Il ministero vuole indietro i soldi già versati per marzo, aprile e maggio. E minaccia azioni penali. L'accusa: i beneficiari avrebbero fornito dichiarazioni dei redditi false, per accedere con priorità ai sussidi. Ma loro protestano: «Le domande sono state manomesse. Il sussidio era per tutti, non c'era motivo di mentire»

I seicento euro per i collaboratori sportivi rimasti fermi durante il lockdown non sono – in realtà – per tutti quelli che li hanno ricevuti. E adesso istruttori, personal trainer e gli altri professionisti del settore devono restituirli. Circa 4mila beneficiari fra i 130mila previsti, infatti, nei giorni scorsi si sono visti recapitare una mail da Sport e Salute, la partecipata presieduta da Vito Cozzoli (ex capo di gabinetto al Mise con Di Maio e Patuanelli) che eroga i fondi, in cui – secondo verifiche dell'Agenzia delle Entrate – sono accusati di aver fornito dichiarazioni dei redditi false. E, per questo, ora devono rinunciare ai sussidi che hanno ricevuto per i mesi di marzo, aprile e maggio, con responsabilità penale di indebita percezione di contributi pubblici. Il ministero dello Sport, insomma, ci ha ripensato: e vuole indietro i soldi.

Secondo la lettera, al momento di compilare la richiesta sul sito della società avrebbero indicato – mentendo – un guadagno inferiore a diecimila euro nel 2019, che corrispondono alla soglia (comunque criticata, perché ritenuta troppo bassa) sotto cui si aveva diritto ad accedere con “priorità” all'indennità. Per quanto il bonus – in aprile stabilito dal Cura Italia e poi mantenuto dal decreto Rilancio e dal decreto Agosto – era e rimane garantito per tutti, nel limite di 200 milioni di euro. «E allora perché mai avremmo dovuto dire una falsità? C'era la premessa esplicita di controlli da parte loro e la questione della precedenza si sarebbe risolta in un paio di settimane di scarto», racconta all'Espresso un noto allenatore di pallanuoto, che nei giorni scorsi ha ricevuto la fatidica mail. «Viene il sospetto che le nostre documentazioni siano state manomesse di proposito da qualcuno».

Adesso, quindi, per loro si parla di “decadenza dai benefici”: in riferimento all'articolo 75 del Decreto del Presidente della Repubblica numero 445, del 2000, i soldi già ricevuti (1800 euro in totale) sono revocati, quelli di giugno – in arrivo in questi giorni – cancellati e loro accusati di indebita percezione di contributi pubblici. Sport e Salute fa sapere, tramite risposta automatica all'indirizzo curaitalia@sportesalute.eu, che le domande incriminate sono sottoposte «a un procedimento dedicato secondo le norme di legge». E intanto, sotto un post su Facebook del ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, è scoppiata la protesta dei beneficiari traditi: qualcuno spera si tratti solo di un equivoco burocratico; tutti, comunque, si preoccupano dell'eventuale responsabilità penale.

Perché in tanti, soprattutto, sono convinti di aver dichiarato già nei mesi scorsi un reddito superiore alla soglia stabilita. «Avevo persino allegato il mio contratto di lavoro, con cui l'Agenzia delle Entrate non può avere dubbi su come nel 2019 abbia superato i diecimila euro», continua l'allenatore di pallanuoto. Per quanto – spiega – non restano prove di quanto inviato a Sport e Salute, perché la piattaforma su cui hanno caricato i documenti non emette ricevute. Gli fa eco un collega che si trova nella stessa situazione: «Secondo dei conti che mi ero fatto, superavo la cifra e l'ho ammesso senza problemi. E ora ho anche la certificazione unica che attesta che i miei guadagni superano a quella cifra: non ho mai avuto niente da nascondere».

Al contrario loro, Beatrice e Simone, una coppia di collaboratori sportivi che si occupa di preparazione fisica e ginnastica posturale, avevano già la c.u. al momento della domanda. Lei: «La piattaforma online in cui segnarsi era poco pratica, magari abbiamo compiuto un errore di battitura, ma è una dinamica che non ci spieghiamo. Abbiamo mandato la richiesta insieme, indicando di superare entrambi i diecimila e consapevoli che saremmo stati controllati». Oltretutto, racconta, più volte in estate avrebbero chiamato Sport e Salute per sapere se ci fossero problemi, sentendosi rispondere che non ce ne erano. Tant'è che i sussidi sono arrivati, perlomeno finché poi non si è aggiunta l'accusa di indebita appropriazione per il suo compagno. «Secondo loro, quindi, avremmo compiuto una truffa "a metà": roba da pazzi».

Sono difficoltà burocratiche e di comunicazione che conferma anche Luca, collaboratore per un ente di promozione sportiva e arbitro di calcio. Ha scoperto solo dopo aver inviato la richiesta di dover dichiarare anche il reddito da questo secondo lavoro, con cui avrebbe sforato quota diecimila. «Così ho aggiunto quella certificazione unica alla prima, mandando tre pec per accertarmi che avessero ricevuto la rettifica per cui avevo superato la soglia». Risultato: nessuna risposta, sussidi ricevuti e ora revocati, e responsabilità penale.

Sollecitato dai commenti, Spadafora ha fatto sapere di aver sottoposto la questione direttamente a Sport e Salute. Sport e Salute che, per ora, non prende posizione: manca un comunicato ufficiale, il centralino squilla a vuoto e le nostre mail non hanno avuto risposta. Non siamo i soli: «Da giorni telefono senza risultati. Ma avevo allegato le mie certificazioni che attestavano da subito come superassi i diecimila euro», dice Elisa, insegnante di danza anche lei accusata di aver dichiarato un reddito falso, inferiore a diecimila euro. Sospira: «Posso aver compiuto un errore di battitura, ma dalle documentazioni inviate era già chiarissima la mia situazione». «Aspettiamo: non possiamo fare altro», conclude allora l'allenatore di pallanuoto. «Certo, senza prove su quanto abbiamo inviato, sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico».