Scuola, lavoro, ambiente: il nuovo attivismo è Scomodo. E parte da un giornale di carta
Sono ventenni, ma per le loro battaglie hanno scelto l’informazione tradizionale contro le trappole dei social e delle news a consumo rapido. Dallo scantinato di un palazzo romano occupato un gruppo di studenti dialoga con le piazze di Greta e delle sardine. E con i “padri” protagonisti del movimento della Pantera del 1989-1990 (Foto di Giuseppe Nucci per L’Espresso)
di Emanuele Coen, foto di Giuseppe Nucci per L’Espresso
5 dicembre 2019
Spin-Time-LABS-L-Espresso-14-jpg«Vorremmo raccontare la Pantera a trent’anni di distanza, l’ultimo movimento studentesco con una struttura forte. Qualcosa che io e i miei coetanei non abbiamo conosciuto». Edoardo Bucci, un ragazzone di 20 anni brillante e affabile, occhiali, capelli ricci e barba folta, è cofondatore e responsabile editoriale di Scomodo, il mensile di attualità - di carta - inventato da un gruppo di liceali e universitari romani, autofinanziato e indipendente, diventato in tre anni un punto di riferimento per molti studenti, con una tiratura di 7.500 copie a numero distribuite gratis in un’ottantina di punti “scomodi” nella capitale e in altre città. Una galassia in fibrillazione, adesso che le piazze tornano a riempirsi - le sardine, gli ambientalisti di Fridays for future - e il movimento si rafforza.
Di fronte al giovane responsabile editoriale, su uno dei divani regalati alla redazione dai lettori è seduto Danilo Mollicone, 51 anni, ai tempi militante della Pantera e studente in Scienze forestali all’università della Tuscia, che sintetizza il senso di questo incontro: discutere sui contenuti del numero di febbraio, dedicato al movimento studentesco nato dall’occupazione dell’università di Palermo, il 5 dicembre 1989, contro la riforma firmata dal ministro Antonio Ruberti, che faceva entrare i privati negli atenei, introducendone l’autonomia. Nel giro di poche settimane le occupazioni si allargarono a macchia d’olio a decine di facoltà da Sud a Nord. «L’idea è trasmettere la nostra esperienza ai più giovani, senza pretendere di insegnare loro chissà quale verità», dice Mollicone affiancato da Massimiliano Cafaro e Roberta Piroddi, all’epoca studenti di Architettura a Roma, una delle facoltà più attive.
Spin-Time-LABS-L-Espresso-51-jpg Frammenti di un discorso tra generazioni, nel grande seminterrato in un palazzo occupato in via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, che i giovani giornalisti hanno trasformato in redazione. Partito da un’idea concepita fra cinque amici al bar, nel giro di tre anni Scomodo è cresciuto e ha allargato la platea dei lettori. Oggi alla sua realizzazione partecipano oltre 400 ragazze e ragazzi, liceali e universitari. Con un paradosso: il mensile - creato da una generazione di ragazzi iperconnessi, abituati a informarsi attraverso gli smartphone, a metabolizzare notizie e fake news - ha scelto di puntare sulla carta. «Le notizie sono moltiplicate, distorte, alterate al punto da poter essere usate a supporto di ogni scuola di pensiero, il rapporto con la notizia è ridotto a una dimensione effimera e nozionistica. Scomodo vuole arginare questa tendenza», aggiunge Bucci.
E pensare che trent’anni fa gli studenti di Lettere, alla Sapienza, occuparono la facoltà e si impossessarono del fax dell’istituto per comunicare con il mondo. La “retefax”, simbolo dell’innovazione tecnologica e dell’emancipazione dai canali di comunicazione tradizionali, diventò il segno di riconoscimento per gli studenti del movimento, che con la rete Okkupanet diede vita al primo social network politico. Per uno strano corto circuito, trent’anni dopo i ragazzi di Scomodo prendono le distanze dalla tecnologia.
Dal punto di vista logistico, la redazione è una costola di Spin Time Labs, «un cantiere di rigenerazione urbana» per usare la definizione degli occupanti: oltre al mensile, l’edificio di sette piani (quasi 17mila metri quadrati) un tempo sede dell’Inpdap, l’istituto di previdenza per i dipendenti pubblici, oggi ospita 180 famiglie di 26 nazionalità di cui un centinaio di minori e un discreto numero di italiani, laboratori di grafica e restauro di icone sacre, assemblee di studenti, un auditorium per concerti e spettacoli teatrali, una biblioteca, un’osteria, una falegnameria. E organizza attività per gli abitanti del quartiere e gli alunni della vicina scuola Di Donato. Un esperimento sociale, una convivenza non facile in una metropoli in cui gli spazi sociali e abitativi scarseggiano, per usare un eufemismo.
«Per i primi tre anni non abbiamo avuto un luogo fisico, ci riunivamo nelle aule della Sapienza, in bar e cantine, nei parchi», dice Tommaso Salaroli, 20 anni, nickname “il biondino”, cofondatore di Scomodo e già compagno di scuola di Edoardo, veterano delle occupazioni a cominciare da quella del Cinema America. È lui la mente e il braccio operativo del giornale per i temi legati alla sede. «Non vogliamo fare una redazione qualsiasi, ma uno spazio aperto a tutti dove all’ingresso, invece della tessera associativa, chiunque possa trovare la chiave per entrare. Uno spazio che in città non esiste, un nuovo modello che coinvolga anche investitori privati», aggiunge Salaroli, che all’ultima edizione della conferenza Tedx Milano ha illustrato questo progetto ambizioso e in apparenza utopico, attorno al quale i ragazzi di Scomodo hanno realizzato una piattaforma di crowdfunding su spazioscomodo.org: all’appello rivolto agli architetti ha risposto anche lo studio Alvisi-Kirimoto, che collabora con Renzo Piano e ora coordina i lavori di ristrutturazione.
