
Dal 15 marzo scorso, del resto, quando la sedicenne Greta Thunberg li ha convocati nelle piazze di tutto il mondo, gli studenti non si sono mai fermati: implacabilmente, ogni venerdì, da Pisa a Roma, da Brescia a Ravenna, da Prato ad Arezzo, da Matera a Udine, sono apparsi dal nulla mascherati come nella serie “La casa di carta”, con tuta e maschera di Dalí: «La casa brucia!». Si sono sdraiati come morti sul red carpet di Venezia, contro gli incendi in Amazzonia: »It’s not fire, it’s capitalism». Hanno indossato maschere e boccagli - «Abbiamo l’acqua alla gola» - e cantato, ballato, urlato slogan. Richiamando l’attenzione sull’emergenza climatica, e sulla nostra vita sospesa tra gli sconvolgimenti del pianeta.
«Facciamo sentire ovunque la nostra voce, siamo stufi. Noi cambieremo il mondo», gridano a piccoli gruppi nelle piazze in cui si danno appuntamento. Coi loro cartelli fatti a mano: «Non abbiamo un pianeta B». Le t-shirt politiche: “Save the world”, “I love environment”. “Stop plastic”. I braccialetti colorati per i mari, i fiumi, le foreste, gli animali a rischio. Il megafono a scandire a gran voce: «Maqualemercato/ maqualeprofitto/ didistruggerel’ambiente/ non hai diritto».
Altro che generazione silenziosa, lontana dalla politica, disinformata e ripiegata solo sugli smartphone. Contrordine: qui si fa sul serio.
IDENTIKIT DI UNA GENERAZIONE
Se i rivoltosi di Fridays for Future, Venerdì per il Futuro, sono soprattutto ragazzi delle scuole superiori, moltissimi frequentano ancora la scuola media o sono iscritti ai primi anni d’università. Di loro colpisce subito il livello di informazione.
«Lo sai che il Mare di Barents ha già oltrepassato il punto di non ritorno climatico? Vuoi sapere dove l’ho letto? Su Instagram. È stato dimostrato alla conferenza Arctic Frontiers 2019 in Norvegia: in pratica, il mare si scalda e il clima di lì si trasforma in un clima atlantico». Arianna, 13 anni, quarta ginnasio al Liceo Visconti di Roma, snocciola la spiegazione con fare nervoso: «Capisci cosa vuol dire? Che non c’è più tempo. Non possiamo aspettare che facciate voi qualcosa: dobbiamo agire noi per primi, far sentire la nostra voce. Tra 11 anni la temperatura media globale supererà la soglia critica di un grado e mezzo: il tempo a disposizione per salvare il pianeta sta scadendo», insiste.
«L’anno scorso con la mia scuola ho partecipato a un progetto sullo sviluppo sostenibile, “Change the World Mun”, che ci ha portato a New York, alle Nazioni Unite. Naturalmente ho dovuto studiare, informarmi. E più mi documentavo, più mi sembrava incredibile che né la scuola né i miei genitori mi avessero detto nulla: stiamo morendo, e io non lo sapevo», aggiunge Lavinia Iovino, primo anno del Liceo classico Villa Flaminia di Roma: «Di fronte a una crisi così drammatica – il futuro che va via – non possiamo starcene zitti. Io comincio, anche da sola: denuncio, informo. Pubblico video su Instagram, e in questo modo ho coinvolto molti amici».
Generazione che ha eletto Instagram a proprio strumento di comunicazione, con poche deviazioni: se i Millennials, tra youtuber e influencer, hanno generato figure imprenditoriali nuove e guadagni imprevisti, questa generazione è decisamente meno interessata ai consumi e intenzionata a rivolgere il potere dei social network verso temi sociali, forti. Gli adulti registrano la tendenza: «Basta shopping scadente, pensiamo al pianeta», ha appena scritto la giornalista India Knight, lanciando l’appello su “The Guardian”. «Facciamo in modo che gentilezza e sostenibilità diventino le parole che indossiamo», ha ribadito la fashion editor Jo Ellison su “Financial Times”.
