Luca, Federica, Sofia. E altre migliaia di italiani che cercano di prevenire malattie ordinando i test in rete. Risultato: ansia, paura. E nessuna sicurezza sulla validità del risultato

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«Quando due anni fa mi rivolsi a un laboratorio on line per sottopormi a un test per la predisposizione all’Alzheimer non pensavo avrebbe influito sulla mia vita. Ero sprovveduto in fatto di genetica. Mio padre si era ammalato poco dopo essere andato in pensione. La sua memoria aveva cominciato a sgretolarsi. Usciva di casa e si perdeva. Via via che la malattia avanzava per me fu come vivere con uno sconosciuto. Avevo 45 anni e volevo sapere se mi sarei ritrovato anch’io in quelle condizioni. Chiamai il numero verde di un laboratorio di analisi genetica che trovai su Internet. Mi chiesero se avessi una prescrizione medica o consultato un genetista e mi inviarono per email indicazioni su come procedere. Avrebbero spedito a casa il kit per il campione di sangue da inviare tramite corriere. Sette i geni presi in esame predittivi per l’Alzheimer. Il costo 790 euro. Risultai positivo solo al gene Apoe, per l’apoliproteina E. Come interpretare il risultato? Che rischio comportava? Mi resi conto di essermi infilato in un tunnel di paura, quella di ammalarmi come mio padre». A raccontare è Luca, oggi 47enne, protagonista fra i tanti della cosiddetta genomica di consumo, non più tipicamente americana, ma un fenomeno ormai globale.

Il desiderio di conoscere il proprio futuro è antico quanto l’uomo. Un’ansia di sapere che un tempo veniva affidata a oracoli, sciamani, cartomanti, astrologi e che oggi sembra esaudibile con i test genetici affidati a laboratori privati che li offrono “a pacchetto” o venduti sul web. Basta compilare un questionario, come ha fatto Luca, e arriva a casa un kit per un tampone di saliva o un campione di sangue da rispedire per posta o corriere al laboratorio, spesso in Usa, che in breve (40 giorni per Luca) manda la risposta, ossia una diagnosi del rischio di sviluppare questa o quella malattia.

Il costo varia a seconda di ciò che si vuol scoprire e del numero di geni da analizzare e va da 90 euro a oltre mille. E anche più. Con offerte speciali per Black Friday e Festa della mamma o del Papà. Da quando nel 2000 è stato completato il Progetto Genoma umano, con la sequenza di 3 miliardi di coppie di basi che formano il Dna, e la mappa dei geni che formano il genoma (circa 20mila), lo sviluppo della biologia molecolare ha prodotto una ricaduta positiva in ambito medico, ma anche un business destinato a esplodere. Attualmente sono disponibili oltre un migliaio di test diagnostici di tipo genetico, ossia relativi al Dna e alle sue mutazioni, compresi quelli per la ricerca delle Snp (o “snip”), variazioni di singole basi utilizzate come marcatori. Secondo le stime il giro di affari oscilla fra i 300 e i 600 milioni di dollari l’anno ma nel giro di quattro anni potrebbe raggiungere il miliardo di dollari. Un mercato fuori controllo che Internet ha amplificato.

La decodificazione dei geni si è molto velocizzata rispetto a poco tempo fa. Non si contano i siti on line che vendono analisi dell’intero genoma, come 23andMe, società nata nel 2006 con la partecipazione di Google la cui attività di analisi genetica gli valse la copertina di Time: 6 milioni di clienti nel 2018. Oppure siti che offrono test per scoprire la suscettibilità a malattie multifattoriali come quelle di cuore (Dna Direct, Genelex, Health Test Direct, Mygenome, Navigenics, Dna-Pro, Proactive Genetics, Smart Genetics, 24Genetics), o che promettono di identificare attitudini genetiche ad attività sportive o il profilo metabolico in base al quale stabilire la dieta, la cosiddetta nutrigenomica (Sciona, Suracell), scegliere il partner più “compatibile” (ScientificMatch), o, ancora, trovare i propri antenati, dalla texana Family TreeDna a MyHeritage.

