Analisi
Boris Johnson e Matteo Salvini, i leader che pretendono di parlare a nome di tutti
Il premier britannico (come il leghista in Italia) può contare solo sul 35 per cento dei consensi. Ma le somiglianze inquietanti tra i due non si fermano qui
Tra il nuovo Primo ministro britannico Boris Johnson e Matteo Salvini ci sono considerevoli somiglianze. Sono entrambi personaggi di spicco nel recente stile “populista” della politica di destra. In passato, hanno avuto entrambi una carriera nel giornalismo. Come il loro idolo e collega cosiddetto populista, Donald Trump, hanno avuto entrambi complicate storie coniugali. Tra loro vi sono anche altre somiglianze di maggior conto, come pure differenze importanti. Ma vi è un’ultima somiglianza inquietante.
In senso stretto, la definizione di “populista” dovrebbe essere usata per descrivere i leader di movimenti nuovi ed esterni impegnati a irrompere sulla scena politica in opposizione ai partiti già esistenti dell’establishment. Ma questo non è il caso di Johnson, Salvini o Trump. In verità, questi tre leader politici hanno assunto il controllo di partiti già esistenti e li stanno trasformando dall’interno, così da apparire nuovi outsider ostili alle élite di cui, peraltro, in effetti fanno parte tutti e tre. La loro affermazione di rappresentare nuove forze d’invasione si basa perlopiù sull’uso vigoroso che fanno del nazionalismo, un’arma politica rimasta in buona parte inutilizzata nel mondo occidentale, a eccezione di una frangia di estrema destra, dai tempi della sconfitta della sua variante fascista nella Seconda guerra mondiale. Si tratta di un attacco a doppio taglio, che prende di mira da una parte gli immigrati, in particolare quelli provenienti dai Paesi islamici, e dall’altra l’affiliazione dei loro Paesi a organizzazioni internazionali. Per Johnson e Salvini questo significa soltanto l’Unione europea; per Trump, l’intera compagine della cooperazione globale tra gli Stati.
Sebbene gli immigrati presi di mira durante la campagna condotta da Johnson per far uscire il Regno Unito dall’Ue provengano perlopiù dagli altri Paesi europei, l’ostilità nei confronti dei migranti islamici è diventata sempre più forte ed evidente, e per altro è al centro della posizione politica assunta dallo stesso Salvini. Johnson e gli altri sostenitori della Brexit sono riusciti a instaurare un collegamento tra l’Islam e l’Europa affermando subdolamente che la Turchia era in procinto di entrare a far parte dell’Ue, e questo avrebbe offerto a 70 milioni di turchi il diritto di trasferirsi nel Regno Unito, spalancando così le porte a ulteriori flussi di rifugiati in arrivo da Iraq e Siria attraverso la Turchia.
I migranti e i rifugiati possono essere strumentalizzati in un attacco alle élite nel nome del “popolo” perché si parla delle élite nazionali ed europee come di ambienti che impongono i migranti alla popolazione. Questo porta quindi ad attacchi sempre più virulenti alle istituzioni costituzionali come i tribunali e i parlamenti. Il leader populista si presenta come uno che vuole aiutare il popolo e ne comprende le rimostranze. Peccato, però, che quelle istituzioni lo ostacolino. Per Salvini il problema principale erano i tribunali, per Johnson il parlamento. Non è ancora chiaro fin dove ciascuno di loro fosse disposto a spingersi per insidiare la legalità e la democrazia rappresentativa. Salvini ha perso la poltrona, Johnson sembra indeciso su come procedere. Può anche darsi che entrambi volessero lasciare i loro avversari alle strette, oggetti permanenti della rabbia popolare utile da mobilitare. Johnson ha mai voluto sul serio che il referendum per la Brexit avesse la meglio, oppure si è trattato soltanto di un’opportunità da sfruttare per una mobilitazione generale? Quanto a Salvini, correrebbe davvero il rischio di far uscire l’Italia dall’Ue e dalla moneta unica? Non lo sappiamo ancora.
Queste somiglianze, tuttavia, arrivano solo fino a un certo punto. Sebbene sia Johnson sia Salvini stiano trasformando partiti già esistenti, questi si stanno spostando in direzioni assai differenti. La vecchia Lega Nord era un piccolo partito separatista regionale, motivato perlopiù dall’ostilità nei confronti degli italiani del Meridione. Il progetto di Salvini prevedeva di spostare il bersaglio dell’ostilità dagli italiani del Meridione ai migranti e ai rifugiati, facendo così espandere la neo-ribattezzata Lega, e consentendole di competere a livello nazionale. Johnson, al contrario, ha assunto il controllo del partito conservatore - un partito grande e di livello nazionale, spesso ritenuto il più antico in Europa - e sta cercando di ridurne gli obiettivi. È riuscito a farsi eleggere capo del partito soltanto perché la massa degli iscritti è diventata esigua, ridotta perlopiù a un nucleo di anziani nazionalisti. Da quando è diventato leader dei conservatori, alcuni parlamentari di centro sono stati espulsi dal partito o ne sono usciti. Un tempo, i conservatori erano un partito filoeuropeista con una minoranza antieuropeista. Il partito ha trovato spazio per entrambi. Adesso che l’ex frangia di minoranza si è trasformata in maggioranza, si prefigge di estromettere del tutto l’ex ala filoeuropeista dominante.
