Marco Damilano, Michela Murgia e Zerocalcare. L'incontro un martedì mattina, tra molti dubbi e poche certezze. Sul ruolo dell'intellettuale. La destra egemone. Le parole perdute. La militanza e l’esigenza di schierarsi. 

E' ora di fare l'autopsia del presente: «Salvini non è la malattia: è solo il marcatore»

Appelli da firmare (o no), intellettuali sulle navi delle Ong, manifestazioni, magliette rosse. Voglia di schierarsi. Nell’assenza e nell’afasia dell’opposizione politica, com’è successo in altre fasi della nostra storia recente tocca a loro: scrittori, registi, attori, musicisti. Con tutti i rischi del caso, e l’inevitabile processo alle intenzioni: ricerca di visibilità, vanità, narcisismo, marketing. Ne discutiamo appassionatamente un martedì mattina in un piccolo appartamento dalle parti del quartiere Rebibbia di Roma, alle pareti manifesti Antifa e No Tav, e poi il pupazzo di Dart Fener ricoperto di palline e lucette come un albero di Natale.

Siamo in tre, seduti su un piccolo divano, nel cuore di questa casa che è il rifugio anche creativo di Michele Rech, noto come Zerocalcare, il giovane maestro amato per la sua sensibilità e attenzione per ciò che è autentico. Accanto a lui, si estende, si allunga Michela Murgia, impegnata a presidiare ogni confine, ogni frontiera, in una tenace difesa della centralità anche politica del mestiere di scrivere. Parliamo di fascismo e antifascismo, di chi scrive e di chi disegna, del rapporto con il pubblico, la militanza, la politica, la sinistra o quel che ne resta. Abbarbicati su quel divano alle nostre poche certezze, cui non vogliamo rinunciare, e ai nostri tanti dubbi. Con il ruolo dell’intellettuale che è, prima di tutto, la ricerca di una ispirazione, da restituire a chi ascolta. Una conversazione che è anche un corpo a corpo emotivo: con le parole, con la realtà, con la necessità di non tradirla. E tra di noi.

Damilano Nel vostro lavoro per parole e per immagini c’è sempre di più la rivendicazione di un ruolo pedagogico, chiedo scusa se uso volutamente una parola che non mi piace per nulla, ma non saprei come altro dire. Michela, hai appena finito di scrivere per Einaudi un manuale in cui spieghi in dieci istruzioni come si diventa fascisti...

Murgia Ebbene sì, voglio che tutti diventino fascisti...

Damilano …e tu Michele hai pubblicato una storia sull’Espresso in cui lanciavi l’allarme: quello che sta avvenendo non è una partita a bocce. È stata pubblicata il 14 gennaio, tre settimane prima degli spari di Luca Traini a Macerata. Ce lo siamo dimenticati, ma è stato quello il momento di svolta della campagna elettorale 2018. Sì, non era una partita a bocce. Di recente su Facebook hai rivelato i tuoi dubbi, ma anche «una cosa che mi ha colpito più di tutto quello che gli intellettuali di questo Paese non hanno saputo dire», l’hai sentita in un’aula di tribunale: «Se facciamo un bilancio delle cose di questi anni, e ci guardiamo attorno oggi, di sicuro sentiamo il peso della responsabilità di ciò che abbiamo fatto. Ma pesa immensamente di più la responsabilità di ciò che non abbiamo fatto».
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Zerocalcare In queste settimane qualcuno ha cominciato a dire qualcosa sul neofascismo e sul clima che si vive in questo Paese, ma quella frase mi aveva colpito perché chi ne parlava negli anni scorsi veniva considerato pazzo o allarmista, non veniva preso sul serio. E poi è accaduto un secondo fenomeno: persone che non avevano mai preso posizione o non si erano mai schierate su nulla si sono all’improvviso messe a dare lezioni con una sicumera per me insopportabile su cosa si deve fare e come...

Damilano Frasi tipo: «Il ritorno del fascismo si combatte non con l’antifascismo con la cultura»...

