Più concorsi pubblici per tutti. Tolleranza sugli abusi. E al popolo, selfie e sorrisi. La metamorfosi del trio grillino Cancelleri-Di Maio-Di Battista: meno "Vaffa", più Balena Bianca
Promette più posti di lavoro, borse di studio a centinaia, nuovi concorsi pubblici, comprensione per chi vive in case abusive.
La sua parola chiave è “buonsenso”. La sua voglia di governare grondava già un anno fa: «Il nostro non è un movimento di protesta, ma di governo», ebbe a dire passeggiando con il leader supremo. Insomma, non è ancora ufficiale che Luigi Di Maio sia il candidato premier del M5S: ma di certo Giancarlo Cancelleri è il suo profeta. Abbastanza scaltro da annunciare in comizio di aver firmato una scrittura privata con la quale rinuncia «irrevocabilmente» alla pensione da deputato dell’Ars - anche se sa benissimo che ha un valore relativo, dal punto di vista legale. Sufficientemente elastico da chiarire:
«Se il mio peggior nemico proponesse qualcosa di buono per i cittadini perché dovrei dire di no?». Non a caso lo definiscono “un Luigi delle zolfatare”. E la campagna d’agosto per la Sicilia, in tre con Alessandro Di Battista, per la conquista di Palazzo dei Normanni l’ha squadernato oltre ogni dubbio. Insieme con una precisa immagine della metamorfosi gattopardesca che, a dieci anni dal primo V day, si è compiuta nel Movimento.
I grillini non sono più le nuove promesse dell’anti-sistema che aspettano sulla riva siciliana che il loro leader attraversi lo Stretto di Messina a nuoto, per fare la campagna elettorale in camper, come nel 2012. Non sono più, di sicuro, gli entusiasti delle autopresentazioni on-line e delle riunioni in streaming. Non più, soprattutto, i “terminali” o portavoce della volontà del popolo grillino. Altro che uno vale uno. Dopo la rupture dell’epoca del direttorio, ormai ci si vanta di attirare giornalisti: «La mia presenza qui ha contribuito a portare un po’ di telecamere, diciamolo anche», ha puntualizzato Di Maio, circondato dall’establishment in uno dei templi dell’establishment, il Centro studi americano di Palazzo Caetani. L’orgoglio delle telecamere puntate addosso: chiave di volta di un’epoca che ha lasciato alle spalle i dictat “no tv”.
Nel tour per l’isola, vistosamente senza il fianco di Beppe Grillo, si è manifestata così l’ultima versione del movimento. Di Maio, Di Battista e Cancelleri tra i banchetti delle sagre o sopra un palco, più o meno accompagnati dalle rispettive fidanzate e mogli, che ridacchiano a sfondo cartolina, in giro per le rovine di Selinunte, coi grembiuli all’antico forno Santa Rita, intenti a caricare nel portabagagli alcune cassette di pesche nettarine. Tre fratelli Wright - così si sono soprannominati - che portano avanti l’idea semplice (e molto pro Di Maio) di una conquista progressiva del potere, quella già proposta per la corsa al Campidoglio:
prima vinciamo in Sicilia, poi in Italia. E il Movimento appare ormai confezionato in un modo per cui il vasto campionario umano dei Cinque stelle risulta pressato, intruppato, in una specie di lavorazione in linea a flusso continuo, la produzione in serie di un certo tipo di messaggio, di un certo tipo di immagine, di un certo tipo di leader. Luigi Di Maio appunto, e i suoi fratelli più o meno pro tempore. Nel caso in specie: Alessandro Di Battista per il coté avventura&zazzera. Giancarlo Cancelleri per la declinazione Sicilia&responsabilità. Ormai è superata, in favore di un sincretismo molto prima Repubblica, anche quella specie di dualità che pure c’era l’anno scorso. Quando Di Maio faceva i suoi incontri e viaggi di accreditamento e Alessandro di Battista girava l’Italia per il no al referendum.
