Attualità
17 maggio, 2018

La mancanza d'acqua ha già scatenato 300 guerre nel mondo

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Sono 343 per l'esattezza i conflitti locali già ?in corso per le risorse idriche.  Oltre due miliardi di persone non hanno accesso a fonti pulite. E ora anche l’Occidente è a rischio

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Città contro campagna. O viceversa. Nelle elezioni degli ultimi anni nel mondo si è imposto un dualismo che sta sostituendo quello storico fra sinistra e destra. Città cosmopolite e aperte contro campagne chiuse e xenofobe. È accaduto negli Stati Uniti, dove Donald Trump ha trionfato nelle aree rurali e perso nelle metropoli delle coste Est e Ovest. In Francia dove Macron ha fatto più fatica nel Paese profondo che ha dato, in proporzione, più credito a Marine Le Pen. Nella Brexit decisa, soprattutto, lontano da Londra o dalla City. In misura minore persino in Italia dove una sinistra uscita a pezzi il 4 marzo ha trovato un misero sollievo nei risultati dei grandi centri. Così anche nell’Est Europa dove capitali e capoluoghi sono l’ultimo argine contro un estremo nazionalismo montante.

Se questo è il panorama, ora le Nazioni Unite offrono, con un loro rapporto, un elemento capace di esacerbare ulteriormente il conflitto. E stavolta non (o non solo) in Occidente, ma su scala globale. Tra città e campagna potrebbero esplodere tensioni attorno a un elemento cruciale per la sopravvivenza degli umani: l’acqua. Calcola dunque l’Onu che nel mondo ci siano 2,1 miliardi di persone che hanno sete (significa quattro abitanti del pianeta su dieci), abitano in maggioranza in aree poco popolate senza accesso diretto, o con scarso accesso, alle fonti. Mentre città sempre più idrovore succhiano il liquido necessario a soddisfare un numero crescente di cittadini. Il 54 per cento degli abitanti della Terra vive nelle zone urbane (il sorpasso sui campagnoli è dell’ultimo decennio) e le previsioni per la fine del secolo elevano la percentuale, a seconda di calcoli più o meno pessimistici, tra il 60 e il 92 per cento. Con intuibili conseguenze.

Se il futuro è nero, o meglio dire secco, già adesso la crisi dei rubinetti è tangibile. Dei 736 milioni che risiedono nelle 482 aree più antropizzate, 233 (il 27 per cento) hanno difficoltà a reperire acqua potabile. Non sorprende che la superpopolata India soffra in grandi centri come Chennai, Jodphur, Jaipur. O che analoghi problemi attraversino l’Asia dalla Cina al Pakistan, all’Afghanistan. O ancora che si trovino nella lista Dar es Salaam e Luanda in Africa, Lima e Porto Alegre in Sudamerica. Meno scontati i guai di Los Angeles dove il razionamento è consuetudine così come in altre zone della California.

L’Europa parrebbe indenne almeno sul suo suolo, pur se deve affrontare le conseguenze delle guerre per l’acqua che si stanno combattendo alle sue porte o più lontano ancora. A lanciare l’allarme, l’anno scorso, era stato il solito papa Francesco quando aveva richiamato alcuni dati spaventosi: ogni giorno mille bambini muoiono per malattie collegata al consumo di acqua non potabile. Ed era arrivato, il pontefice, ad affermare: «Mi chiedo se in questa terza guerra a pezzi siamo in cammino verso la terza mondiale per l’acqua». L’“oro blu” come causa scatenante dei conflitti nel Ventunesimo secolo, come l’oro nero, il petrolio, lo fu nel Ventesimo. Gli studiosi censiscono 343 conflitti in corso per il controllo delle fonti idriche. Non una caratteristica della contemporaneità se la prima guerra per l’acqua viene convenzionalmente riconosciuta come quella che si combatté nel 2500 avanti Cristo in Mesopotamia perché il re di Lagash costruì canali per deviare il fiume togliendo il liquido a Umma, nei pressi dell’attuale Baghdad.

Allora come oggi, il Medio Oriente come focolaio e scintilla. Il Tigri e l’Eufrate, lo abbiamo imparato fin dalle scuole medie, sono le arterie che irrorano quella terra disgraziata. Hanno origine, i due grandi fiumi, in Turchia, dove Erdogan ha previsto la costruzione di una serie di dighe per imbrigliare l’acqua a discapito dei Paesi che stanno a valle e lamentano il furto di risorse. Da sette anni si combatte in Siria e accanto alle cause più conosciute (scontro etnico, religioso, di potere) bisognerebbe elencare anche la siccità. Negli anni immediatamente precedenti alla rivolta contro Bashar al Assad la mancanza di piogge e la minor portata dei fiumi, decimò i raccolti, costrinse un milione e mezzo di persone a cercare invano fortuna nei centri abitati. La povertà conseguente fu una miccia della rivolta contro il regime poi egemonizzata dallo Stato islamico e dalle altre sigle più o meno jihadiste. Basta spostarsi di poco per trovare analogo scenario lungo il Giordano, condiviso da Israele, Giordania, Siria, Libano, Cisgiordania, ma sfruttato soprattutto da Israele: l’acqua non per caso è uno dei punti nodali in ogni trattativa di pace, tutte al momento fallite, tra lo Stato degli ebrei e i palestinesi.
In Africa è il Nilo il pomo della discordia visto che nutre i dieci Paesi che bagna. La decisione dell’Etiopia di costruire una grande diga per tenere per sé parte del liquido è osteggiata dall’Egitto che teme la riduzione della portata, mentre il Kenya lamenta che possa abbassarsi il livello del lago Turkana, vitale per il sostentamento delle molte etnie che abitano attorno alle sue rive.

In Asia, la famelica economia cinese vede nel fiume Mekong una fonte energetica da sfruttare attraverso sette impianti idroelettrici di grandi dimensioni. E il Laos ne sta seguendo l’esempio per trovare nell’acqua la risposta alla povertà del Paese. A discapito di vicini preoccupati per i danni che deriverebbero alla pesca e all’agricoltura. Sempre in Asia, nelle Repubbliche ex sovietiche uno dei temi che avvelenano i rapporti tra i vicini riguarda l’uso delle risorse idriche. Analoghi sono i problemi creati dall’Indo (scorre tra i nemici storici India e Pakistan) e, spostandosi di Continente, dal Colorado, tra Stati Uniti e Messico.

Gli ottimisti segnalano come, storicamente, i grandi contenziosi sull’uso di un elemento essenziale per la vita, si siano risolti per l’interesse comune a trattare. I pessimisti fanno notare che questo succedeva quando di acqua ce n’era comunque per tutti. Mentre oggi non è così. Oggi siamo sette miliardi, i cambiamenti climatici hanno fatto aumentare le zone di siccità. Se si ha sete, per un pozzo si può prendere il fucile.

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