«È questa la nostra rivoluzione»: dialogo in esclusiva tra Joshua Wong e le Sardine

Il ragazzo simbolo delle proteste di Hong Kong si confronta con i fondatori del movimento italiano che per la prima volta parlano dopo il voto in Emilia Romagna. I giovani che scendono in piazza sfidano la vecchia politica, decisi a occupare il futuro. «Siamo l'urlo del popolo, impossibile non udirlo»

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"Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza”.

Parola di San Paolo, Prima lettera a Timoteo. E di Joshua Wong, il ventitreenne simbolo delle rivolte per la democrazia a Hong Kong, che colloca la frase in esergo del suo libro, “Noi siamo la rivoluzione. Perché la piazza può salvare la democrazia”,
E non potrebbe esserci citazione migliore. Perché Wong, con le sue copertine sulle principali riviste internazionali (“influential teen” di Time, già nel 2014 riconosciuto “the Face of Protest” e per Fortune tra i più grandi leader del mondo), con un docufilm su Netflix, “Joshua: Teenager vs. Superpower”, e soprattutto con una voce limpida e coraggiosa, è l’emblema di un’intera generazione di giovani ribelli che, dal Libano al Cile, dagli Stati Uniti alla Svezia, non ha solo dato la sveglia agli adulti. Ma, reclamando diritti, additando le disuguaglianze, attaccando a morte il capitalismo, e pretendendo di contare veramente, sta risvegliando passione politica e partecipazione.
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«Vogliamo la democrazia, costi quel che costi», scandisce netto Wong. «No ai sovranismi e ai populismi», gli fanno eco, dall’Italia, le Sardine, il movimento che dal novembre scorso smuove le folle, scomoda sociologi e politologi, occupa i talk show. E che, pur dicendosi slegato da ogni partito, produce plateali effetti politici: come il risultato delle ultime elezioni in Emilia Romagna.

Per questo li abbiamo messi a confronto, rivolgendo a distanza le stesse domande a Wong e ai quattro ideatori del Movimento: Giulia Trappoloni, Roberto Morotti, Andrea Garreffa e Mattia Santori, presto anche loro in libreria (per Einaudi). Perché, nella consapevolezza delle diversità e di contesti non confrontabili, gli attivisti di Hong Kong e i giovani italiani hanno diversi tratti in comune. Non solo anagrafici, ma nel modo di concepire la politica stessa: chiedono trasparenza, condannano le incitazioni all’odio, pretendono politiche diverse sull’immigrazione, si servono dei social network. Realizzano l’ideale di restituire le scelte politiche alla gente, dalle piazze.

Wong, tu sei l’emblema di un risveglio globale dei giovani, che scendono in piazza e reclamano diritti, giustizia, rispetto per gli altri, azioni per l’ambiente. Che cosa è accaduto: perché, secondo te, tanti giovani contemporaneamente hanno deciso di far sentire la loro voce, dalla Cina all’Italia?
JOSHUA WONG: «I giovani che si riversano nelle strade del pianeta per rivendicare i loro diritti sono una grande opportunità per tutti. I baby boomers, e in generale chi è più anziano, non sono in grado di determinare il futuro delle giovani generazioni, sia che si tratti di questioni ambientali, che di diritti umani. Siamo noi ragazzi a doverci alzare e lottare per la nostra idea di giustizia. È apparso chiaro che non lo faranno gli altri per noi. I giovani sono globalmente chiamati ad agire, per creare il futuro che vogliono. Il momento di riconquistare il nostro futuro è questo. Non importa dove vivi, se in Cina o in Italia: è tempo di farsi avanti per quei principi universali che sono stati lesi. Ed è fondamentale che questi valori che riconosciamo come universali non siano dati per scontati, ma anzi siano ora riaffermati».

Scendere in piazza a Hong Kong, però, non è la stessa cosa che farlo in Europa. La violenza alla quale abbiamo assistito per le strade della tua città è al di là di quanto sia accaduto altrove. Tu sei stato arrestato molte volte, ti è stato impedito di viaggiare, la polizia durante le proteste ha fermato bambini di 11-12 anni. Eppure sembra che voi giovani del movimento non abbiate alcuna paura. Perché lo fate?
JOSHUA WONG: «Io sono stato arrestato otto volte, mi hanno messo due volte in prigione, ma in fondo è un prezzo piccolo rispetto a quanto hanno subito altri miei coetanei, e soprattutto rispetto alla posta in gioco. Penso che in tempi così difficili di lotta aperta sia tempo di non pensare soltanto a noi se stessi ma di alzarci in piedi come un unico soggetto, in solidarietà. Questa è la ragione per cui continuiamo la nostra battaglia. Rispetto a città come Parigi o come Roma, siamo dovuti scendere in piazza perché Pechino ignorava le nostre richieste».

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Anche dove la democrazia c’è serve scendere in piazza? Prima delle Sardine le piazze si erano riempite in tanti Paesi ma non in Europa, ora voi siete studiati in tutto il mondo. Ponete un problema di rappresentanza anche in una grande democrazia come l’Italia?