Zerocalcare Ecco, cose così. Io ho sempre paura delle posizioni dogmatiche, le cose si misurano caso per caso. Va bene per esempio ripetere che il fascismo si combatte con la cultura, d’accordo, ma poi allora devi farla davvero la cultura, perché se lo dici per sterilizzare tutto poi significa non fare niente. Lo stesso vale per chi si è messo a dare lezioni a chi ha indossato la maglietta rossa sui migranti, dicendo che è stato un gesto inutile. L’argomento è sempre lo stesso: attenzione, date visibilità agli avversari, fate il loro gioco. Io ho molti dubbi, e lo dico senza voler dare a mia volta lezioni: trovo tutto questo insopportabile.

Damilano Cos’è che non abbiamo fatto, in questi anni? Non abbiamo capito, non abbiamo parlato con le persone, non abbiamo sentito un’onda che montava?

Murgia È come se avessimo pettinato per anni e ora i nodi sono arrivati, ma la direzione del pettine si vedeva già anni fa. Salvini è la fine di una corsa, che ha come destinazione il precipizio, ma comincia da lontano. Abbiamo perso gli anticorpi per riconoscere un percorso che era complesso ma lineare e dunque riconoscibile. Schierarmi contro Salvini mi viene spontaneo, ma non avrebbe senso se non mi chiedessi quanto di me e quanto di noi c’è in Salvini. È un fatto che lui raccolga un consenso anche in persone insospettabili, gente che non si era mai interessata di politica e di cultura, persone che sui social ripetono i suoi post e le sue parole d’ordine mille volte. E in tutto questo la sinistra... come definirla?

Damilano Già, come vogliamo definirla?

Murgia Mi riferisco a quella parte di Paese interessata a evitare una deriva fascista. Forse il problema è che si sono perse le distinzioni tra fascismo e democrazia, così come quella tra essere popolari e populisti. Sei popolare quando ti riconosci nel popolo, quando gli appartieni, sei populista quando costruisci un feticcio in cui il popolo possa riconoscersi. Quando perdi quella differenza, fai passare in quelli che dovresti rappresentare l’idea che il contenuto sia sbagliato, ma il metodo va bene, come se in politica il metodo e il contenuto non fossero la stessa cosa. Per me combattere con la cultura significa andare a cercare e riprenderci quello che abbiamo dimenticato. E si parte facendo l’autopsia del presente. Salvini non è la malattia, è un marcatore, ma il malato sei tu, siamo noi.

Damilano Lavorate con parole e disegni: è una forma di resistenza?

Murgia Le parole sono tutto in politica. Pensa a questo governo: non è stato votato ancora neppure un provvedimento, ma soltanto lavorando sulle parole in questo mese e mezzo è stata cambiata la percezione delle persone, è stata costruita una realtà fittizia. Verificare il potere delle parole degli altri, fare contro-narrazione, è il mio mestiere. Chi fa il pane impasta, chi lavora con le parole deve stare attento a come si usano. Le mie “istruzioni per diventare fascisti” operano un rovesciamento surreale, usando frasi che almeno una volta tutti ci siamo ritrovati a pensare. Chi non ha mai pensato a volte che il suffragio universale andrebbe abolito, che i politici sono tutti una casta, che servono le maniere forti, altro che fare le commissioni di studio? Il fascismo politico si nutre del fascismo che è in me e ne ottiene un consenso sottile, nascosto.

Zerocalcare Rispetto a Michela io sono molto meno ambizioso. A qualche ragazzo che mi legge posso lasciare qualcosa nell’immaginario, ma per me la politica è qualcosa che si fa in modo collettivo, non individuale. Non ho mai pensato di fare politica con il mio lavoro, quello che ho sempre cercato di fare è dare qualche strumento in più di comprensione anche rispetto al mio mondo che spesso viene interpretato con lenti sbagliate o addirittura criminalizzato. Provo a costruire uno spazio culturale accogliente.

Murgia Ma tu ti rendi conto di che forza abbia il tuo linguaggio e di quante persone raggiunga, con che qualità e potenziale popolare? È Gramsci puro!

Damilano Aggiungo il carico e uso un’altra parola pesante: hai la responsabilità di parlare a un pubblico di giovanissimi cui spesso non arriva nulla.

