Eluana Englaro: dieci anni dopo l'Italia vuole una legge, la politica scappa
Nel febbraio 2009 il caso scuoteva il Paese. Oggi la maggior parte degli italiani è aperta verso norme che regolino eutanasia e suicidio assistito. Il Parlamento deve fare una legge entro otto mesi, ma la maggioranza gialloverde è in imbarazzo. In edicola su L'Espresso da domenica 3 febbraio l'inchiesta su un diritto ancora violato
Da quando due anni fa ha accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera, Marco Cappato ha ricevuto in media ogni giorno una richiesta di aiuto e informazioni per ottenere il suicidio assistito. Molti poi cambiano idea e si fermano, ma due italiani al mese alla fine si recano nelle cliniche elvetiche a ottenere la buona morte, ancora vietata in Italia.
Entro otto mesi però il Parlamento ha l'obbligo di fare una legge che sostituisca quella attuale, così come ha deciso la Corte Costituzionale a cui la magistratura ordinaria ha mandato gli atti del processo a Cappato per la vicenda di dj Fabo.
A dieci anni dalla morte di Eluana Englaro - che si spense a Udine il 9 febbraio 2009 grazie alla sospensione delle cure ottenuta dal padre Beppino - L'Espresso in edicola da domenica 3 febbraio e online su E+ ha dedicato un documentato approfondimento alla situazione del fine vita in Italia: eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico.
La sensibilità nel Paese, dal caso di Eluana a oggi, è profondamente cambiata: nel 2009 solo un cittadino su tre si diceva favorevole a una regolamentazione di suicidio assistito ed eutanasia, oggi sono a favore tre italiani su quattro, rivela lo storico delle ricerche Swg.
Secondo Marco Cappato, dell'Associazione Coscioni, «nemmeno Salvini oggi si schiera apertamente contro: sulla questione sta zitto perché sa che oggi si andrebbe a scontrare con la maggioranza dell'opinione pubblica». Per questo, dice Cappato, «è sicuro che prima o poi anche la politica dovrà arrendersi alla società, ai cittadini. La questione non è se, è solo quando».
A questo proposito, Cappato fa presente che una maggioranza alle Camere in teoria c'è - quella tra Pd, Leu, M5s ma anche settori di Forza Italia - e che solo questioni di alleanze che non hanno fare con i diritti civili (cioè il governo gialloverde) frena la nascita di una buona legge
La mutata sensibilità, rivela l'inchiesta dell'Espresso, ha anche effetti sulle vicende giudiziarie: prima il medico era qualcuno da processare se rispettava la volontà del malato, adesso è qualcuno che finisce sotto processo se non la rispetta. E a rischiare non sono solo i medici, ma anche i politici: proprio sulla vicenda Englaro l'8 aprile 2016 una sentenza del Tar ha condannato la Regione Lombardia a pagare un risarcimento danni di circa 143 mila euro per la decisione presa nel 2008 dall'allora presidente Roberto Formigoni, di vietare la sospensione delle terapie alla giovane di Lecco in stato vegetativo da 17 anni.
Di questi giorni è anche un altro anniversario: all'inizio di febbraio del 2018 entrava in vigore la legge sul biotestamento.
Ma il dossier dell'Espresso mostra come questa sia stata di fatto boicottata e svuotata dalla politica: l'assenza di disposizioni ministeriali per la creazione di una banca dati unica rende quasi impossibile ai medici e agli ospedali sapere se e quali Disposizioni anticipate di trattamento sono state indicate dal paziente.
Inoltre ogni Comune ha pratiche e modalità diverse per accettare le Dat e la maggior parte di questi non ha nemmeno sul suo sito l'apposito modulo da scaricare e compilare.
Per questo l'Associazione Coscioni ha pubblicato il modulo sul suo sito, dove è già stato scaricato 30 mila volte, e ha intimato alla ministra della Salute Giulia Grillo di «porre fine alla violazione dei termini per l'attuazione della legge sul biotestamento»
L'inchiesta integrale su L'Espresso in edicola da domenica 3 febbraio e già online su Espresso +
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