MATTIA SANTORI: «Come ci piace spiegare, le sardine, di per sé, non esistono. Sono semplicemente state un modo con cui si è risvegliato un sentimento profondo della società civile. Per venti minuti, per un giorno, per qualche mese le persone hanno preso delle sardine in mano e si sono ritrovate in una piazza. Anche questo è un elemento importante: contro tante finte verità raccontate sui social network, le sardine si incontrano fisicamente, perché i corpi non sono manipolabili e così non lo diventano neanche i cervelli. Molti hanno detto che le sardine sono un anticorpo al Populismo, è forse la definizione migliore per descriverci. I populisti oggi non difendono il popolo: lo utilizzano per ottenere consenso, senza dare risposte specifiche ai suoi bisogni concreti. Siamo l’urlo del popolo che per troppi anni è stato soffocato, ora però è possibile udirlo a centinaia di chilometri di distanza».

Scendendo in piazza, avete infatti compiuto l’atto più politico che esista: il popolo che reclama di contare, che chiede una democrazia sostanziale. Quali sono, ora, i vostri obiettivi, e cosa vorreste ottenere per interrompere il vostro impegno?

JOSHUA WONG: «L’obiettivo a breve temine è ribadire la vittoria dello scorso settembre (Ndr: quando è stato fermato il disegno di legge sull’estradizione verso la Cina), quello a medio termine è fermare la brutalità della polizia. Hong Kong non dovrebbe essere uno stato di polizia dove una ragazza di 16 anni, arrestata per proteste, subisce violenza all’interno della stazione stessa di polizia. L’obiettivo finale è la democrazia, e un governo eletto. Abbiamo bisogno di questo cambiamento a Hong Kong».
ANDREA GARREFFA: «Ogni persona che è scesa in piazza ha scelto di diventare un partecipante attivo alla vita politica del Paese. Ogni persona si è sentita responsabile del futuro del proprio Paese, non abbiamo una data di scadenza. Come abbiamo detto: eravamo rimasti in silenzio per troppo tempo e ci siamo risvegliati. Abbiamo favorito la voglia di partecipare, di rivendicare che l’Italia è piena di persone che chiedono una politica seria, rispettosa e concreta. Un passo importante in questo senso lo stiamo facendo sul tema della “democrazia digitale”. I social network sono uno strumento estremamente potente,che può essere usato in chiave positiva e che invece oggi viene inondato di fake news e messaggi di odio mascherati con finto buonismo. Dobbiamo ricercare gli strumenti per trovare il giusto equilibrio fra i diritti fondamentali come la libertà di espressione e la tutela della sicurezza delle persone, online e offline. Lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle: il movimento delle Sardine ha dato molto fastidio alla destra populista e tanti dei nostri rappresentanti negli ultimi mesi sono stati attaccati molto pesantemente sui social network, a volte con rischi per la loro incolumità personale».
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Joshua, come vedi il futuro del movimento di Hong Kong?
JOSHUA WONG: «Il futuro del movimento dipende da come Pechino reagirà e se continuerà ad ampliare il suo potere. È il momento che il governo centrale capisca di dover rispettare l’autonomia di Hong Kong, e che la democrazia sia garantita veramente alla sua gente. Molti Paesi hanno firmato l’accordo del 1997, e anche per questo io credo che il mondo possa svolgere un ruolo significativo. Pechino ha rotto una promessa internazionale. La nostra battaglia andrà avanti fino a quando cercherà di interferire sull’autonomia con leggi autoritarie. Lo scontro in corso è tra autoritarismo contro democrazia».

Si è votato in Emilia, il motivo per cui siete nati. Ora voi Sardine vi darete un’organizzazione: quali sono le prossime tappe?
GIULIA TRAPPOLONI: «Uno dei segreti delle Sardine è che sono innamorate dei propri territori e vogliono lavorare costantemente per dare forza e visibilità a quanto di bello avviene in ogni regione d’Italia. Per dare una nuova speranza a tante persone che sono deluse dalla politica e hanno rinunciato a parteciparvi attivamente non c’è altro modo che entrare in relazione con loro, conoscerle, capire quali sono i problemi e quali i punti di forza che vogliono valorizzare nella propria terra. Credo che nasceranno altre iniziative come quella di Bibbiano. Dopo mesi in cui i populisti speculavano su una vicenda giudiziaria le sardine hanno lasciato spazio ai cittadini di quel paese, facendoli esprimere. È stato forse il momento più emozionante della nostra avventura. E lo stesso avverrà anche a Napoli, a Scampia, dove andremo proprio per dare risalto e testimonianza alle realtà artistico culturali che ogni giorno si impegnano per rilanciare quel quartiere».

La “Hong Kong Generation” ha il supporto di molti. L’ultimo governatore britannico, Chris Patten, ha detto di fidarsi molto di te e dello spirito del movimento. Cosa può fare la comunità internazionale?
JOSHUA WONG: «Il mondo dovrebbe avere un ruolo importante per la causa di Hong Kong, i cui patti sono stati firmati davanti alle Nazioni Unite. L’Italia e la comunità internazionale dovrebbero interrompere le forniture di armi alle forze di polizia, che siano proiettili antisommossa, cannoni ad acqua o altro. Sono state già usate più di 30 mila lattine di lacrimogeni contro la folla».

