza verso i territori e le associazioni. Un esempio: «Promuove rapporti di collaborazione con i garanti e gli altri organismi pubblici a livello regionale o locale (…) in modo da favorire lo scambio di dati e di informazioni e un coordinamento sistematico per assicurare la corretta, omogenea e concreta applicazione delle norme, tenendo conto della differenziazione dei modelli e delle pratiche di assistenza e protezione». È lampante la sovrapposizione tra il Garante nazionale e il Garante regionale, difatti il presidente Borgo rassicura che si sono già confrontati con i Garanti regionali e ci sarà un apposito protocollo per delimitare con nettezza i confini di ciascuno. La «cultura del rispetto», invece, il governo Meloni l’ha interpretata come rivolta alle scuole, ai più giovani, mentre il governo Draghi era stato più vago: «I ragazzi vanno sensibilizzati. Va nella direzione dell’educazione civica che è stata ripristinata», aggiunge Borgo. Questa ulteriore missione impone al Garante una relazione costante con i ministeri: sarà arduo tutelare l'indipendenza, essere messaggero di civiltà, non megafono di propaganda.
Le ambizioni sono grosse. Quelle per il Garante del governo Meloni sono indubbiamente superiori a quelle del governo che lo ha preceduto. Il parsimonioso Draghi non avrebbe bollinato risorse per circa 5 milioni di euro in due anni per il Garante, denaro reperito dal “Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità”, non tanto per la cifra in sé, quanto per lo scopo. Con questi stanziamenti, il Garante sarà in grado di allestire il suo organico, ma dovrà rimediare con altri strumenti, la fantasia tra questi, per assolvere alle quindici funzioni che s’è dato. Che poi ai 13 milioni di italiani disabili, di cui 3 in condizioni gravi, interessa che il Garante li aiuti, non se il prezzo è giusto. Al momento, però, sappiamo soltanto il prezzo. Cioè il costo. A sette mesi dalle nomine, come previsto per la fase “sperimentale”, le attività sono minime.
A breve è atteso il lancio del sito. Il governo ha messo in conto 1,682 milioni di euro per il 2025 e 3,2 milioni di euro per il 2026 con queste voci di spesa per il biennio: 1,130 milioni per i servizi (affitto, arredi, utenze); 1,040 milioni per il trattamento economico di presidente (200.000 annui) e componenti (160.000 annui); 60.000 euro per i rimborsi del collegio; 400.000 per gli esperti ingaggiati; 292.000 euro per il contingente di un dirigente e di otto unità per quest’anno; 1,960 milioni per due dirigenti e venti unità per il prossimo anno. Il mandato è di quattro anni. Due anni coperti, poi si integra. Non c’è bisogno di un indovino: i soldi a disposizione bastano a pagare stipendi e bollette, e il resto? Suvvia, abbiate pazienza: sperimentazioni in corso. Un paio di anni ancora di attesa, e poi sarà un gran successo!
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