«A casa sono molto contenti del mio impegno, nel quale ho trascinato anche mia sorella Isabella, che ha 8 anni», prosegue Lavinia: «Abbiamo tutti cambiato molte abitudini: al supermercato facciamo attenzione a non comprare prodotti con troppi imballaggi, evitiamo gli sprechi, abbiamo messo al bando la plastica. Ognuno di noi ora ha la sua borraccia. I miei genitori mi sostengono: di recente, ad esempio, ho cercato di organizzare un’iniziativa di pulizia spontanea di Villa Borghese. Ho seguito, grazie a loro, tutte le procedure burocratiche necessarie, ma a ridosso dell’evento il Comune ha smesso di rispondermi. Con i miei amici siamo andati lo stesso e abbiamo fatto un sit-in: è importante non arrendersi e compiere gesti visibili. In fondo, la qualità più importante di Greta è proprio il suo coraggio».
«L’abbiamo vista più piccola di noi, un po’ introversa eppure così sicura, e ci siamo riconosciute in lei», dice più di una. Il punto di riferimento resta lei, la ragazza con le treccine da bambina e la parlata da leader, benedetta anche da papa Francesco, che è riuscita nell’intento di riunire l’impegno di tantissimi.
«Ci sentiamo cittadini del mondo. E Greta ha catalizzato la voglia di impegnarci per l’urgenza più forte del pianeta», riflette Dario Rapiti, secondo anno di Statistica a Roma, tra gli organizzatori di Fridays for Future della Capitale, quartier generale alla Città dell’Altra Economia: «Ci muoviamo lungo due direzioni: da una parte comportamenti concreti in grado di fare la differenza, come aumentare l’attenzione verso i consumi sostenibili, usare solo borracce anziché bottigliette, mangiare meno carne, ridurre in generale i consumi. Dall’altra, vogliamo fare pressione su quelli che hanno responsabilità politiche perché prendano le decisioni giuste a invertire la rotta. Abbiamo percorsi personali diversi, ma il movimento è apartitico. Dialoga con tutti, attento a evitare strumentalizzazioni. Siamo contenti se allo sciopero aderiscono alcuni sindacati, ci fa piacere incontrare i rappresentanti della Cgil o altri esponenti politici, ma giudichiamo tutti sui fatti. Non abbiamo testimonial famosi ai nostri incontri, semmai invitiamo studiosi e ricercatori. In generale, abbiamo poca fiducia nella politica, ma siamo disponibili a metterla alla prova. Alla sindaca Virginia Raggi abbiamo chiesto il riconoscimento dell’emergenza climatica dalla città di Roma: aspettiamo, non è mai arrivato».
IL RITORNO DELLA POLITICA
Altre città, invece, hanno detto di sì per merito proprio di Fridays for Future. A Palermo, per esempio. Come spiega Marta Sabatino, 16 anni, terzo liceo linguistico Regina Margherita: «Su molti territori siamo riusciti a ottenere questa dichiarazione che non è solo un fatto simbolico, ma un atto di pressione sulle istituzioni locali, regionali e nazionali perché siano intraprese azioni di governo capaci di contenere gli effetti del collasso climatico. Il 26 settembre saremo presenti a una conferenza del Crn per la riqualificazione di aree problematiche di Palermo. Stiamo chiedendo distributori dell’acqua nelle scuole per evitare le bottigliette. Diciamo no ai sacchetti di plastica nei supermercati. Siamo consapevoli di essere la prima generazione a vedere gli effetti dei cambiamenti climatici, e l’ultima a poter fare qualcosa».

La generazione che vuole salvare il futuro ha chiara la strada. E se a ogni appuntamento l’attenzione è su un’emergenza specifica - come l’Amazzonia che brucia, il no alle trivelle, o contro i corsi universitari sull’ambiente sponsorizzati dall’Eni, com’è accaduto di recente alla Sapienza di Roma – la strategia è fatta di pochi punti condivisi: raggiungere lo zero netto di emissioni a livello globale nel 2050 e in Italia nel 2030, per restare entro l’aumento medio globale della temperatura di 1.5 gradi; la giustizia climatica come principio che deve informare la transizione energetica; la fiducia nella scienza e negli studiosi più autorevoli che da anni ripetono: non c’è più tempo.
“Save the planet now” recita la maglietta di Luisa, studentessa di Lettere a Roma: folgorata al primo sciopero del marzo scorso, e da allora in radicale metamorfosi del suo stile di vita. Guerriera anti-imballaggi è Giulia, matricola anche lei, attenta a frequentare solo “negozi leggeri”, come si chiamano - per estensione di una catena di franchising nata una decina d’anni fa - i punti vendita “alla spina”. Paladina del no waste, con decine di migliaia di visualizzazioni su YouTube, è Sayaka Conti, che distribuisce consigli per ridurre la plastica nella vita di tutti i giorni. Impegnatissima Aurora, «vegana come Greta»: alle manifestazioni di Fridays for Future porta l’esperienza di Anonymous for the Voiceless, per i diritti degli animali.
