I finanziamenti del partito, le alleanze e i rapporti con la Russia di Putin e gli Stati Uniti. L'intervista a L'Espresso dell'ex ministro leghista. «Dopo il voto del 26 maggio si chiuderà la Seconda Repubblica»

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Sulla storia della truffa da 49 milioni la Lega era parte lesa, perciò i giudici avevano accolto la costituzione di parte civile che avevo fatto io. Poi Salvini l’ha ritirata, e il partito oggi paga le conseguenze di questa scelta». A differenza del vice premier italiano e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a cui abbiamo scritto più volte per chiedere una sua versione dei fatti, Roberto Maroni risponde alle domande dell’Espresso sui 49 milioni (i soldi che il Carroccio deve restituire allo Stato perché frutto della truffa per la quale sono stati condannati in Appello Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito), ma anche sull’alleanza politica e finanziaria della nuova Lega con la Russia, sui rapporti con gli Usa, sul nuovo nazionalismo europeo, sugli obiettivi politici del partito in Italia.
Maroni oggi dice di essere fuori dalla politica che conta, si definisce un semplice militante della Lega. Fa molte cose, in realtà, l’ex segretario federale del Carroccio e ministro durante i governi Berlusconi: fa il consulente per diverse società private, tra cui Mediobanca e lo studio legale Gatti-Pavesi-Bianchi (è membro dell’advisory board insieme a Franco Bassanini e Giampiero Massolo). «È la mia terza vita», sorride, «il reato di politica si prescrive dopo 30 anni».

Partiamo da Armando Siri. La Lega ha ceduto rispetto ai 5 Stelle. Poi sono arrivate le inchieste in Lombardia. Lei crede che ci sia un complotto dei giudici contro la Lega?
«C’è un evidente atteggiamento ostile di certa magistratura nei confronti dei politici e della Lega in particolare. Serve una riforma che ristabilisca i confini tra le istituzioni e il rispetto reciproco. Spero che Salvini abbia quel coraggio che è mancato a Berlusconi».

Sul caso Siri lei lanciò il messaggio che il governo sarebbe caduto se il tiro si fosse spostato su Giancarlo Giorgetti, che aveva assunto Arata junior. Che ruolo ha Giorgetti davvero nella Lega?
«Ha un ruolo strategico, è l’uomo delle relazioni con imprese e finanza. Adesso anche della diplomazia, in particolare con gli Usa. È il consigliere più ascoltato da Salvini. Dopo le elezioni la tenuta del governo dipenderà soprattutto da lui».

Arriviamo così ai 49 milioni. Lei da segretario si è costituito parte civile.
«Sì, perché così facendo saremmo stati considerati parte offesa e avremmo tutelato la Lega da azioni risarcitorie. Poi avremmo dovuto chiedere noi i soldi ai condannati. Ovviamente non avrei mai obbligato Bossi a ridarci alcunché, ma in questo modo avrei salvaguardato il partito».

Dunque, se fosse passata la sua linea non staremmo a parlare dei 49 milioni che deve restituire la Lega.
«Esatto».

E allora perché Salvini ha cambiato idea?
«Io ho denunciato per infedele patrocinio Matteo Brigandì, lo storico avvocato di Bossi e della Lega, c’è una causa in corso. Proprio lui è andato da Salvini a chiedere di revocare la costituzione di parte civile, facendogli sottoscrivere una scrittura privata che impegna il partito a ritirare qualunque pretesa di risarcimento».

E lei da segretario l’avrebbe firmata?
«No. Mi sono costituito per tutelare il partito e questo Bossi lo sapeva. Avevo detto a Salvini che non ero d’accordo. Ma lui ha fatto una scelta diversa».

Perché non si è fidato di lei?
«Diciamo che è stato mal consigliato».

I soldi però non si trovano più. Ci dice qualcosa sul progetto di creare un trust per blindare il tesoro padano? Lei era segretario quando si pensò di seguire questa strada.
«Sinceramente non so. Ero segretario e all’epoca ho dovuto gestire molti fascicoli. Per questo avevo delegato tutto al tesoriere, Stefano Stefani. Certo mi informavano sulle decisioni, mi assumo tutte le responsabilità del caso. Ma ho sempre detto loro che qualunque strada avessero intrapreso era necessaria la certificazione della società di revisione dei conti. Nel caso del trust, questo non sarebbe servito a nascondere i soldi alla magistratura. Ma da altri soggetti che potevano rivalersi sul partito».

Nelle intercettazioni di un’inchiesta di Reggio Calabria, l’avvocato Domenico Aiello (avvocato del partito ai tempi di Maroni ndr) parla di un incontro, nel 2013, da un notaio di Milano per organizzare il trust. Al quale avrebbe preso parte anche lei.
«Non ricordo, ma non mi risultano trust o fondazioni create per nascondere soldi ai giudici».

Si ricorda, invece, quanti soldi ha lasciato sui conti prima di dimettersi da segretario?
«Non mi sono mai occupato di conti».