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Voi Sardine avete contatti con altri movimenti di protesta nel mondo? Cosa ne pensate, vi sentite più vicini a qualcuno?

ROBERTO MOROTTI: «Da due mesi a questa parte si sono attivate tantissime persone in tutto il mondo per creare delle Sardine nelle città in cui vivono. Attualmente non siamo in contatto con altri movimenti, abbiamo appreso leggendo della rivolta sociale più importante e massiva che il Cile ha conosciuto dalla dittatura del generale Augusto Pinochet, in questi ultimi mesi il popolo con la P maiuscola sta ritornando a identificare la piazza come unica cassa di risonanza per la propria voce, come unico mezzo per essere ascoltato. Così come Hong Kong, la Catalogna, la Francia e l’Egitto. Non siamo in contatto diretto con i movimenti ma osserviamo con attenzione ciò che sta accadendo. Forse alcuni erano rassegnati al fatto di vedere centinaia di migliaia di persone che con forza, rischio e coraggio hanno aperto la porta di casa, sono scese in strada, uniti per un obiettivo comune».

“Scorrere come l’acqua”, il monito di Bruce Lee che avete adottato come slogan, rimanda al moto perpetuo dell’acqua, che rende oltretutto più difficile l’intervento della polizia. Puoi spiegarci meglio questa metafora del vostro modo di agire?
JOSHUA WONG: «Il movimento democratico vuole trasformare qualcosa di impossibile in possibile. E penso che dobbiamo essere esattamente come l’acqua. Lo slogan descrive bene quello che stiamo facendo, perché e come lo stiamo facendo. L’importante è agire, nelle forme più diverse: e non importa se attraverso le organizzazioni sindacali, con proteste davanti ai ristoranti pro-Pechino, boicottando le lezioni all’università o attraverso azioni di diplomazia internazionale».

Anche il vostro emblema, la sardina, è risultato efficacissimo: ispira simpatia, richiama un pesce mite, evoca l’andare insieme, “stretti come sardine”.
MATTIA SANTORI: «In realtà, il simbolo è nato per caso usando un po’ di creatività. Ci piaceva immaginare la prima piazza stracolma di persone, così tante da essere tutti schiacciati come “6000 Sardine”, e il nome ci è piaciuto da subito, era semplice, efficace. La sardina è anche un pesce che vive necessariamente assieme alle altre sardine, la sua forza è proprio il “banco” che, muovendosi all’unisono, protegge il singolo».

Una città, Hong Kong, che si oppone a un Paese intero. Dietro questa richiesta di mantenere standard politici, economici, istituzionali più autonomi rispetto alla Cina, c’è una battaglia culturale. Vi sentite diversi dagli altri ragazzi cinesi?
WONG: «Hong Kong è il campo di battaglia di valori universali contro valori autoritari. Dell’autocrazia contro la democrazia. Tante persone che vivono nella Cina continentale non riescono a cogliere la gravità della situazione, né a capire perché Hong Kong dovrebbe essere il primo luogo, sotto Pechino, a ottenere la democrazia. Ma è ora che Hong Kong e la sua situazione diventino una priorità: Hong Kong deve vivere in democrazia».

Il grido dei ragazzi di Fridays for Future. Il vostro. Il protagonismo giovanile è la grande novità dell’ultimo anno. Siete d’accordo nel definirvi un movimento generazionale? Vi sentite parte di una generazione con elementi comuni? E cosa vi unisce ai giovani italiani ed europei che si battono per altre cause?
MATTIA SANTORI: «Le sardine sono un movimento molto trasversale e le piazze ce lo confermano. Dalle famiglie alle coppie ai giovanissimi e ai meno giovani, tutti l’uno fianco all’altro senza sentirsi mai fuori luogo. Sicuramente il movimento è maggiormente a trazione giovanile, perché penso che i giovani abbiano la consapevolezza che il mondo corre veloce ed è sempre più complesso e questo richiede un impegno in prima persona, non essere più spettatori di ciò che accade e determina il futuro ma protagonisti e determinanti per le scelte da prendere. Sicuramente è forte il desiderio di poter affermare principi di apertura e di inclusione che caratterizzano la nostra generazione e la volontà di tornare a valorizzare la politica senza vergognarsene, anzi considerandola l’unico strumento con cui si possono affrontare le sfide incredibili di questo secolo».

Joshua, tu hai scritto: «La mia esperienza è niente a confronto dell’incarcerazione di Liu Xiaobo in Cina o della detenzione illegale di Lam Wing-kee. Questi uomini mi sono d’ispirazione e mi ricordano che ho bisogno di tutta la mia forza interiore per affrontare i prossimi mesi». Sei giovane e in prima linea da anni. Come vivi la solitudine e la responsabilità del tuo ruolo?
JOSHUA WONG: «A 23 anni non è troppo presto per combattere e per chiamare a raccolta la mia generazione. Penso siano tempi difficili, certo, ma io non mi arrenderò. So che tanta parte delle giovani generazioni è con noi. E questo è il momento di essere uniti e solidali».

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