Piazza contro grisaglia, ha pagato di più la piazza: dunque ora Di Maio s’è fatto piazza. Con la maglietta a nido d’ape, come di Battista (diversa solo la marca: Fred Perry contro Lacoste) e con tutta l’allegra paccottiglia delle campagne elettorali open air.
Anche sul palco, comunque, i grillini sono garbati, abili, democristiani. Specie di rockstar del Parlamento che si presentano sul palco, in piazze più o meno affollate (dalla mezza vuota Alcamo al pieno di Marsala), in giro per sagre e orchestrine. A farsi vedere, stringere mani: come i politici di una volta. Sempre però circondati - ecco un’altra vistosa metamorfosi - non più da attivisti, ma da fan: cioè da persone che più che controllare l’attività degli eletti, proporre e risolvere problemi (era così in origine), fanno ormai volentieri la fila per il selfie o per l’autografo del tale personaggio tante volte visto in tv.
Anche voi potete diventare come noi, è non a caso uno dei messaggi al popolo: come a ridurre una distanza che però c’è, tra politico e non politico. Insomma sono lontani i tempi in cui, il grillino candidato governatore si presentava così: «Piacere, Cancelleri, geometra» (in una azienda di serbatoi di benzina). O entrava per la prima volta con gli M5S a Palazzo dei Normanni in corteo: davanti gli eletti, dietro i cittadini, a mo’ di Quarto stato di Pellizza da Volpedo». A luglio scorso, nel giorno della sua consacrazione di candidato M5S attraverso il voto della sacra Rete - i risultati erano scontati da un pezzo - Cancelleri è andato ad accogliere in aeroporto, a Palermo, Grillo e Davide Casaleggio con un completo giacca e cravatta scura che lo rendeva indistinguibile da un Di Maio qualsiasi. Ma non è solo questione di tagli sartoriali.
Dimenticato il tranchant delle origini, nel grillino che si fa governo, nell’M5 che si incarna in Di Maio, la distinzione diventa ragione di vita. Occasione di voto.
Si può chiarire ad esempio che esiste un abusivismo edilizio di necessità, da distinguere dall’abusivismo selvaggio (l’ha fatto soprattutto Cancelleri, per la traduzione pratica rivolgersi al comune di Bagheria). Così come nell’ultimo anno si è voluto distinguere tra lobbies buone e lobbies brutte e cattive (l’ha fatto di Maio, tra una mattinata con gli ambasciatori Ue, un viaggio a Londra, un pranzo all’Ispi col presidente del ramo italiano della Trilateral).
D’altra parte non si può dire sempre no. Dopo aver aperto la scatoletta di tonno, nell’olio di conserva bisogna poi navigarci. Anche mostrando una speciale abilità - già vista nella campagna elettorale per il comune di Roma - di procedere come in tondo con gli affondi e le critiche, riuscendo così nel capolavoro di attaccare l’azione, ma non chi la compie. Vale per l’abusivismo come per le amministrazioni che non funzionano.
La colpa è dei politici, non dei proprietari; degli amministratori e di chi li ha scelti, non dei dipendenti. Un pezzo del grillopardismo sta proprio qua: va bene propugnare il cambiamento, ma senza mettere nei guai chi ci deve votare. In questo senso, gli “abusivi di necessità” della Sicilia sono come i dipendenti dell’Atac a Roma: incolpevoli.
Ecco di tutto questo mood Cancelleri è perfetto interprete. Sopravvissuto con grande abilità al disastro per l’inchiesta sulle firme false a Palermo, di solidissimi e antichi rapporti con Di Maio, fedele fin sulla bordo della cecità, ma capace anche di condurre , da capogruppo a Palazzo dei Normanni, una memorabile trattativa travestita da non trattativa per le poltrone: «Noi non chiediamo nulla, solo perché sappiamo quello che ci spetta. Però certe logiche di spartizione a noi non interessano. Ma vogliamo ricoprire, con ruoli importanti, posizioni che ci consentano di portare avanti i nostri programmi politici», diceva (al Foglio). Solo, però, ma: ebbe così per i grillini una vicepresidenza di Assemblea. Ma senza chiederlo. Proprio come Di Maio.