Zerocalcare Io con la responsabilità ho un rapporto particolare...

Damilano Lo so bene!

Zerocalcare Però davvero non riesco a decifrare quanto possa rimanere di quanto dico soprattutto tra chi non condivide un certo mondo e un certo linguaggio.

Murgia Quel mondo si è sfarinato. Se privi per troppo tempo una comunità di una narrazione, ci sarà qualcuno che ne darà un’altra. Senza appartenenza, senza una trama comune non si può stare. Si è creato un vuoto. E un lavoro come il tuo contribuisce a colmarlo.

Damilano Una delle chiavi del vostro lavoro, molto utile per chi fa il mio mestiere, è lo smantellamento degli stereotipi. Il circo mediatico, lo zoosafari che trasforma ogni battaglia, anche la più giusta, in una ripetizione banale, con la sua ansia di divorare e digerire tutto. Penso ad alcuni reportage sui migranti, la povertà, le periferie, che ripetuti mille volte senza grazia e senza partecipazione, in modo schematico, finiscono per produrre un rigetto. A volte raccontiamo un quartiere di sinistra che è diventato di destra, anche se magari era già scivolato a destra da tempo. A Roma, per esempio, le periferie hanno votato per Gianfranco Fini segretario del Msi nel 1993, un quarto di secolo fa. A volte il luogo comune esiste anche in senso fisico. E prendere un luogo comune e rovesciarlo è un lavoro di tipo intellettuale.

Zerocalcare Chi procede per stereotipi lo fa per pigrizia, superficialità e mancanza di consapevolezza delle cose, questa sì colpevole. Non sono per niente complottista, non penso che sia la volontà in chi fa televisione di portare acqua al mulino della destra quando invita un esponente di CasaPound, semplicemente c’è la strada più corta, quella che si fa meno domande. Ma questa mancanza di consapevolezza ha come effetto di continuare ad alimentare la narrazione degli altri.

Murgia Ignorare le parole è colpevole. Quando le si vuole ridurre a provocazione, si fa finta di non vedere che a forza di ripeterle qualcosa si è provocato nella società, nel corpo vivo. La strada giusta per uscirne è prendere le parole e farne la schermografia. Vent’anni fa andava capito che dietro la frase “La Lega ce l’ha duro” c’era già un mondo muscolare, pensato da maschi incapaci di distinguere tra la potenza sessuale e il potere politico. La narrazione di cui abbiamo urgenza è più complessa. Lo slogan è sintetico, ma la democrazia non ama la sintesi. L’unica rivoluzione possibile è evitare la banalizzazione, che focalizza solo il superfluo, e proteggere la semplificazione, che offre a tutti l’essenziale.

Damilano Cosa pensate di questa volontà di schierarsi, ad esempio le magliette rosse o l’appello dello scrittore Sandro Veronesi ai personaggi dello star system di salire sulle navi delle Ong? È il segnale di un mondo che decide finalmente di prendere posizione, o c’è la vanità di alcuni intellettuali, il loro narcisismo? È qualcosa di utile o anche qualcosa di un po’ scomposto che rischia di essere controproducente, come si è visto ad esempio nell’America di Trump, dove l’ostilità di attori, registi, scrittori e giornalisti non ha tolto consensi al presidente, anzi?

Murgia Uno scrittore come Sandro Veronesi non ha bisogno di pubblicità, credo che le sue motivazioni siano autentiche e giuste, non so quanto efficaci nella pratica. Salire sulla nave di una Ong nel Mediterraneo è un momento in cui lucidi la tua posizione di antagonista senza cambiare nulla. Credo che sarebbe un gesto più forte rivolgersi alle poche migliaia di minori che hanno ricevuto il diritto di asilo in Italia e che potrebbero essere ospitati da famiglie o dai singoli. Facciamo una contro-narrazione vera: prendiamoceli a casa nostra. Se lo facessero gli ultimi venti premi Strega, tapperebbero la bocca a tutti. Ci dicono con dileggio «prendeteli a casa vostra»? E noi potremmo rispondere che lo abbiamo fatto, mettendo il nostro privilegio a disposizione di chi è in difficoltà. Avremo raccontato l’integrazione con un nome e un volto che non siano i nostri. Su quelle navi invece l’unico volto che rimane impresso alla fine rischia di essere solo il tuo. Se non c’è altro va bene, ma è altro che dobbiamo cercare.