Johnson direbbe che sta ampliando il fascino del partito conservatore, dato che il nuovo nazionalismo è molto attraente per gli elettori della classe operaia. Questo porta a un’espansione demografica, ma ottenuta con una medesima contrazione dell’esaltazione ideologica. Benché Johnson dichiari di essere dalla parte del Paese intero, il partito lancia sempre più spesso segnali di essere un partito nazionale inglese con sempre meno interesse per la Scozia e le altre nazioni che formano il Regno Unito. Questa sarebbe una mossa in direzione esattamente contraria a quella imboccata da Salvini.
Un’ulteriore differenza è che l’attrattiva nei confronti di un conservatorismo cristiano-sociale, così importante per il modello politico di Salvini, sembra del tutto assente in Johnson, seppur presente nella nostalgia generale facente parte della considerevole espansione del sentimento nazionalistico britannico. Uno dei pochi punti fermi nella carriera politica di Johnson è stato il suo impegno nei confronti dei valori liberali, addirittura libertari. Quando parla, non fa mai appelli religiosi né esterna critiche ai recenti cambiamenti nel modo di trattare i diversi orientamenti sessuali. Quando è stato sindaco di Londra, dal 2008 al 2016, ha celebrato il carattere multiculturale della città e la sua grande popolazione di immigrati. È possibile che tutto ciò cambi, quando darà vita a un nuovo partito conservatore più a destra. Dopo tutto, a poche settimane di distanza da quando ebbe fine il suo incarico di sindaco di Londra, nella campagna per la Brexit ha iniziato a criticare la percentuale di immigrati nella popolazione della Gran Bretagna. Altri cambiamenti di questa natura potrebbero essere del tutto possibili in futuro. Forse, un primo segnale è quello del 5 settembre, quando le telecamere l’hanno ripreso attorniato da contingenti di poliziotti in uniforme durante un discorso politico eccessivamente polemico.
Prevale una certa confusione anche per ciò che concerne la posizione di Johnson riguardo alle questioni economiche. Sembra condividere le posizioni neoliberali e favorevoli a un abbassamento delle tasse di Salvini, e si vanta di essere stato, forse, l’unico politico britannico ad appoggiare le banche quando furono aspramente criticate dopo la crisi finanziaria del 2008. Ha nominato ministri con forti opinioni neoliberali a posizioni di spicco nel suo gabinetto. D’altro canto, durante le prime settimane da premier, Johnson e i suoi ministri hanno annunciato cospicui aumenti in quasi tutti i settori della spesa pubblica. Sembra che, come Salvini, sia disposto ad accettare un consistente aumento del debito pubblico, anche se - essendo il Regno Unito fuori dalla moneta unica europea - ciò non potrà essere usato come un ulteriore terreno di scontro con le istituzioni europee e rimarrebbe un problema della sola sterlina. Tuttavia, è anche possibile che, dovendosi presto svolgere le elezioni generali in Gran Bretagna, questi annunci siano soltanto mosse preelettorali di facciata. Dopo un’eventuale vittoria alle elezioni, con il Paese precipitato nella crisi economica che farà seguito alla Brexit, Johnson potrebbe dichiarare che, tenuto conto della crisi che egli dichiarerà essere stata imposta alla Gran Bretagna dall’Ue, il Paese dovrà affrontare con coraggio un periodo di grandi difficoltà. La sua storia politica è stata a tal punto incostante che è davvero impossibile anticipare come si comporterà.
Tutto ciò, naturalmente, presuppone che Johnson vinca le elezioni. E qui ci imbattiamo in molte più somiglianze con la posizione che Salvini occupava fino a poche settimane fa. Entrambi hanno dovuto far fronte in parlamento a posizioni di gran lunga più deboli di quelle che credevano avere tra la gente comune. In parlamento, la Lega era il junior partner della coalizione con il Movimento Cinque Stelle ma, tenuto conto dei suoi risultati alle elezioni europee di maggio, Salvini ha creduto di avere in mano più del 35 per cento del consenso popolare. Di conseguenza, ha deciso di portare il Paese alle urne, ma è stato disarcionato dalla formazione di una nuova coalizione di governo, quella tra PD e M5S. I conservatori di Johnson sono l’unico partito di governo, ma non hanno la maggioranza in parlamento. Theresa May, che lo ha preceduto, l’aveva persa nelle elezioni del 2017 e ha dovuto fare affidamento sul sostegno del Partito Unionista Democratico, un piccolo movimento protestante nordirlandese.
Nella sua prima settimana da Primo ministro in parlamento, la posizione di Johnson si è indebolita ancor più in seguito a defezioni ed espulsioni, tanto che non ha potuto governare in maniera proficua. Come Salvini, anche Johnson crede di poter contare su un sostegno da parte dell’elettorato pari al 35 per cento, che potrebbe dargli la maggioranza in un nuovo parlamento. Come nel caso di Salvini, il parlamento non lascerà che egli vada alle elezioni. Tuttavia, in questo caso i motivi sono assai diversi. L’attuale parlamento del Regno Unito non può dar vita a una maggioranza per formare un altro governo, e di conseguenza procrastinerà le elezioni soltanto fino a quando non sarà sicuro che Johnson non farà uscire il Paese dall’Ue senza accordo sui futuri rapporti.
Si noti, nondimeno, un’altra anomala somiglianza: entrambi questi leader aspirano a rappresentare più o meno il 35 per cento dell’elettorato. Le stranezze dei sistemi elettorali britannico e italiano potrebbero benissimo permettere al 35 per cento di formare maggioranze parlamentari, se la maggioranza restasse nell’ambito di un certo numero di partiti. Poiché il nazionalismo è la forza politica più potente e concentrata nelle società frammentarie dell’inizio del XXI secolo, il 35 per cento può bastare a formare quello che i leader populisti chiamano “il” popolo, senza tenere in considerazione il restante 65 per cento.
Traduzione di Anna Bissanti