Ogni settimana sull'Espresso, un termine commentato da una grande firma o una personalità. In occasione dei dieci anni dalla morte di Stefano Cucchi, il commento di sua sorella Ilaria e dell'avvocato Anselmo
Parola pesante. La si pretende dal prossimo ma spesso non si riesce ad offrirla quando ci viene chiesta. La si invoca, talvolta, a sproposito. La si infligge sempre e comunque ai più deboli. Vi si deroga, troppo spesso, in favore dei più forti.
Il 16 ottobre di dieci anni fa, iniziava a morire Stefano Cucchi.
Mercoledì scorso, 16 ottobre, abbiamo appreso dalla stampa che l’imputato principale del processo per i gravissimi depistaggi che ci hanno sottoposto a dieci anni di processi, il Generale Alessandro Casarsa, è stato promosso ed assegnato ad un nuovo prestigioso incarico: Capo di Stato Maggiore del Comando unità e specializzate “Palidoro” dell’Arma dei Carabinieri.
Ciò accade a pochi giorni dall’inizio del processo contro di lui fissato per il 12 novembre prossimo, avanti il Tribunale di Roma.
Un processo importante per la qualifica di tutti i suoi imputati.
Un processo importante perché tratta dei depistaggi che hanno deviato indagini e processi sull’uccisione di un ragazzo di 31 anni mentre si trovava affidato alle mani dello Stato.
Un processo importante perché, proprio per tutto questo, l’Arma dei Carabinieri, insieme ai Ministeri di Interno e Difesa, nonchè la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si è costituita parte civile a fianco a noi.
Si è costituita parte civile per chiedere la condanna del Generale Alessandro Casarsa.
Non vogliamo certo noi dare lezioni di coerenza ad alcuno. Tantomeno ad una Istituzione così importante e meritevole di assoluto rispetto come l’Arma dei Carabinieri.
Coerenza, nella sua etimologia, deriverebbe dal latino “cohaerentia-cohaere-stare unito insieme”.
Ecco noi non riusciamo a comprendere, in tutto ciò, il significato di questo “stare unito insieme”.