Zerocalcare Io sono meno sicuro. Anche a me, a pelle, alcune cose sembrano poco efficaci, ma non me la sento di dire che siano controproducenti. Chi firma appelli ha in mano strumenti di lavoro che potrebbe utilizzare in modo diverso. Chi fa lo scrittore dovrebbe scrivere, chi fa il disegnatore dovrebbe disegnare, chi fa il cantante dovrebbe cantare. È molto più importante partecipare al dibattito con il proprio lavoro, è anche più bello. Lanciare le stesse parole d’ordine, lo stesso link, lo stesso hashtag ti trasforma in un ripetitore di parole altrui. Non arricchisce, banalizza.

Murgia Non sono d’accordo. L’intellettuale è un esperto di metodo, non di merito. Per questo rivendico il diritto di inserirmi in ogni angolo in cui ci sia qualcosa che suona storto e va ripensato.

Zerocalcare Sì, ma lo devi fare con i tuoi strumenti. Preferisco dire qualcosa con quello che so fare piuttosto che portare risonanza a quello che è stato già detto da altri. Se sei un intellettuale devi fare uno sforzo intellettuale, non puoi accontentarti di ripetere quello che stanno dicendo tutti. Anzi, questo sforzo non riguarda neppure soltanto gli intellettuali.

Damilano Tu Michele quando ti esprimi politicamente sei molto radicale. Mi chiedo che rapporto riesci a costruire con un pubblico più ampio, trasversale, giovane, poco politicizzato, in un contesto che ha azzerato le differenze destra-sinistra.

Zerocalcare In sette anni che faccio il disegnatore ho cercato di uscire dall’idea che o fai politica nei centri sociali, e allora sei un alieno, oppure sei una persona normale, vedi le serie tv e ti mangi le merendine, e che questi due mondi non possano avere nessuna comunicazione. Ho provato a dimostrare che è possibile fare entrambe le cose e vivere nello stesso mondo. All’inizio non mettevo mai riferimenti politici nelle mie storie, da “Kobane calling” in poi e con i lavori per L’Espresso e Repubblica ho cominciato a seminare un po’ di consapevolezza nel mio pubblico. Per me è importante parlare con interlocutori diversi avendo la possibilità non dico di convincerli ma almeno di essere ascoltato. Mi vengono riconosciute una certa onestà intellettuale e la capacità di mettere in discussione anche le mie posizioni, di non considerarle l’unica soluzione possibile. Non ho la pretesa di prendere posizioni che non possono essere discusse. L’unica vicenda su cui non riesco a mediare è il G8 di Genova. Per me è un nervo scoperto. I miei lettori sanno benissimo come la penso, in ogni storia ho inserito un riferimento a quel momento, eppure se faccio un post su questo tema ci sono subito reazioni spropositate, chiamano Carlo Giuliani assassino. Ma su questo non ci sono mediazioni possibili.

Damilano Tu parli del G8 di Genova e subito ci sono commenti inqualificabili, Michela è stata attaccata perché aveva utilizzato sull’Espresso la parola Matria. In questa autopsia che stiamo facendo, che sintomo è la Rete in cui il dibattito diventa impossibile e i social si trasformano in stanze chiuse di odiatori di professione: per di più, in Italia, contro Ong, giornalisti, intellettuali e filogovernativi, ovvero dalla parte del nuovo potere.

Murgia Non mi sentirai mai dire che la Rete è un posto peggiore della realtà. È vero però che è un luogo disintermediato. Nella realtà ci sono tantissimi strumenti di filtro, trovarsi di fronte faccia a faccia è già un filtro. Se accetti la disintermediazione consegni a chi sta al vertice il potere di scegliersi gli interlocutori. A me non sta bene oggi Salvini come non mi stava bene ieri Renzi che al posto delle conferenze stampa mediate dai giornalisti andava su twitter con l’hashtag #chiediamatteo.

