Attualità
20 ottobre, 2020

Caso Manital, come rischia di fallire la prima impresa italiana di pulizie e manutenzione

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Con oltre diecimila addetti il gruppo di Ivrea ha preso appalti in ogni regione. Le spese pazze della proprietà e lo scandalo Consip hanno fatto il resto, mentre i lavoratori del settore scendono in piazza  

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Si può sognare la gloria imprenditoriale anche per mezzo, e sulla pelle, dei lavoratori più umili, più precari e meno pagati. Sono quelli del facility management, così ribattezzati per raccogliere dietro la cortina fumogena dell’inglese chi si occupa della pulizia e della manutenzione degli uffici.

Da circa un anno la maggiore impresa italiana del settore, la Manital di Ivrea, lotta per sopravvivere a una gestione che l’ha consegnata ai commissari governativi per evitare il fallimento dopo un passaggio di proprietà finito sotto esame da parte della Procura di Torino su un’ipotesi di truffa.

Le parti in causa danno per scontato che sia in dirittura d’arrivo un’altra indagine a Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri e mirata ai subappalti della Cittadella di Germaneto, la nuova sede della giunta regionale calabrese dove già non funziona più nulla, per le manutenzioni non eseguite o eseguite male dalle consorziate di Manital.

Pochi conoscono il nome dell’impresa canavesana. Ma è quasi impossibile non avere mai messo piede in un ufficio affidato a Manitalidea, la holding del gruppo. Nei suoi anni migliori la società fondata da Graziano Cimadom nel 1993 ha avuto come clienti - si cita alla rinfusa - le scuole, i comuni e i tribunali, l’Inps e l’agenzia delle Entrate, Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza, nelle venti regioni d’Italia.
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Dominante nel settore pubblico, Manital ha vinto appalti con i maggiori gruppi di tipo privatistico come Fca, Telecom, Magneti Marelli, Poste italiane e Ferrovie dello Stato. Ha impiegato direttamente 3.200 dipendenti e indirettamente ha superato quota diecimila. Per dare un termine di paragone alla bomba occupazionale Manital, basta aggiungere che la crisi Alitalia riguarda undicimila dipendenti.

«Non è solo questo», dice Antonio Zecca, che con Antonio Casilli e Francesco Schiavone Panni è uno dei commissari straordinari nominati con decreto del ministro dello sviluppo economico (Mise) Stefano Patuanelli lo scorso 7 agosto, sei mesi dopo l’incarico di commissario giudiziale affidato alla stessa terna dal tribunale torinese. «Manitalidea controlla il consorzio Manital dove ci sono quasi trenta soci di minoranza», continua Zecca. «Sono tutte piccole imprese e in maggioranza del Sud. Stiamo cercando di salvare l’avviamento e la Soa, l’attestazione che consentirebbe a un nuovo proprietario di concorrere agli appalti, considerato che la Consip ci ha escluso da gare già aggiudicate per 700-800 milioni. In questo modo un’agenzia dello Stato non ci mette in condizione di pagare il debito erariale mostruoso che Manital ha accumulato nel tempo».

Per completare con qualche numero, l’azienda di Ivrea ha raggiunto i 240 milioni di ricavi. Ma all’udienza del tribunale fallimentare del 9 luglio 2020 è emerso un debito di 223 milioni con cinquemila creditori, in larga parte lavoratori che prendevano fino a 400-500 euro al mese e che vantano arretrati negli stipendi, per non parlare di contributi e tfr.

La pandemia colpisce più duro che altrove nel facility management. Per restare all’inglese, è un settore labour intensive dove il costo del lavoro arriva fino al 70 per cento del valore degli appalti ed è dunque il primo bersaglio quando viene il momento di tagliare. Durante la chiusura per il Covid-19 il personale Manital ha continuato a esporsi ai pericoli del virus. Nello stesso tempo, la desertificazione degli uffici ha consentito alle aziende di intervenire pesantemente sulle ore di lavoro.

«Chi ha potuto se n’è andato e ha trovato impiego altrove, spesso a condizioni peggiori», dice Cinzia Bernardini, segretario nazionale della Filcams-Cgil, «oppure con orari ridotti, come quello del nuovo contratto Inps, abbattuto del 40 per cento: avranno inventato lo straccio magico. Come sindacato abbiamo insistito affinché il governo tutelasse l’azienda, che comunque era fra le non molte ad applicare il contratto nazionale. Ma il sostegno non c’è stato. Ci vorranno anni perché i lavoratori abbiano il dovuto e certo la pandemia non aiuta».

La crisi Manital emerge nel giugno 2019 con le proteste dei lavoratori che i sindacati portano a conoscenza del Mise, ben prima della crisi Cov-Sars-2. In quel momento il governo è a tinte giallo-verdi e il ministro in carica si chiama Luigi Di Maio. L’allora vicepresidente del Consiglio non prende provvedimenti.

Cimadom e famiglia hanno fama di essere legati al Pd e hanno schivato di giustezza lo scandalo degli appalti Consip dove sono protagonisti Alfredo Romeo e il padre di Matteo Renzi, Tiziano, che rischia il processo dopo la chiusura delle indagini a Roma i primi di ottobre. Manital entra in ballo quando gli appalti siglati Fm 2, Fm 3 e Fm 4 sono già stati fermati dall’inchiesta. Per i conti dell’impresa di Ivrea non è una buona notizia e se ne accorgono i lavoratori che ricevono gli stipendi con ritardi crescenti.

