Siamo all’ultimo atto della vicenda giudiziaria che l’Espresso ha seguito dall’inizio. Il Tribunale di Torino deve decidere sulle sorti di Eddi Marcucci, Jacopo Bindi e Paolo Andolina. Se si concludesse a sfavore dei tre ragazzi sarebbe un precedente pericoloso

La lunga vicenda giudiziaria che L’Espresso ha seguito fin dall’inizio, sta per volgere al termine. Lunedì 16 dicembre al tribunale di Torino si celebrera l’ultimo atto. I giudici avranno 90 giorni per notificare le loro decisioni. Se sarà confermata la loro “pericolosità”, come richiesto dalla Pm, Maria Edgarda Marcucci (Eddi), Jacopo Bindi e Paolo Andolina (Pachino) rischiano la “sorveglianza speciale”, che prevede l’espulsione da Torino per due anni (pena prorogabile), il sequestro di patente e passaporto, l’obbligo di firma e di dimora, oltre al divieto di svolgere attività sociali e politiche. 
 
A lanciare l’allarme su Facebook è stato Davide Grasso, uno dei cinque torinesi finiti sotto processo per essere andati in Siria a combattere l’Isis al fianco dei curdi. «Non vi nascondo la mia preoccupazione per come si sta evolvendo la vicenda giudiziaria nei loro confronti» scrive Grasso. Raggiunto al telefono, precisa: «L’ultima udienza, il 9 dicembre, i giudici hanno vietato alla difesa di produrre la maggior parte dei testimoni a loro favore e interdetto l’accesso in aula a una video-maker, Stefania Pusateri, che sta realizzando un documentario proprio sul fondamento incerto di questa norma di polizia risalente al Codice Rocco».
 
LA LUNGA VICENZA GIUDIZIARIA
Durante la prima arringa nel corso della quale la Pm Emanuela Pedrotta non aveva esitato a definire le unità di protezione popolare delle Ypg e Jpg, “terroristi”, perché considerate assimilabili al Pkk. Lo stesso schema usato oggi da Erdogan per giustificare la mattanza curda. 

È probabile che una tale affermazione abbia imbarazzato la stessa corte del tribunale - sezione misure di prevenzione - presieduta dal dottor Giorgio Gianetti. Fatto sta che dopo la morte di Lorenzo Orsetti vista l’ondata di commozione, il sostegno popolare e il rilievo mediatico assunto dalla vicenda, anche la corte ha mutato atteggiamento. Troppo impopolare sarebbe risultato a quel punto dichiarare “socialmente pericoloso” chi come “Orso” è andato a combattere Daesh a rischio della propria vita. Così a giugno i giudici hanno escluso dalla vicenda Davide e Jak. Nel decreto si sostiene che aver combattuto in Siria non li rende pericolosi. Nei confronti di Eddi, Jacopo e Paolo, invece, si sono presi tempo (tre mesi) per verificare se i ragazzi stessero usando o meno, qui in Italia, “le competenze militari acquisite in Siria”. Da questo punto in poi, la vicenda, già di per sé paradossale, inizia ad assumere risvolti kafkiani.
 
Tanto per cominciare Jacopo, come risulta dagli atti, in Siria aveva prestato esclusivamente servizio civile. Ergo precisa «non avendo ricevuto alcun addestramento militare, trovo il provvedimento sinceramente privo di logica». In effetti la situazione pare sfuggita al controllo. 
 
LE “PROVE”
Giovani in guerra
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14/3/2019
Già, quali sarebbero le prove a carico dei tre combattenti che dimostrerebbero la loro pericolosità sociale? Per assurdo, le pene e le misure di sicurezza previste dal codice Rocco in questa ambigua fattispecie processuale non necessitano di prove e tantomeno di accertare se i fatti riportati abbiano o meno una qualche rilevanza penale. Non a caso la richiesta della Pm, il 9 dicembre, è stata che venissero presi in considerazione esclusivamente le segnalazioni fatte dalla Digos, la polizia politica. Richiesta puntualmente accettata dalla corte che ha negato alla difesa (l’avvocato Claudio Novaro) di contro interrogare i poliziotti che hanno messo insieme il dossier.

Quali sono le prove addotte? Aver partecipato a un presidio di fronte a un ristorante torinese in difesa dei lavoratori (extracomunitari) che non venivano pagati da mesi. Aver partecipato a una manifestazione del primo maggio (nonostante Eddi in quei giorni risultasse all’estero), aver sparato qualche fuoco d’artificio a Capodanno in segno di solidarietà con i detenuti, accusa di cui Paolo è stato assolto proprio ieri. E via di questo passo. Il fatto è che nonostante il concetto stesso di “pericolosità sociale”, così come configurato dal Codice Rocco, abbia subito diverse modifiche dai tempi del fascismo, “il peccato originale” non si cancella. Infatti costituisce tuttora un arma nella mani dello Stato per legittimare la repressione di qualsiasi forma di dissenso. 

L’impressione che si ricava da questa vicenda - aggiunge Stefani Pusateri, l’autrice del documentario “Soggetti pericolosi” in corso di lavorazione: «È che si voglia colpire Eddi, Jacopo e Paolo non per i reati commessi, che non sussistono, quanto per il loro passato di attivisti No Tav, per le loro idee politiche e per l’attività di contro informazione che hanno svolto e continuano a svolgere sulla Confederazione democratica del Rojava in decine di incontri pubblici, dibatti e manifestazioni». Se questo provvedimento nei loro confronti dovesse passare, costituirebbe un pericoloso precedente che consentirebbe di limitare la libertà di dissenso e di partecipazione politica per noi tutti.