Oggi, anoressia, bulimia e binge eating continuano a essere la seconda causa di morte tra i giovanissimi, subito dopo gli incidenti stradali. E non riguardano solo le donne: almeno il 10 per cento sono uomini. Ma l’attenzione effettiva delle istituzioni non sembra ancora così alta
Nel 2018 sono morte 3.370 persone a causa dell’anoressia e della bulimia, più degli altri anni, solo in Italia. Lo dicono i dati Sdo (Scheda di Dimissione Ospedaliera), che in questo calcolo non tengono conto del disturbo da alimentazione incontrollata. Secondo l’Osservatorio epidemiologico del Ministero della Salute, le persone che soffrono dei disturbi del comportamento alimentare sono più di 3 milioni.
«Sta morendo chi si è ammalato alla fine degli anni Novanta, quando c’è stata una vera esplosione», dice Laura Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero per i dca, direttore della Rete Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Usl Umbria 1 e di Palazzo Francisci a Todi. «In quel periodo non c’erano tecniche specializzate nel nostro Paese, e questo dimostra ancora una volta che, non essere curati affatto, bene o in tempi decisamente vicini all’esordio del disturbo, restituisce un’aspettativa di vita che non supera i 40-45 anni d’età».
Oggi, anoressia, bulimia e binge eating continuano a essere la seconda causa di morte tra i giovanissimi, subito dopo gli incidenti stradali. E non riguardano solo le donne: almeno il 10 per cento sono uomini.
Un altro cambiamento, tutt’altro che positivo, è l’abbassamento dell’età d’esordio, scesa fino agli 8-10 anni. E, se non intercettato in tempo, più si anticipa l’esordio, più gravi possono essere i problemi clinici e psicologici.
«I dca interpretano meglio di altre patologie il disagio contemporaneo, perché sono collegati al corpo, al peso e al cibo, vere e proprie ossessioni della nostra società», continua Dalla Ragione, la cui ultima pubblicazione è «Le mani in pasta» (edizioni Il pensiero scientifico), scritta insieme a Paola Antonelli e destinata soprattutto agli addetti ai lavori. «Oramai i giovanissimi sono esposti a una grande pressione, a messaggi e informazioni, esattamente come gli adolescenti. E tra i più piccoli stanno crescendo anche i disturbi selettivi: c’è chi mangia solo cibi di colore bianco, chi esclusivamente tre alimenti, chi non compone gli elementi tra loro, chi li vuole solo frullati… Somiglia a un disturbo ossessivo e dipende anche dal fatto che la selezione del cibo è un’altra caratteristica di questi anni».
Intanto, il 15 marzo arriva la prima Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla riconosciuta dal Ministero della Salute, ma l’ottava in assoluto. L’ha voluta Stefano Tavilla, presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita, proprio nel giorno in cui è mancata sua figlia Giulia. Eppure, l’attenzione effettiva delle istituzioni non sembra ancora così alta. È appena entrato in vigore il divieto di usare immagini pubblicitarie del corpo associabili ai disturbi del comportamento alimentare (art.12 bis del Codice di Autodisciplina delle Comunicazione Commerciale), un passo necessario, ma il primo disegno di legge per punire siti Pro-Ana (anoressia) e Pro-Mia (bulimia) è del 2008, firmato da Beatrice Lorenzin. Niente da fare. Poi altre proposte, fino ai due disegni di legge di Maria Rizzotti (Forza Italia) e Caterina Bini (Pd), a testimoniare un interesse bipartisan che però non è riuscito a cacciare via le nebbie.
«È tutto fermo», conclude Dalla Ragione. «Le nostre pazienti, anche di dieci anni, hanno frequentato questi siti. Non possono essere considerati la causa del disturbo, ma lo rinforzano e suggeriscono modi pericolosi di perdere peso. I testi di quella che forse, un giorno, sarà una legge, guardano anche alle pubblicità fraudolente dei prodotti dimagranti, perché sono da banco e facilmente accessibili senza ricetta medica. Speriamo che qualcosa si sblocchi presto. Ma ci sarebbe da ragionare anche su molte altre cose che riguardano il corpo e i disturbi del comportamento alimentare, inclusi sport e discipline. La danza, per esempio, ha per definizione una grande attenzione al peso, è un’enfatizzazione enorme delle forme corporee. E quando si parla di peso, di immagine e quindi di cibo, in ambienti che richiedono necessariamente certi parametri fisici e dove le pressioni psicologiche possono essere enormi, bisogna fare sempre molta attenzione alla salute. Non è solo una questione di dieta, perché nei dca il cibo diventa uno strumento della mente». Cosa manca in questo caso? «Consideriamo che le scuole di danza non rientrano nel CONI. Ci sono quelle più serie, certo, ma la mancanza di certi controlli è un grande problema che andrebbe affrontato con attenzione, anche per cogliere immediatamente i segnali d’esordio e porvi rimedio. Quando la ballerina Mariafrancesca Garritano ha scritto il libro “La verità, vi prego, sulla danza” (con il nome di Mary Garret, nda), ha detto molte cose vere, tant’è che il 60 per cento delle ballerine professioniste soffre di amenorrea, e la coincidenza vuole che tutte le nostre pazienti abbiano frequentato la danza. E, se ci sono percorsi in Parlamento ancora incompiuti sui siti Pro-Ana e Pro-Mia, e su certe pubblicità, per altri argomenti, come la danza, non sono ancora ancora nemmeno iniziati».