Ha senso farsi sequenziare l’intero genoma? Lo ha fatto Federica, 28 anni, per curiosità: «Non è facile orientarsi là dove c’è una pressione commerciale e mediatica: “mandami la tua saliva e ti dirò chi sei”, era la promessa, ma non avevo ben chiaro cosa stessi comprando», ammette.

Elaborare il concetto di rischio sulla base del proprio profilo genetico non è semplice. «Per ogni gene c’è un numero di variabili e non si sa quante di queste producano malattia. Ci sono mutazioni che non si è ancora in grado di decodificare. Perché non tutte note. Inoltre in individui diversi le mutazioni “sospette” possono essere differenti e l’interpretazione incerta», spiega Sergio Ottolenghi, dell’Università degli studi di Milano-Bicocca. Oggi Federica si dice pentita dei soldi spesi: la mappa del proprio genoma è offerta on line a cifre da 3 a 5 mila euro. E si vergogna di confessare a L’Espresso quanto le sia costato.

«Fare i conti con l’incertezza non è mai semplice. Io mi sono ritrovata con una mole di dati senza l’interpretazione o la mediazione di un esperto, ossia un consulente genetico», confessa.

E poi è proprio tutto riconducibile al Dna? «L’espressione dei geni è influenzata dal contesto. Se fumi, se hai uno stile di vita malsano il rischio di ammalarsi cresce. Talora ci vogliono anni e anni perché la malattia si manifesti anche se c’è una predisposizione genetica», risponde Achille Iolascon, neopresidente della Società italiana di Genetica Umana e professore all’Università Federico II di Napoli. «Un conto è chiedere un test genetico, sempre sotto supervisione medica, per capire se si è portatori di geni che causano malattie trasmissibili ai figli, come talassemia, emofilia, o fibrosi cistica». Malattie legate alla mutazione di un solo gene, e un altro sono i test predittivi o di suscettibilità, dove le mutazioni sono numerose, legate a più fattori, come è per obesità, ipertensione, diabete, o malattie cardiache, e dove il responso è espresso sotto forma di stime di aumento del rischio che perfino per una persona esperta è difficile interpretare.

«L’associazione tra gene sospetto e malattie multifattoriali non sempre è univoca. Esistono anomalie apparentemente ereditarie che vengono trasmesse da madre a figlio che non sono spiegate da mutazioni genetiche, ma da cambiamenti funzionali dei geni: è l’epigenetica», avverte Gianvito Martino, neurologo e direttore scientifico dell’Irccs del San Raffaele di Milano. «Ma poi che senso ha sapere che tra vent’anni potrei sviluppare una certa malattia, senza averne la certezza? Se ci fosse una soluzione terapeutica per prevenirla, lo capirei, ma così non è per l’Alzheimer».

La storia di Luca, a suo parere, è emblematica. «Si sa per esempio che la mutazione del gene Apoe aumenta, se ereditata, il rischio di ammalarsi ma non tutte le persone portatrici della mutazione sviluppano la malattia e non tutte le persone che l’hanno sviluppata erano portatrici della mutazione. Il risvolto emotivo di “sapere” va affrontato prima di sottoporsi a questi test per evitare di vivere da malati quando si è ancora sani», osserva Martino. Dal punto di vista scientifico i test genetici sono uno strumento formidabile per conoscere i meccanismi molecolari che determinano la comparsa di una malattia. Ma possono essere anche strumenti inutili, se non pericolosi.

Sofia, sulla cinquantina, aveva mandato a un laboratorio on line per posta un campione di saliva e aveva chiesto il test per i due geni collegati al tumore alla mammella, Brca1 e Brca2. Eventuali mutazioni di questi geni, detti “oncosoppressori”, favoriscono la crescita incontrollata delle cellule tumorali di ovaio e mammella. Sofia risulta portatrice di una sola mutazione, quella del Brca1, che comporta un rischio di ammalarsi di cancro al seno del 65 per cento. Che fare? Allarmarsi? Assieme al referto le viene consigliato di chiedere una consulenza genetica. «Un risultato avulso da una storia familiare, una madre o una sorella che si sono ammalate di questo tumore, non serve e ti cambia la vita», osserva Iolascon. La paura di ammalarsi è diventata per Sofia un tarlo. È inserita in un protocollo e ogni sei mesi esegue controlli. «Uno stress non indifferente. Mia sorella si è ammalata cinque anni fa di tumore all’ovaio. A me ora sembra di vivere in un mondo sospeso. Mi chiedo se ho fatto bene a voler sapere. Credo di sì. Ma avrei dovuto seguire un percorso inverso: prima la consulenza genetica e poi il test», confessa Sofia.