Partecipa anche Tommaso alla riunione con i “fratelli maggiori” della Pantera, o meglio i padri vista la differenza di età. Che in occasione del trentennale hanno organizzato a Roma (17-18 gennaio) una due giorni con forum, convegni e mostre (il programma su lapantera.org) per rievocare quei giorni e discutere sull’attualità delle istanze di allora. Il tam tam è già partito tra gli iscritti al gruppo Facebook, per ora circa 400 persone sparse in diverse città, mentre si costruisce il fondo di film e foto da depositare nell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), a Roma. «Rispetto ad altri movimenti la Pantera è stata quasi dimenticata. Eppure da quell’esperienza sono nati i centri sociali, un’eredità che pone le basi per un dialogo tra noi e chi ci ha preceduto», sintetizza Bucci.
Lo speciale è solo uno dei progetti di Scomodo, che non è solo un giornale perché la redazione dialoga direttamente con il movimento studentesco e partecipa alle manifestazioni per aumentare la diffusione, si incontra con i seguaci di Greta Thunberg e il movimento ambientalista Fridays for Future, collabora con il settimanale Internazionale, organizza le Notti Scomode, campagne di crowdfunding e altri eventi per autofinanziarsi.
«Siamo molto contenti di vedere le piazze piene in tutta Italia grazie al movimento delle sardine, in questa fase però facciamo opposizione con la nostra proposta di giornale», sottolinea Bucci: «La stragrande maggioranza di noi vede nel giornalismo un modo per fare politica. Scomodo deriva dai movimenti studenteschi della sinistra romana ma abbiamo deciso di uscire dalle categorie tradizionali. Non perché crediamo che non esistano più destra e sinistra, in chiave grillina insomma, ma abbiamo ampliato valori e temi sociali della sinistra, senza legami o finanziamenti da alcun partito».
Negli spazi di Spin Time Labs, dove Sabina Guzzanti ha girato il suo nuovo docufilm per ripercorrere la storia del palazzo occupato sei anni fa, il 7 dicembre si terrà il Msw 2019, il festival internazionale ideato da Greenpeace e organizzato in collaborazione con Spintime Labs e Scomodo, dedicato al Lifestyle 1.5, la cifra che indica l’aumento massimo della temperatura media globale rispetto all’epoca preindustriale, stabilito dagli accordi di Parigi per limitare i cambiamenti climatici. «Il nostro Make Something Week vuole essere un laboratorio sperimentale per modelli di vita alternativi, attraverso laboratori pratici e incontri formativi», aggiunge il responsabile editoriale di Scomodo, che insieme agli altri sta rafforzando la sinergia con Greenpeace: in cantiere ci sono quattro numeri speciali da 20mila copie ciascuno (infrastrutture, cibo, energia, consumi), il primo dei quali è stato distribuito a Roma, Napoli, Firenze, Bologna, Milano, Torino e in altre città in occasione del Global climate strike del 29 novembre.
Ambiente, beni comuni, diritto allo studio, femminismo, destra e sinistra. I problemi della capitale ma anche le contestazioni a Hong Kong, i terroristi dell’Isis, l’intelligenza artificiale, la musica trap, il futuro del cinema nell’era Netflix, lo strapotere delle grandi aziende tecnologiche. Su Scomodo trovano spazio questioni locali e globali, una cinquantina tra ragazze e ragazzi ne ha discusso all’ultima riunione plenaria al museo Macro Asilo, a fine novembre. Sulle pareti della sala campeggiavano le opere dei dieci giovani artisti selezionati dalla redazione, per l’iniziativa “Rigenerazione Scomodo”.
Pietro Forti, 22 anni, studia Storia all’università Roma Tre ed è responsabile delle inchieste del mensile: la sicurezza nelle scuole, le diseguaglianze nel mondo delle università, la mappa dei maggiori inquinatori in Italia, la rubrica “mostri” sui luoghi in disuso. «Roma è la capitale europea degli spazi abbandonati, le opere incompiute fanno parte di un tessuto urbano completamente da ripensare. Ma per criticare occorre conoscere i fatti. Noi di Scomodo non vogliamo essere la voce di una generazione, ma un movimento competente», sottolinea Forti.
Nel giornale lavorano diverse ragazze, soprattutto in redazione: solo una minoranza, però, ha ruoli di responsabilità. «Sì, è vero. Dobbiamo lavorare per riequilibrare la situazione, coinvolgendo le nuove arrivate», ammette Annachiara Mottola, 20 anni, iscritta a Scienze Politiche alla Sapienza, tra i fondatori. Con una scrittura brillante Annachiara ha realizzato un’inchiesta sul “brand activism”, le aziende che utilizzano l’impegno politico e sociale in maniera furba, come strategia di marketing. Un articolo che starebbe bene anche in un settimanale generalista, che loro definirebbero mainstream. «Il giornalismo tradizionale ha perso colpi dal punto di vista della credibilità e della qualità, ma l’informazione resta uno dei cardini della società. Siamo circondati da social e notizie veloci, noi invece abbiamo bisogno di soffermarci sui fatti. Il buon giornalismo è necessario proprio per la nostra generazione», sottolinea la redattrice. Essere scomodi è già un buon punto di partenza.