
Il medico dei grandi misteri è Cristina Cattaneo, 55 anni, che dirige il Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) della Statale di Milano, un lungo curriculum vitae con esperienze prestigiose e studi anche all’estero. Tra i vari incarichi, è anche consulente medico legale per il Commissario straordinario per le persone scomparse, che fa capo al Ministero dell’Interno, per la costituzione della banca dati nazionale delle persone sparite nel nulla e dei cadaveri senza identità.
Per queste sue esperienze la dottoressa viene chiamata da varie procure italiane a tentare di svelare i misteri giudiziari, scoprire le cause dei decessi e quindi contribuire a trovare prove d’accusa o escludere responsabilità degli imputati. Un compito arduo, complicato, perché molto spesso le consulenze dell’accusa non combaciano con quelle dei periti delle difese, con inevitabili scontri in aula a base di perizie e controperizie contrastanti. Il suo curriculum impeccabile ne fa quindi una persona stimata ed apprezzata da molti, ma non da Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il ragazzo morto all’ospedale Pertini di Roma, il 21 ottobre 2009, a pochi giorni dal suo arresto.
Stefano Cucchi fu vittima, secondo le ultime inchieste, di un violento pestaggio all’interno di una caserma dei carabinieri subito dopo il suo arresto. Un caso giudiziario che ha portato la sorella Ilaria e il suo avvocato, Fabio Anselmo, a chiedere la ricusazione proprio di Cristina Cattaneo, «il medico legale che firmò la prima perizia d’ufficio sul corpo di Stefano, quella in cui non c’era alcuna traccia delle vertebre fratturate di recente». Il motivo lo spiega la stessa parte civile: «Il collegio peritale di cui faceva parte la dottoressa Cristina Cattaneo, insieme ai professori Mario Grandi, Gaetano Iapichino, Giancarlo Marenzi, Erik Sganzerla, Luigi Barana, incaricati dalla terza corte di assise di Roma, aveva un mandato preciso». Cioè? «Cioè che la morte di mio fratello Stefano non doveva essere riconducibile al pestaggio subito dentro la caserma dei carabinieri subito dopo il suo arresto, ma ad altre cause», dichiara Ilaria Cucchi all’Espresso. Quei periti milanesi, come spiega sempre la sorella della vittima, firmarono un responso poi smentito da altre perizie e dai fatti successivi: la scoperta dei depistaggi, i silenzi di una parte dell’Arma, le confessioni di alcuni carabinieri testimoni del pestaggio cui fu sottoposto Stefano Cucchi. La dottoressa Cattaneo e gli altri suoi colleghi scrissero invece che «i medici del Pertini non si sono mai resi conto di essere di fronte a un caso di malnutrizione importante, hanno prestato scarsa attenzione anche all’esame obiettivo del paziente e, non trattandolo in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso». Tecnicamente, i periti guidati da Cristina Cattaneo imputarono la morte del ragazzo a una «sindrome da inanizione», ovvero a mancanza di cibo e di acqua. Insomma Stefano Cucchi sarebbe “morto di fame” e non per il pestaggio subito, con conseguenti fratture di ossa e altre ferite. Una perizia incredibile, secondo i familiari di Stefano e il loro difensore, che per anni si sono battuti per conoscere la verità. Una verità che è ben diversa dai risultati di quella perizia, come testimonia la recentissima richiesta di rinvio a giudizio del generale dei carabinieri Casarsa, e di altri ufficiali e sottufficiali, accusati a vario titolo di avere partecipato al pestaggio di Stefano Cucchi oppure al depistaggio attuato per coprire proprio il fatto che Stefano Cucchi non morì di fame, ma di botte, come sostengono il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò.
«Fu un violentissimo pestaggio» quello a cui fu sottoposto Stefano nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 dai carabinieri del comando stazione Appia, come ha scritto l’accusa già in un documento di 50 pagine con il quale la procura chiese al gip una nuova perizia medico legale sulle lesioni subite da Cucchi. Una richiesta avanzata subito dopo una relazione consegnata dal radiologo Carlo Masciocchi, che aveva trovato una frattura lombare «recente», quindi provocata durante la permanenza di Cucchi nella caserma dei carabinieri subito dopo il suo arresto, che non era stata invece riscontrata dal pool di periti guidati da Cristina Cattaneo.
«Stupisce il fatto che quel collegio di periti non sottopose mai il caso a un radiologo, l’unico titolato a leggere quelle lastre ed altri esami che potevano scoprire proprio quelle lesioni e fratture che i periti milanesi infatti non riscontrarono», dice Ilaria Cucchi all’Espresso. E aggiunge: «Come mai il generale Casarsa e altri vertici dei carabinieri hanno saputo in anticipo le conclusioni della perizia della dottoressa Cattaneo?».