«Fridays for Future è riuscito a creare una consapevolezza nuova», ammette Alexander Fiorentini, 19 anni, matricola di Scienze politiche, e da Cesena portavoce nazionale delle consulte studentesche: «Ha risvegliato le coscienze: di colpo genitori, insegnanti, persino ragazzi più freddi e disincantati su questi temi si stanno rendendo conto che il futuro è davvero in pericolo. Ce lo domandiamo anche noi, impegnati da diversi anni su tante tematiche sociali: come ha fatto il movimento Fridays for Future a imporsi in questo modo, in un tempo così breve? Il suo punto di forza è l’essere spontaneo e monotematico. È un’urgenza nella quale è facile riconoscersi». Ma l’effetto è che l’ambiente è solo un impegno di partenza: i dibattiti, la partecipazione, le manifestazioni pubbliche stanno stimolando un’attenzione per la politica che i ragazzi sembravano non avere più. «Lo vedo di continuo, e lo confermo: nel momento in cui ci credevate disimpegnati, abbiamo ripreso a informarci, a leggere, a cercare fonti affidabili, a sforzarci di capire la politica. Mia sorella, che ha 16 anni, ora legge i quotidiani e dice addirittura di voler combattere la disinformazione». Scrivono ai giornali, i ragazzi: come hanno fatto in vista del prossimo sciopero, invitandoli a raccontare la crisi climatica e ad aderire a “Covering Climate Now”, iniziativa di Columbia Journalism Review e The Nation.
UN GRIDO CHE NON SI PUÒ IGNORARE
«È un terremoto: questi sono i ragazzini di Elsa Morante, vanno all’osso, alla difesa della vita», si entusiasma lo scrittore Antonio Moresco, che al “suicidio di specie in atto” ha dedicato il vigoroso pamphlet “Il grido” (edito da Sem): «Storicamente la protesta su questioni politiche o sociali è nata negli ambienti universitari. Qui siamo di fronte a ragazzi più giovani: a una generazione che è entrata di scena all’improvviso, e ha scavalcato di colpo quella precedente. Già questo esprime il senso di ciò che sta accadendo: in gioco c’è la radice dell’uomo, il suo contatto stravolto con la natura, e i più piccoli sono i primi ad accorgersene, una lezione per tutti». «Non abbiamo un altro pianeta», dice Alberto, a 12 anni il più giovane della piazza, a Santi Apostoli, Roma, in un venerdì d’estate. «Il pianeta resiste. Siamo noi che moriamo», gli fa eco la sorella Sofia, 19 anni, che lo accompagna. Il senso di morte aleggia di continuo: tabù sempre rimosso dagli adulti, che scandisce invece il ticchettio dei più giovani. Non a caso Extinction Rebellion, il movimento di sensibilizzazione che ha paralizzato in più occasioni Londra, ha la clessidra come simbolo.
«È così: non si tratta di salvare il pianeta, ma di salvare noi stessi. Il pianeta proseguirà benissimo senza di noi, siamo noi che spariremo», aggiunge Moresco: «I ragazzi hanno preso sul serio quello che la scienza ci dice da anni: che la sesta estinzione di specie, anche per effetto di reazioni a catena, non è affatto implausibile. Perché gli adulti non lo fanno? Il mondo politico si muove per problemi parziali, che dividono. Questi temi, invece, sono affratellanti: ci dicono che siamo tutti sulla stessa zattera. Appoggiarli vuol dire riportare l’attenzione sull’umanità e cancellare le preoccupazioni identitarie». La politica ne sta cogliendo l’importanza? «La politica è inadeguata. Il potere ha uno sguardo troppo corto per afferrarne la profondità, è incapace di guardare da qui a 50 anni. Ma questa prospettiva non funziona, e i ragazzi ce lo ricordano: sono la prima generazione umana al cospetto della prospettiva concreta dell’estinzione. E il tempo è poco».