Il tempo scorre fra sit-in e proteste in mezza Italia fino all’autunno del 2019, quando Cimadom chiude, o sembra chiudere, l’accordo con l’Igi investimenti di Giuseppe Incarnato. La maggioranza di governo è cambiata e stavolta è proprio una parlamentare grillina, Jessica Costanzo, ad avanzare dubbi sull’operazione.

C’è da dire che la coppia venditore-acquirente è assortita in modo bizzarro. Cimadom è il classico uomo che si è fatto da solo. Nato a Ivrea da una famiglia di origine trentina, fa crescere il suo gruppo senza fare il passo più lungo della gamba e, secondo gli avversari, con la protezione della politica. Poi, cinque anni fa, l’imprenditore piemontese alza bruscamente il livello del gioco. Diventa prima main sponsor e poi, per un breve periodo, azionista dell’Auxilium basket Torino (2015-2016) portandola dall’A2 alla massima serie prima di cedere il passo alla Fiat. A settembre 2015, in piena Expo di Milano, annuncia il progetto Vistaterra insieme al fondatore di Slow Food Carlo Petrini. Al centro dell’investimento da 40 milioni di euro c’è la ristrutturazione del castello di San Martino a Parella (Torino), un edificio che risale al XII secolo e che i lavori dovrebbero trasformare in una fortezza di sostenibilità e turismo enogastronomico di qualità anche attraverso il prestigioso vitigno Erbaluce.

Cimadom moltiplica i riferimenti ispirati all’industriale illuminato per eccellenza, Adriano Olivetti, che ha portato il nome di Ivrea nel mondo e che aveva voluto impiantare i Vivai Canavesani proprio nei dintorni di Parella. A giugno del 2017 Cimadom annuncia nella corte d’onore del castello che ha già speso la metà dei soldi previsti (20 milioni di euro) durante un evento presentato da Neri Marcoré.

Già nel settembre dell’Expo, in realtà, c’è un piccolo segnale di quello che sta per accadere. Il tribunale penale di Ivrea assolve l’imprenditore dall’accusa di avere evaso l’Iva con il suo consorzio. La sentenza spiega che Cimadom non poteva versare la tassa a causa di ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, una situazione che è costata cara a più di un’azienda italiana. Da lì il debito con l’erario non cessa di crescere in un circolo vizioso che oggi ha portato a paradossi burocratici. Alcuni enti come la regione Calabria, che imputano a Manital di non avere onorato il contratto, hanno ricevuto decreti ingiuntivi dei creditori terzi, associati al gruppo piemontese, e hanno già dovuto pagare. Altro imbottigliamento multimilionario è quello per la cessione dei crediti a Banca Farmafactoring.

Nell’autunno del 2019, in una situazione di crisi conclamata, arriva il salvatore. È l’Igi, gruppo con sede principale a Roma attivo in vari paesi (Romania, Belgio, Polonia, Azerbaijan). Igi opera nelle startup e nel distressed private equity attraverso un gruppo di soci, detti angel investor, con buona pace di Olivetti che avrebbe forse preferito l’italiano. Alla guida della holding romana c’è il napoletano Giuseppe Incarnato, ex Capitalia uscito dal gruppo bancario dopo la fusione con Unicredit e dopo un contenzioso vinto con il datore di lavoro. Dopo Unicredit Incarnato diventa direttore generale all’Idi, l’istituto dermopatico dell’Immacolata, al centro di uno scandalo che porta a processo lo stesso Incarnato e numerosi prelati, a iniziare dal presidente Franco Decaminada. Il processo, il cui pubblico ministero Michele Nardi è stato arrestato per le inchieste truccate a Trani nel gennaio 2019, è alla fase di primo grado da tre anni e Incarnato si dichiara creditore dell’ente per oltre 2 milioni di euro.

Il prezzo di acquisto fissato da Igi un anno fa la dice lunga sullo stato di Manital: 50 mila euro più la promessa dell’acquirente di accollarsi 1 milione di euro di altre garanzie. La cessione è subito contestata pesantemente da rappresentanze dei lavoratori in un incontro a Grottaferrata, ai castelli romani, dove il 14 novembre devono intervenire le forze dell’ordine. Il 28 novembre l’assemblea dei soci approva il piano industriale. Meno di un mese dopo è già fine corsa per Igi.

«Il 20 dicembre ero a Torino a presentare il piano industriale davanti al giudice della fallimentare Stefano Miglietta», racconta Incarnato che si definisce ex golden boy del credito e che raccomanda di non ipertestualizzare il suo nome nei motori di ricerca per non allarmare i partner esteri. «Il 23 dicembre è arrivato il sequestro delle azioni dalla Procura di Ivrea su istanza dello stesso Cimadom. Nel frattempo abbiamo scoperto un buco da 149 milioni di euro compresi emolumenti agli amministratori per molti milioni di euro. Volevamo traghettare Manital dal pubblico al privato ma evidentemente abbiamo toccato corde sensibili della politica». La trattativa Manital non porta bene a Incarnato perché a marzo del 2020 la sua Semitech group (installazioni telefoniche) licenzia 300 lavoratori e chiede di essere ammessa al concordato preventivo.

Oggi il castello di San Martino è in stato di abbandono. C’è chi dice che sia costato anche più dei 40 milioni previsti. C’è chi dice che è costato molto meno. Ma certo nei lavori di restauro delle mura medievali ci sono i soldi di chi ancora aspetta mesi di stipendio.

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