Bruciando gli avanzi di una civiltà che continua a finire. Bruciando sul rogo degli eretici resi, come direbbe il grande sociologo Byung-Chul-Han, ormai “trasparenti” nella società della trasparenza globale. Bruciando neuroni e sommersi da un flusso di informazioni che equivalgono a spazzatura dell’immaginario non riciclabile, refrattario alla scomparsa e sempre più vasto per accumulazione industriale. Bruciando capitali e dignità umane residue in un unico Falò delle Vanità Centrale. Bruciando parole per estrarne la sostanza, fino alla loro essenza alchemica.
Bruciando gli anni. Le fiamme oscure dell’inferno e quelle “troppo luminose” del Paradiso. Bruciando parole per estrarne la sostanza, fino alla loro essenza alchemica. Bruciando gli anni. Bruciando i ricordi. Bruciando il passato e bruciando il futuro nel cratere del presente incerto, onda o particella di scenari passati e futuri ma non mai presenti e già inattuali. Bruciando nozioni. Bruciando scienze e tradizioni. Stanchi e assieme assuefatti per il troppo bruciare. Bruciando la stessa parola “bruciare”, nella giravolta finale del linguaggio, nel suo affiorare dall’oceano dell’indeterminato, come un brusio universale di ustioni nel nostro tormentato dormire.
Bruciando nel girone degli utopisti, dei romantici, degli irriducibili Nanni Balestrini ci ha lasciati.
Questi suoi versi degli anni Cinquanta sono la perfetta sintesi del suo instancabile lavoro e descrizione del nostro presente, come la quintessenza di una profezia: «Nel paesaggio verbale /un vuoto incolmabile / non mima niente / l’arte dell’impazienza / sovrappone un’altra immagine / mentre passiamo bruciando».
Bruciando di un fuoco indomabile, diafano e tellurico al contempo, Prometeo e angelo insieme. Insieme nelle fiamme oscure dell’inferno e in quelle “troppo luminose del Paradiso” Nanni Balestrini ci ha lasciato il suo furore iconoclasta, la sua intelligenza, la sua molteplice furia. Bruciando con il collega Giordano Bruno dove le parole sono incandescenti, e gli incendi non hanno fine.