DA HARRY POTTER A BELLA CIAO
La generazione salva-futuro lo sa. Rifugge dalle etichette, fin troppo usurate, di generazione Z, Blu-generation, Green Generation, o addirittura Harry Potter generation, com’è editorialmente identificata quella fascia di giovani lettori forti, cresciuti col maghetto ma anche con un’inclinazione naturale all’impegno e ai temi etici e sociali. Al momento, è impegnata a proteggere la sua autonomia: il bene più prezioso. E anche la sfida più alta: dialogare con la politica, ma mantenere la distanza da chi è pronto a cavalcarne strumentalmente la passione. Perché oggi la maggior parte di loro non è in età di voto, ma presto lo sarà. «Mai nella storia recente d’Italia masse giovanili sono state espressione di una visione così concreta e costruttiva», ha scritto il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, tra i più attenti osservatori di questi ragazzi: «Presto ci troveremo davanti a una nuova generazione che, nel rivendicare la mobilitazione sulle questioni ambientali, rappresenterà a tutti gli effetti l’anima della politica. È evidente che i futuri leader di questa mobilitazione non sono ancora sul palcoscenico.
Mai come in questo momento il ruolo della politica deve essere quindi affiancare questa nuova linfa».
«Ragazze e ragazzi dovranno cavarsela da soli; insieme agli scienziati che ne hanno innescato i timori - anzi, il «panico» - e ai (pochi) genitori e nonni disposti ad ascoltarli. Per crescere, Fridays for Future deve organizzarsi, e lo sta facendo; ma dovrà anche discutere e decidere che cammino percorrere», ha notato su “Il Manifesto” il sociologo Guido Viale. «Al momento la struttura organizzativa è minima –«non siamo un’associazione, non abbiamo un portavoce ufficiale, nazionale, siamo e vogliamo restare apartitici», dicono in molti. E con una sola assemblea nazionale alle spalle, nel maggio scorso: la prossima sarà a novembre. Inevitabile sarà riflettere su come accogliere e regolare le anime diverse del movimento.
«La nostra preoccupazione è il futuro e sapere che i nostri gesti hanno effetti sull’intero ecosistema. Solo questo conta. Prendi una cannuccia, è irrilevante, no? Prova a moltiplicarla per il mondo intero. E fai lo stesso con le bottiglie di plastica», dice Alessia, 16 anni, di Milano, la città che, per iniziativa del sindaco Beppe Sala, ha consegnato all’apertura delle scuole borracce di alluminio agli studenti contro l’utilizzo della plastica: «Ogni minuto nel mondo ne vengono acquistate un milione. Solo una piccolissima parte è riciclata. Mi piacerebbe che il mondo adulto si accorgesse davvero di noi».
Il faccia a faccia generazionale è inevitabile. A partire dal linguaggio: colpisce quanto questi giovani usino parole come “realismo” e “pessimismo”.
E il cinema ha già intercettato lo scontro: in “Youth Unstoppable”, come titola uno dei documentari di punta della rassegna torinese Cinemaambiente. Ne “L’ultima ora”, di Sebastian Marnier, viaggio in un futuro da incubo, e conferma della difficoltà di comunicare. La generazione che scende in piazza, con le domande scomode che pone agli adulti, è al centro dell’ultimo spettacolo di Marco Paolini, “Filo Filò”.
Amitav Gosh lo aveva detto chiaramente ne “La grande cecità” (Neri Pozza): se la questione ambientale fatica a imporsi è colpa degli artisti, degli scrittori, dei visionari: degli immaginari che non ci sono. Le cose stanno cambiando: dalla forza della scrittura di autori come Jonathan Safran Foer (“Possiamo salvare il mondo, prima di cena”, Guanda) al mondo dell’arte, che sembra impegnato solo in direzione delle questioni climatiche (cosa fa Olafur Eliasson, alla Tate Modern di Londra, se non portare a termine il suo “The Weather Project” con la retrospettiva “In real life” ?), dal teatro alla danza: sorprendente la messa in scena di “Anthropocene”, del compositore Stuart MacRae e della scrittrice Louise Welsh della Scottish Opera di Glasgow, portata in scena a Edimburgo e a Londra. E se “Antropocene. L’epoca umana” è un emozionante film al cinema, frutto della collaborazione tra il fotografo Edward Burtynksy e i registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che documentano gli effetti delle attività umane sulla natura, “Anthropocene” è anche il titolo di un’apprezzata mostra alla Fondazione Mast di Bologna.

Il tempo di aggiornare la comunicazione, la politica, l’offerta culturale a questa straordinaria generazione è ora.
«Are the protest songs blowin’ in the wind once more?», si chiede “The Sunday Times”. Ad assistere a una manifestazione dei ragazzi sembra proprio di sì: “We need to wake up” cantano. E le note sono inconfondibilmente quelle di Bella ciao. «Perché è tempo di resistenza. Contro chi vuole rubarci il futuro».