Salute
Test del dna online, l'unica certezza sono i soldi che spendi per farlo
Luca, Federica, Sofia. E altre migliaia di italiani che cercano di prevenire malattie ordinando i test in rete. Risultato: ansia, paura. E nessuna sicurezza sulla validità del risultato
«L’associazione tra gene sospetto e malattie multifattoriali non sempre è univoca. Esistono anomalie apparentemente ereditarie che vengono trasmesse da madre a figlio che non sono spiegate da mutazioni genetiche, ma da cambiamenti funzionali dei geni: è l’epigenetica», avverte Gianvito Martino, neurologo e direttore scientifico dell’Irccs del San Raffaele di Milano. «Ma poi che senso ha sapere che tra vent’anni potrei sviluppare una certa malattia, senza averne la certezza? Se ci fosse una soluzione terapeutica per prevenirla, lo capirei, ma così non è per l’Alzheimer».
La storia di Luca, a suo parere, è emblematica. «Si sa per esempio che la mutazione del gene Apoe aumenta, se ereditata, il rischio di ammalarsi ma non tutte le persone portatrici della mutazione sviluppano la malattia e non tutte le persone che l’hanno sviluppata erano portatrici della mutazione. Il risvolto emotivo di “sapere” va affrontato prima di sottoporsi a questi test per evitare di vivere da malati quando si è ancora sani», osserva Martino. Dal punto di vista scientifico i test genetici sono uno strumento formidabile per conoscere i meccanismi molecolari che determinano la comparsa di una malattia. Ma possono essere anche strumenti inutili, se non pericolosi.
Sofia, sulla cinquantina, aveva mandato a un laboratorio on line per posta un campione di saliva e aveva chiesto il test per i due geni collegati al tumore alla mammella, Brca1 e Brca2. Eventuali mutazioni di questi geni, detti “oncosoppressori”, favoriscono la crescita incontrollata delle cellule tumorali di ovaio e mammella. Sofia risulta portatrice di una sola mutazione, quella del Brca1, che comporta un rischio di ammalarsi di cancro al seno del 65 per cento. Che fare? Allarmarsi? Assieme al referto le viene consigliato di chiedere una consulenza genetica. «Un risultato avulso da una storia familiare, una madre o una sorella che si sono ammalate di questo tumore, non serve e ti cambia la vita», osserva Iolascon. La paura di ammalarsi è diventata per Sofia un tarlo. È inserita in un protocollo e ogni sei mesi esegue controlli. «Uno stress non indifferente. Mia sorella si è ammalata cinque anni fa di tumore all’ovaio. A me ora sembra di vivere in un mondo sospeso. Mi chiedo se ho fatto bene a voler sapere. Credo di sì. Ma avrei dovuto seguire un percorso inverso: prima la consulenza genetica e poi il test», confessa Sofia.
Tuttora irrisolto è il problema del controllo sulla qualità dei test offerti/venduti non solo sul web. Secondo uno studio dello scorso anno su Genetics in Medicine i risultati dei kit fai-da-te sarebbero nel 40 per cento dei casi erronei. Se il risultato per il test della calvizie fosse sbagliato, niente di grave, ma se lo fosse per una malattia qual è il tumore? È capitato che tre laboratori diversi abbiano dato risultati differenti. È successo ad Andrea, 52 anni, manager in una società di informatica, che voleva valutare se fosse geneticamente predisposto all’infarto miocardico, di cui il padre era morto a 48 anni. «Primo test positivo. Lo ripeto un anno dopo: il laboratorio on line avrebbe utilizzato nuovi marcatori genetici. E questa volta non si rileva un rischio cardiovascolare. Nel dubbio ho preso la saggia decisione di ridurre al minimo i fattori di rischio: bado di più al mio stile di vita. Ho smesso di fumare, per esempio. Non esagero con alcol e cibi grassi». Ma resta il dubbio.
«Se è difficile gestire l’affidabilità dei laboratori che offrono servizi on line, lo è anche di quelli privati, dei quali non esiste un censimento. Dovrebbero essere tutti certificati secondo precise normative e partecipare a controlli di qualità sia di enti italiani, quali l’Istituto Superiore di Sanità, sia internazionali, ma è una missione quasi impossibile», afferma Iolascon. La Società italiana di genetica umana censisce regolarmente su base volontaria, con questionari compilati dai responsabili dei laboratori privati, la loro attività. «E non sempre riceviamo risposte per una valutazione oggettiva sia per tipologia di test sia per volumi di attività», continua il genetista. «I dati da noi raccolti, regione per regione, dicono che sono laboratori più diffusi al Sud che al Nord: in Piemonte sono tre e in Campania 56. Là dove la sanità pubblica funziona sono meno».
Esistono dal 1999 “linee guida” per i laboratori privati, i siti e i medici che prescrivono i test genetici elaborate dal Comitato nazionale di bioetica e il Comitato le biotecnologie e le scienze della vita (Cnbbsv), difficili da applicare nella pratica. «È bene riflettere sull’attendibilità ma anche sulla tutela dei dati raccolti con i test da laboratori privati o attraverso internet», afferma Andrea Lenzi, presidente del Cnbbsv. Confidenzialità delle informazioni e rispetto della privacy restano un nodo da sciogliere.
«La presunzione di anonimato è diffusa. Inconsapevolmente ci si espone a un uso incontrollato dei propri dati», afferma Antonello Soro, presidente del Garante Privacy.
Cosa succede se il laboratorio privato o la società on line che hanno eseguito i test vengono acquisiti, trasferiti o dismessi? Alle informazioni personali ricavate dai test (anagrafiche, biologiche, sanitarie) potrebbero avere accesso industrie farmaceutiche, assicurazioni e datori di lavoro. «Il caso Facebook e Cambridge Analytica ha aperto un orizzonte inquietante. Se un’impresa che commercializza questi test va in bancarotta la proprietà dei dati potrebbe passare a una qualsiasi società finanziaria e le informazioni usate da terzi senza un’autorizzazione. A tutela delle persone mancano esplicite indicazioni in pressoché tutti i documenti internazionali e nazionali. E il timore di abusi e discriminazioni sulla base di valutazioni genetiche, come nelle selezioni per il lavoro, è giustificato», conclude Soro.