Insomma, non vuole dirci proprio nulla sui soldi...
«Non sono reticente, non gestivo io queste cose. Ma ho chiesto a chi se ne occupava che tutto doveva essere certificato e che non fosse fatto per nascondere soldi alla magistratura».

Resta però un fatto: secondo i bilanci della Lega nel 2013 sono stati spesi 15 milioni di euro. Tanti.
«C’era stata un tripla campagna elettorale. Vi assicuro che io non ho mai preso un centesimo dalla Lega, mai! Ho sempre chiesto massima trasparenza a chi lo faceva per me. Ripeto, non mi sono mai occupato dei soldi del partito».

Sempre dai bilanci, dal 2012 al 2015 sono stati spesi 31 milioni tra “altri oneri di gestione” e “contributi ad associazioni”. Ci spiega meglio queste voci?
«Io rispondo fino al 2013. Tutto regolare e certificato. Ma non ricordo i nomi delle associazioni a cui abbiamo dato soldi».

Eppure parliamo di milioni.
«Sicuramente associazioni legate al partito ma non ricordo le sigle».

Parte dei 49 milioni della truffa sono stati incassati da lei come da Salvini. E allora perché Salvini ha ripetuto per anni che quei soldi non li aveva mai visti?
«Rispondo per me. Abbiamo incassato quelle tranche di rimborsi su documentazione regolarmente presentata a Camera e Senato. Quindi sì, li abbiamo visti e usati».

L’Espresso ha scoperto che 3 milioni sono usciti dalle casse del partito per poi finire in parte sui conti di uomini molto vicini a Salvini, tra cui il tesoriere Centemero. Che ne pensa?
«Non ho un giudizio. Peraltro i collaboratori di Salvini non sono molto conosciuti tra la base. Centemero chi? Boh?, si chiedono in tanti».
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Dal suo “prima il Nord” siamo arrivati al progetto nazionalista. La Lega al Sud ha già le prime grane. Accuse di voto di scambio in Sicilia, candidati ex fascisti, deputati calabresi con parenti nel mirino dell’antimafia. Da ex ministro dell’Interno, a cui tutti riconoscono ottime leggi contro la mafia, Salvini ha sbagliato le scelte al Sud?
«Non lo so, non ho partecipato alla selezione e credo nella presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio, ma i risultati elettorali danno ragione a Salvini. Io so bene cosa vuol dire selezionare i candidati. Con Bossi all’inizio avevamo il problema che tutti volevano salire sul Carroccio del vincitore. Per evitare che entrassero persone di altri partiti, noi avevamo fissato criteri molto rigidi di selezione. Detto, questo la scelta di diventare un partito nazionale sta dando ragione a Salvini».

Va bene il successo elettorale, però a Rosarno il dirigente provinciale della Lega ha creato due società con persone che l’antimafia considera esponenti della ’ndrangheta.
«Non voglio commentare queste cose».

Lei è il ministro che ha inaugurato il villaggio della solidarietà di Mineo, Salvini quello che l’ha chiuso mandando per strada centinaia di richiedenti asilo.
«Per rispetto del ruolo che ho avuto, non voglio entrare nel merito delle scelte del ministro dell’Interno. Si possono sempre fare critiche, ovviamente, ma finché uno raggiunge certi risultati, sono critiche che non reggono».

Oggi esistono due Leghe, entrambe rappresentate da Salvini. C’è la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania e c’è la Lega per Salvini premier. Questo crea disagio nella base?
«All’inizio ha suscitato mal di pancia, perché nella Lega ci sono ancora quelli che sostengono la causa del Nord contro Roma ladrona. Però, se il risultato è che siamo sopra il 30%, chapeau a Salvini. E poi bisogna ricordare che il progetto di portare la Lega al Sud non è davvero inedito. Bossi nel ’95 mandò me al Sud per realizzare un’operazione simile a quella che ha fatto ora Salvini. Un’operazione che non riuscì perché era fatta per portare via voti a Berlusconi. Un filo lega Bossi e Salvini, ed è l’ambizione del partito egemone. Bossi non ci riuscì, e per questo cadde il primo governo Berlusconi. Salvini ha in mente la stessa cosa, ma ora per lui è più facile perché Forza Italia non è più nelle condizioni del ’94. Se non superano il 10 per cento alle europee la vedo dura per loro».

Cosa succederà dopo il 26 maggio?
«Si chiuderà la Seconda Repubblica. Come la Democrazia Cristiana di fatto sparì dopo le elezioni del ’94, così potrebbe succedere a Forza Italia dopo le europee».

Cadrà il governo?
«Macché. Dura fino al 2020. Non può cadere perché verrebbe meno l’idea di partito egemone che ha in mente Salvini. Perché vorrebbe dire resuscitare accordi da Seconda Repubblica o aprire la strada a governi tecnici. Questo Salvini non lo vuole. Un esempio: per le elezione del presidente del Senato Salvini non ha caldeggiato la candidatura di Roberto Calderoli. Temeva che quel nome identificasse la Lega con il passato».

E la Lega cosa diventerà?
«Non lo so, però circa due mesi fa il consiglio federale ha deciso di congelare tutti i rinnovi delle cariche in scadenza. È una scelta fatta in attesa di capire quale sarà il futuro».

Ma quale futuro, quello della Lega Nord o quello di Lega per Salvini premier?
«Il futuro della Lega, a prescindere da come si chiamerà. Di sicuro questa è una fase di transizione che porterà a qualcosa di diverso, e Salvini ha ben chiaro il punto di arrivo, cioè il partito egemone del centro destra.

Cosa pensa delle simpatie fasciste di Salvini?
«Da ragazzo ero di Lotta Continua: i fascisti a Varese mi menavano. Detto questo, oggi le categorie destra-sinistra non esistono più. È un’alleanza strumentale, se condizionasse le scelte politiche, allora direi non va bene. Sono contrario a CasaPound e ai fascisti in generale, però non vedo oggi un pericolo per la democrazia».

C’è stato anche uno spostamento politico della Lega verso la Russia di Putin. Abbiamo rivelato la trattativa per finanziare il partito con milioni di euro russi e del ruolo di Gianluca Savoini. Come commenta?
«Conosco bene Savoini, mi fido di lui, è una persona onesta e competente. Non so se la notizia è vera».

È vera, eravamo lì, abbiamo visto e sentito. Lo stesso Savoini ha confermato che era all’Hotel Metropol quel 18 ottobre dell’anno scorso, dicendo però che rappresentava l’Associazione Lombardia Russia.
«Non lo so. Se è un finanziamento lecito, dichiarato...»

Ma a lei sarebbe piaciuto prendere un finanziamento dalla Russia?
«Se uno vuole finanziare la Lega, perché no. Basta che sia tutto legale e non ci siano contropartite previste».

Possibile che Savoini sia andato a Mosca senza l’avallo di Salvini e che non ci fossero contropartite?
«Non lo so».

Anche sulla vicenda della Più Voci (l’associazione fondata dal tesoriere Centemero, beneficiaria di oltre 300 mila euro di finanziamenti privati poi girati a società della Lega, ndr) lei non vede nulla di strano?
«Io non sapevo di questa associazione. Detto questo, gestire un movimento come la Lega è complesso. Comunque tutto deve essere fatto legalmente. Se non è così, allora è diverso».

Politicamente, invece, come giudica l’alleanza con Vladimir Putin, che governa ininterrottamente la Russia da 20 anni?
«Si può criticare Putin, ma è stato democraticamente eletto. Non è però che Salvini si è schierato con Putin per andare contro gli Stati Uniti, questo va detto. Sulla vicenda della Via della Seta, ad esempio, la Lega si è schierata con gli Usa. Il rapporto con Washington è fondamentale per chi governa in Italia. Non puoi metterti contro, altrimenti diventa pericoloso».

E invece che opinione si è fatto dell’alleanza europea dei partiti sovranisti?
«È un’alleanza che può modificare il corso della storia. Come, non lo so. Certo, i vari partiti nazionalisti hanno idee diverse su come cambiare le cose, ad esempio su come gestire i flussi migratori. Si dice Cambiamo L’Europa, ma poi ognuno va per la sua strada. L’alleanza con Le Pen dunque è solo tattica. Esiste già, tuttavia, un modello virtuoso che supera il sovranismo inteso come concezione dello Stato-nazione: l’istituzione delle macro-regioni europee. Un’altra Europa più vicina ai territori. Chi vuole criticare i sovranisti potrebbe usare questo argomento».

A Salvini manca un orizzonte di lungo periodo?
«Matteo da giovane aveva una visione strategica. Da segretario ha un atteggiamento molto tattico: la politica oggi è così. Quando con Berlusconi e Bossi abbiamo vinto le elezioni abbiamo fatto cose che potevano nell’immediato risultare impopolari. L’orizzonte temporale era più vasto. Adesso non è più così. Ma come dargli torto: magari Salvini fa cose poco condivisibili, ma ha portato il partito in alto».

Dunque finché dura tutti contenti. E dopo si vedrà.
«Questa è la vita. Mi auguro che continui su queste percentuali. Ma spero anche che la svolta nazionalista non precluda la questione settentrionale. Se la Lega di Salvini darà risposte ai ceti produttivi del Nord allora vola al 40 per cento. Altrimenti qui si aprirà lo spazio per un movimento nuovo».

Ma lei di che Lega è? Lega Nord o per Salvini premier?
«Io sono della Lega Nord. Nessuno mi può obbligare a iscrivermi a un nuovo partito».

Grazie per l’intervista.
«Lo dirò a Matteo: quelli dell’Espresso non sono così cattivi».

Non ha mai voluto rispondere alle nostre inchieste.
«Avrà mille richieste».