Studentessa di medicina, 23 anni e? partita per il Rojava. Dopo i primi bombardamenti e? tornata in Italia: «Anche da qui possiamo far molto e far sentire la nostra voce»

«Sarei potuta rimanere, anche in sicurezza, facendo quello per cui sono partita, ma non sono coraggiosa come Eddi e gli altri compagni. Vorrei essere li?, ma anche da qui posso fare il mio, tutti possiamo aiutare, manifestando». A parlare e? Cecilia Soldino, 23 anni, originaria della Sicilia e studentessa di medicina a Firenze, partita tre mesi fa per il Rojava e unica italiana presente al momento del conflitto. Ci racconta della sua permanenza nel Kurdistan siriano e dell’inizio dell’offensiva turca che l’ha costretta a tornare in Italia.

Cosa ti ha portato in Rojava?
«Sono partita per motivazioni politiche. Dopo la caduta di Afrin (per mano turca nell’operazione militare detta “Ramoscello d’ulivo” nel marzo 2018, ndr) mi sono avvicinata al movimento che sostiene la causa curda e ho iniziato a maturare l’idea di unirmi alla rivoluzione. La morte di Orso poi e? stata fondamentale. Sono pero? partita sfruttando le mie competenze di studentessa di medicina e paramedico».
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Di cosa ti sei occupata?
«Prima di raggiungere a luglio il Rojava, sono stata nel Bakur (il Kurdistan turco, ndr) per seguire come osservatore internazionale le amministrative per l’Hdp, il partito filo-curdo. Li? ho potuto vedere con i miei occhi le condizioni dei campi profughi turchi che ospitano migliaia di curdi. Mi sono convinta ancora di piu? a voler andare in Siria».

Come sei arrivata?
«Il mio e? stato quasi un caso. Qui in Italia sono entrata in contatto con l’associazione Heyva Sor a Kurd (Mezza Luna Rossa Curda), lavora in ambito medico localmente. Per mesi ho preparato la partenza e mi sono unita come volontaria. In queste settimane con loro ero l’unica internazionalista presente. Ho lavorato nel campo profughi di Al Hol sia come medico che come supporto nella parte logistica. Avevo come base la citta? di Qamishlo, ma viaggiavo di continuo nelle altre citta? siriane. Stavamo per comprare un macchinario per l’unita? neonatale quando ci e? arrivata la notizia dei bombardamenti turchi».
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Cosa e? successo?
«Hanno preso di mira la citta? di Serakanyie, dove proprio a fine luglio avevamo inaugurato la clinica, rimessa a nuovo dopo anni (la clinica e molte zone della citta? sono state bombardate, le Sdf e le Ypg si stanno ritirando, ndr). La mia associazione ha gia? avviato una raccolta fondi per aiutare. Il giorno dopo mi sono mossa verso il Kurdistan iracheno, non avevo di idea di come sarebbe andata a finire e se fossi riuscita a rientrare dopo».

In quei giorni qualcuno poteva immaginare un attacco turco?
«Nessuno, tutto proseguiva nella normalita?. Anche se e? risaputo che Erdogan mira da sempre a questi territori. Nelle settimane come associazione abbiamo lavorato sul supporto psicologico ai bambini che hanno subito problematicita? dovute alla guerra, e anche con le donne, basandoci su un cambiamento progressivo del modello di paradigma».

La liberta? delle donne, uno dei capisaldi della rivoluzione in Rojava.
«Si?. Non c’e? l’esigenza di imporre niente, nessuna costrizione ma una tendenza. Anche in Italia le donne hanno avuto la loro rivoluzione negli anni ‘70, ma dalla finestra di casa sua in Sicilia mia madre ti dira? che non ha visto niente. Cambiamenti del genere richiedono tempo e piccoli passi, anche noi ci siamo dovuti svincolare da un’ideologia cattolica forte e li? lo e? con l’islamismo».

Come e? stata presa la decisione degli Usa di ritirarsi?
«Le Sdf, Forze Democratiche Siriane, non hanno mai dato neanche per un minuto piena fiducia agli Stati Uniti, anche se nei mesi hanno combattuto l’Isis. Lo stesso si puo? dire nei confronti del presidente siriano Assad, che ora li sta appoggiando. Si tengono tutte le strade aperte. Non lo vedono come un tradimento anche se sperano sempre in noi, nell’Unione Europea, non tanto per intervenire, ma come voce importante, che riconosca i crimini di guerra e applichi sanzioni alla Turchia. Ma, come dicono loro, gli unici alleati sono le montagne».

Escludendo la politica, per la popolazione?
«La scelta degli Usa ha avuto un grosso impatto sulla gente, da subito ho visto persone scendere in strada urlare al tradimento. La convivenza con i soldati statunitensi e? stata buona e ormai si era instaurata fiducia, si sono sentiti traditi e per loro sara? difficile un domani ricreare un momento del genere».