Opinioni
20 agosto, 2025Netanyahu dovrebbe chiaramente indicare qual è l’assetto futuro per Gaza e per la Cisgiordania
La catastrofe di Gaza iniziata con l’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre e proseguita con l’uccisione di 50-60 mila palestinesi, con accuse reciproche di genocidio e di uso dei civili come scudo umano, ha riproposto in maniera drammatica la questione delle conseguenze per la popolazione civile di guerre e terrorismo. A chi accusa Israele di una risposta esagerata alla carneficina del 7 ottobre si risponde che, anche nella Seconda guerra mondiale, gli Alleati non si trattennero dallo scatenare la forza più brutale sulle città tedesche (basta pensare al bombardamento di Dresda nel febbraio 1945, con 135.000 morti, a guerra praticamente già vinta) o giapponesi (l’ottantesimo anniversario di Hiroshima e Nagasaki è appena passato). Si può liquidare la questione come l’inevitabile conseguenza del passaggio da “guerre di eserciti” a “guerre di popoli” in cui minare il morale dell’avversario diventa uno strumento strategico fondamentale (tra i primi a intraprendere questa strada fu il generale Sherman nella sua “marcia verso il mare” durante la Guerra di Secessione). Si potrebbe controbattere che, comunque, gli eccessi del passato (vedi esempi sopra citati) non giustificano gli eccessi del presente in un mondo, quello post Ww2, in cui si sperava di aver cambiato regime nella gestione delle relazioni internazionali. Ma parlare di passato e presente, serve meno di parlare di futuro. Ecco, il futuro è ciò che davvero è assente nella strategia della leadership israeliana.
Non c’è dubbio che Israele debba sradicare Hamas e, se l’occupazione di Gaza, è l’unico modo per raggiungere questo risultato, che venga anche quella. Ma, al tempo stesso, Netanyahu dovrebbe chiaramente indicare (non basta un generico riferimento al passaggio di Gaza al controllo di forze arabe fra qualche anno) qual è l’assetto che intende raggiungere per Gaza e la Cisgiordania, una volta che Hamas sia stato sconfitto. E quell’assetto deve riflettere le legittime aspirazioni dei palestinesi di avere uno Stato indipendente che, ovviamente, dovrebbe accettare, una volta per tutte, l’esistenza di Israele.
Una prospettiva di questo genere manca completamente e la sua mancanza fa sorgere il dubbio che quello che davvero vuole Netanyahu sia solo l’espulsione dei palestinesi dall’area che circonda Israele. Quello che è accaduto dal 7 ottobre in Cisgiordania, con l’uccisione di quasi un migliaio di palestinesi, suggerisce che questa sia l’intenzione almeno della parte più estrema del governo israeliano, quella più vicina ai “coloni”.
Che cosa dovrebbe fare l’Europa? Possiamo continuare a parlare della soluzione dei «due popoli, due Stati». Ma occorre trasformare quella che è una formula vuota in un piano di azione preciso e concreto che preveda, da un lato, l’eliminazione di Hamas e di ogni altra forza terrorista che voglia sopprimere Israele, e, dall’altro, la ricostruzione di Gaza, l’interruzione dell’espansione dei coloni in Cisgiordania e la creazione di uno Stato sovrano palestinese. Hamas non accetterà un tale piano e ne subirà le conseguenze. La questione è se il governo Netanyahu sia disposto ad accettarlo. Se non lo sarà, allora l’Ue dovrà tenerne conto in termini di future relazioni con Israele. Limitarsi a ripetere che serve una tregua e che l’Europa è per «due popoli, due Stati« non serve a nulla, se non a riempire i tg nostrani di spot da 15 secondi.
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