"La forza politica che negli anni hai votato ti ha sistematicamente deluso, ti ha sempre fatto soffrire, sia che perdesse (perché perdeva) sia che vincesse (perché al governo non ha poi fatto ciò che ti aspettavi facesse)". Così lo scrittore scomparso raccontava l'italiano in cabina elettorale
Siamo sotto elezioni, presto saremo chiamati a votare, a esercitare il nostro diritto/dovere di esprimere un voto; e al di là dell’orientamento politico, ci sono modi diversi di votare: c’è chi vota inseguendo un tornaconto personale, chi vota solo per odio nei confronti dell’avversario, chi esercita il cosiddetto voto utile, e c’è chi ancora – provando ormai quasi imbarazzo – vota in nome di ragioni ideali; ma in fondo tutti, tutti sono voti disperati.
Sono voti che nascono dalla disperazione, e infatti generalmente l’italiano entra nella cabina elettorale di pessimo umore; è insofferente alla matita, è insofferente allo scrutatore annoiato che mastica la gomma, è insofferente persino a quelle cabine di legno che pure lontanamente potrebbero ricordargli le cabine del mare, dove da piccoli si lasciavano pinne, maschere e costumi bagnati. Ma quei tempi sono lontani: ora hai una matita in mano, ti
trema la mano, devi votare: e sei solo infelice.
Qualcuno potrebbe dire: non è vero, io voto felice. Ma sta mentendo. Sono come quelli che ti dicono che in aereo non hanno paura. Non è vero. Tutti in aereo hanno paura, o quantomeno tutti sono stressati. E cosi in cabina elettorale: quantomeno, sei stressato. Chi ti dice che vota felice, o mente, oppure, peggio ancora, crede davvero di essere felice, ed è la categoria più pericolosa: quelli disperati senza saperlo.
Il voto è infelice perché la forza politica che negli anni hai votato ti ha sistematicamente deluso, ti ha sempre fatto soffrire, sia che perdesse (perché perdeva) sia che vincesse (perché al governo non ha poi fatto ciò che ti aspettavi facesse). E quando poi, secondo le regole della democrazia, al governo è andata una forza avversaria, quella a sua volta ha deluso chi l’aveva votata, e tu hai goduto di questo, che quelli fossero delusi, e quando dopo un certo periodo di tempo quel movimento politico, a furia di delusioni, ha di nuovo lasciato il governo alla tua forza politica, gli elettori della forza avversaria hanno pregustato la tua delusione, che poi puntualmente è arrivata, e hanno goduto tantissimo che tu fossi deluso, e la politica italiana da molto tempo è una lotta a chi è più deluso, e gli altri sono soddisfatti se tu sei più deluso di loro, e tu godi se loro sono delusissimi (e se il loro governo non ha i numeri per un provvedimento di buonsenso che al limite condividi pure, tu comunque esulti “E sì! E vai! To’!”)
E anche nella tua regione e nella tua città, se perdi alle elezioni dici subito: “Tanto vi do nove mesi, tempo nove mesi qui sprofonda tutto! Voglio proprio vedere!” E ridi anche, ridi pazzo (“Ah ah ah”) e lo speri davvero che tutto sprofondi, lo speri intimamente, ma poi ti accorgi che stai parlando della
tua regione, della
tua città, ed è come se ti augurassi che sprofondi casa tua, ma sei talmente accecato dall’infelicità che non ti frega niente.
E questo fenomeno, che si chiama tecnicamente deficit di rappresentanza (ossia che non c’è in campo una forza politica che non ti deluderà), alla lunga ha creato un sentimento, per così dire, di sfiducia, e questo è il punto. Il punto è che la sfiducia e l’infelicità vanno di pari passo, così come vanno di pari passo i loro contrari: la fiducia e la felicità.
La fiducia e la felicità sono cose che vanno insieme, perché l’atto di dare fiducia a qualcuno per definizione non è un atto infelice, è un atto
felice.
Se ti fidi, sei felice. Se si fidano di te, sei felice.
Ed è ciò di cui abbiamo più bisogno: di fiducia. Fiducia da ricevere e fiducia da dare. Allora, solo allora, torneremo ad essere e votare felici.