Tuttora irrisolto è il problema del controllo sulla qualità dei test offerti/venduti non solo sul web. Secondo uno studio dello scorso anno su Genetics in Medicine i risultati dei kit fai-da-te sarebbero nel 40 per cento dei casi erronei. Se il risultato per il test della calvizie fosse sbagliato, niente di grave, ma se lo fosse per una malattia qual è il tumore? È capitato che tre laboratori diversi abbiano dato risultati differenti. È successo ad Andrea, 52 anni, manager in una società di informatica, che voleva valutare se fosse geneticamente predisposto all’infarto miocardico, di cui il padre era morto a 48 anni. «Primo test positivo. Lo ripeto un anno dopo: il laboratorio on line avrebbe utilizzato nuovi marcatori genetici. E questa volta non si rileva un rischio cardiovascolare. Nel dubbio ho preso la saggia decisione di ridurre al minimo i fattori di rischio: bado di più al mio stile di vita. Ho smesso di fumare, per esempio. Non esagero con alcol e cibi grassi». Ma resta il dubbio.

«Se è difficile gestire l’affidabilità dei laboratori che offrono servizi on line, lo è anche di quelli privati, dei quali non esiste un censimento. Dovrebbero essere tutti certificati secondo precise normative e partecipare a controlli di qualità sia di enti italiani, quali l’Istituto Superiore di Sanità, sia internazionali, ma è una missione quasi impossibile», afferma Iolascon. La Società italiana di genetica umana censisce regolarmente su base volontaria, con questionari compilati dai responsabili dei laboratori privati, la loro attività. «E non sempre riceviamo risposte per una valutazione oggettiva sia per tipologia di test sia per volumi di attività», continua il genetista. «I dati da noi raccolti, regione per regione, dicono che sono laboratori più diffusi al Sud che al Nord: in Piemonte sono tre e in Campania 56. Là dove la sanità pubblica funziona sono meno».

Esistono dal 1999 “linee guida” per i laboratori privati, i siti e i medici che prescrivono i test genetici elaborate dal Comitato nazionale di bioetica e il Comitato le biotecnologie e le scienze della vita (Cnbbsv), difficili da applicare nella pratica. «È bene riflettere sull’attendibilità ma anche sulla tutela dei dati raccolti con i test da laboratori privati o attraverso internet», afferma Andrea Lenzi, presidente del Cnbbsv. Confidenzialità delle informazioni e rispetto della privacy restano un nodo da sciogliere.

«La presunzione di anonimato è diffusa. Inconsapevolmente ci si espone a un uso incontrollato dei propri dati», afferma Antonello Soro, presidente del Garante Privacy.
Cosa succede se il laboratorio privato o la società on line che hanno eseguito i test vengono acquisiti, trasferiti o dismessi? Alle informazioni personali ricavate dai test (anagrafiche, biologiche, sanitarie) potrebbero avere accesso industrie farmaceutiche, assicurazioni e datori di lavoro. «Il caso Facebook e Cambridge Analytica ha aperto un orizzonte inquietante. Se un’impresa che commercializza questi test va in bancarotta la proprietà dei dati potrebbe passare a una qualsiasi società finanziaria e le informazioni usate da terzi senza un’autorizzazione. A tutela delle persone mancano esplicite indicazioni in pressoché tutti i documenti internazionali e nazionali. E il timore di abusi e discriminazioni sulla base di valutazioni genetiche, come nelle selezioni per il lavoro, è giustificato», conclude Soro.