Damilano Il 10 luglio ho partecipato alla commemorazione del giudice Vittorio Occorsio, massacrato dai terroristi neofascisti 42 anni fa. Quando ho letto il volantino di rivendicazione lanciato sul suo cadavere, pubblicato dai giornali dell’epoca, mi sono venuti i brividi. Di Occorsio dicevano che era «un servo della dittatura democratica», invece era un servitore dello Stato. Quei concetti e quel linguaggio che ieri erano in clandestinità, oggi circolano indisturbati sulla Rete. Del presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è scritto sui social che doveva fare la fine del fratello Piersanti. Non voglio fare il processo a nessuno, c’è una differenza enorme tra ieri e oggi e tra le parole e le azioni. Ma quel linguaggio esprime qualcosa che non mi piace: l’avversario è un nemico da eliminare, oppure è un servo di qualche padrone.

Murgia Di me scrivono che sono al soldo del Pd, figuriamoci, con tutto quello che ho scritto contro di loro... non c’è difesa, devi solo considerare che la tua vita e il tuo lavoro saranno più forti.

Zerocalcare Per i miei odiatori io risulto pagato da anni da Soros e dai servizi segreti. Per la mia battaglia sui curdi hanno scritto che ero nella busta paga della Cia. Io sono un rosicone, lo ammetto, ma non mi spaventa l’anonimo, e neppure il militante neofascista: quello che mi preoccupa è che non ci si rende conto delle parole che si usano e del livello di barbarie che si è raggiunto. Mi preoccupa l’assuefazione alle parole e ai concetti che stanno dietro le parole.

Murgia Il luogo di legittimazione di quel linguaggio non è la Rete. Non è sui social che Cecile Kyenge è stata chiamata “orango”, ma in Parlamento, da esponenti di un partito politico che ora governa l’Italia. E quelle parole, che erano razzismo puro, sono passate senza sanzioni in cambio di due voti in più sulla legge di bilancio.

Damilano Arrivati alla fine di questa conversazione confesso di non avere ancora capito una cosa: ma voi, in definitiva, volete cambiare la realtà? Pensate di riuscire a farcela?

Murgia Il mio scopo è divertire, “divertere” nel senso etimologico del termine. Se tu hai una visione e io riesco a distrarla, a spostarla in un’altra direzione durante il tempo in cui mi stai leggendo, ho già provocato un cambiamento, perché da ora in poi guarderai le cose da almeno due punti di vista. Io ho già fatto la mia rivoluzione. Le persone hanno bisogno costante di ispirazione. E se tu hai il privilegio, la fortuna, la possibilità, la responsabilità di avere uno spazio di ispirazione e poi non lo usi, torniamo al punto di partenza: saremo ricordati per quello che non abbiamo fatto. In una parabola evangelica c’è il padrone che dà ai servi cinque, due, un talento e non dice cosa devono fare, consiglia soltanto di metterli a frutto. Quando torna chi li ha investiti li ritrova raddoppiati, chi invece l’ha seppellito per paura l’ha perso. Sotterrare è una cosa da morti, soltanto mettere a frutto il tuo talento ti rende indipendente, padrone di te stesso, libero. Se io ho uno spazio, anche uno solo, devo utilizzarlo, posso correre il rischio di perderlo ma lo devo mettere in gioco. La scrittura non è uno degli strumenti che ho per fare politica. Se mi chiedessero cosa faccio nel mondo risponderei: faccio politica.

Zerocalcare A me, ti dirò, quello che sotterra il soldo mi sta simpatico, mi viene voglia forse di identificarmi in lui... Chi organizza i mondi sociali fa politica. Io non ho questa ambizione. Ho l’obiettivo più modesto di non fare danno, di non contribuire alla banalizzazione e alla sterilizzazione del linguaggio, di non alimentare una cultura avversa. Non penso di cambiare la realtà con i miei fumetti, mi accontento di non peggiorarla.

Damilano E ti sembra poco!

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